Mazzy Star SEASONS OF YOUR DAY
[Uscita: 24/09/2013]
Diciassette anni ci son voluti, dopo il pur notevole, ma quasi sepolto sotto fitti strati di oblio, “Among My Swan”, 1996, per rivedere in sala d’incisione, ove si eccettuino taluni squarci di progetti solistici, la sensuale e conturbante Hope Sandoval e il valoroso David Roback, drappeggiati del rassicurante manto dei Mazzy Star. Il compianto Bert Jansch (Pentangle) la cui magica sei corde rifulge in Spoon, donò uno scampolo di bellezza all’album, prima di partirsi per i Campi Elisi, mentre Colm O’ Ciòsoig (My Bloody Valentine) figura alle percussioni. Perché, se vede la luce adesso, l’album ha avuto una ben lunga gestazione, frutto delle esperienze musicali ed esistenziali dei due protagonisti, soprattutto di Hope con i Warm Inventions. Questo nuovo "Seasons Of Your Day" si muove con incedere sinuoso lungo i territori del folk-blues, qua e là venato di riguardose strie psichedeliche, retaggio molto Paisley Underground di Mr.Roback, con lunghi e deliquescenti slide chitarristici morbidamente assecondati dalla maliosa voce della Sandoval. Sin dall’iniziale In The Kingdom, con un quieto sussurro d’organo a far da incipit, prima dell’ingresso di chitarra e voce che ne disegnano con vaporosa bellezza i contorni sonori, e proseguendo, oltrepassata la facile melodia di California, l’episodio meno felice del disco, per I’ve Gotta Stop, in cui la voce di Hope libera le sue sensuose spire serpentine al seguito della chitarra acquatile di Roback che recupera atmosfere pluviali (Rain Parade e dintorni…).
Ebbri arpeggi di chitarra acustica aprono Does Someone Have Your Baby Now, ballad suonata al centro di un deserto immaginario, con la solita voce di Hope modulata in bisbiglio che qui, però, assume toni un poco monocordi. Common Burn ricalca le orme del brano precedente, con la sola variazione dell’armonica che fa da contrappunto alla chitarra di David in lieve distorsione sonica. A questo punto, l’album si arena nelle sacche della ripetizione schematica e della stereotipia, il vero limite di questo sia pur dignitoso lavoro. Vi sono punti nei quali, come nella title-track, la maestria chitarristica di Roback non riesce a supplire alla voce di eterna bambina psych-blues della Sandoval, creando una perniciosa stagnazione creativa. Per fortuna, tracce come le successive Spoon, con il grandioso tessuto slide della chitarra “postuma” di Bert Jansch, e, soprattutto, della sontuosa cavalcata lisergica della conclusiva Flying Low - nella quale la chitarra di David intesse ragnatele desert-blues di notevole impatto e la voce di Hope torna a farsi graffiante e dispensatrice di venefici effluvi - risollevano le sorti di un album di dignitoso impianto complessivo, ma tuttavia lontano, in quanto a fuoco creativo e soluzioni stilistiche, dai fasti dei migliori Mazzy Star.
non sono d’accordo con questa recensione…album bellissimo
Ciao, Marco. A me è sembrato un buonissimo album (mi pare si evinca dalla recensione), non all’altezza dei precedenti, però, a mio avviso. Poi, legittimo pensarla diversamente. Ti ringrazio, comunque dell’attenzione.