M.S.Miroslaw REBIRTH INVOCATIONS – RITUAL CHANTS FOR THE VULTURE GODDESS
[Uscita: 31/03/2013]
Una musica della voragine, delle viscere della terra. Un viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca delle origini. Per fornirci intatto questo prodigio di totale contatto con l’arcaico, con il tempo perduto, con l’integrità primordiale dell’uomo che compiva la sua sfida di sopravvivenza a mani nude, Mirko Santoru, MSMiroslaw, esegue nel ventre della grotta di Nasprias, nel Màrghine sardo, i cinque pezzi di questo lavoro “Rebirth Invocations”. Un teschio di cavallo ed una serie di effetti sonori ottenuti da un’echomachine e dei phase shifter analogici. Questi sono i suoi strumenti. Trasponsonic ha dato vita ad una serie di progetti, riunendo di volta in volta dei collettivi per dare voce a tematiche precise. L’intento è quello di tracciare una specie di mappa etnografica basata puramente sull’istinto figurativo e sensoriale. Dare identità a rituali che usano la musica come veicolo di interazione ma che non si conformano unicamente ad essa. O meglio la musica diventa la sonorizzazione stessa del misticismo, della sacralità e del paganesimo che viene evocato, della convergenza tra ciò che l’uomo afferra e ciò che all’uomo sfugge, di tutta questa pregnanza ambientale. MSMiroslaw riesce magistralmente a raccogliere questa saturazione atmosferica in un ideale e purificato incontro simbiotico tra elemento umano e tutta quella serie di elementi esterni ad esso che ne costituiscono l’involucro capace di rassicurarlo così come di renderlo estranea a se stesso. L’immanenza, la trascendenza, il panteismo diventano lotta interiore, sfida aperta che mostra in tutta la sua crudeltà i momenti in cui c’è compenetrazione e quindi familiarità e sintonia con il tutto circostante e i momenti di repulsione in cui siamo invisi e maltrattati, se non addirittura resi malignamente meschini dalle leggi cosmiche (etica della crudeltà Leopardiana e Artaudiana).
Questo vuole essere quindi un viaggio capace di ricondurci, attraverso introspezione e confronto, ad un recupero di origine e identità. Gli stessi titoli dei pezzi ricostruiscono un percorso a tappe: ricerca di una rivelazione, The End (Revelation came), di una profezia della creazione affidata a indefiniti numi tutelari, Throuh Imbertighe (Tomb of the Giants), smarrimento e fascinazione dell’inconoscibile, Jumis (calls the Dyonisian Orgy…), fede, ricerca di senso …And the Golden Horse’s Sacrifice, illuminazione interiore, gnosi, recupero di fiducia che ha compimento solo e unicamente trovando forza ed energia da un equilibrio e un compromesso interiore, come fenomeno di pasqua, di liberazione soggettiva Till Ecstatic Resurrection (The Golem is Risen!). Vorticose e invasate le percussioni dei quasi dieci minuti di …And the Golden Horse’s Sacrifice, ci proiettano in un criptico e inquietante rito cabalistico in cui si materializza quasi la presenza di poteri oscuri, di forze avverse che prendono il sopravvento. Il rullare ripetitivo di queste lugubri maracas immaginarie, piene dell’inconsistente polvere della futilità, la cassa di risonanza di questo graffio secco e scarno operato su corde metalliche, appunto un teschio, diffonde il rimbombo straniante del vuoto, la linea di confine tra sacro e arcaico, la sospensione dell’ignoto. E forse riandando all’inizio si ritrova la fine, The End (Revelation came), con la commistione futuribile delle sonorità di Balestrazzi (special guest star) ci catapulta ad un ipotetico approdo che rappresenta una fusione sensoriale dei tempi e dello spazio, i rintocchi scanditi del timpano e dei piatti suggeriscono una dilatazione onirica, un precipitare ipnagogico, il balenare violaceo di uno scintillio nel buio della notte.
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