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24 Aprile 2015 , , ,

William Elliott Whitmore RADIUM DEATH

2015 - Anti Records
[Uscita: 31/03/2015]

USA

 

William-Elliott-Whitmore-300x297Ritorna sulle scene con il suo ottavo album il songwriter dello Iowa William Elliott Whitmore. Lui stesso ha definito la sua musica roots-folk, definizione che calza perfettamente alle sue composizioni, dalle quali emerge evidente il suo amore per la musica tradizionale americana 'campagnola' e agreste, c'è l'aspra ruvidezza della voce e quell'alone di solitudine e malinconia, a volte mista a spirito ribelle e anarcoide, propria della miglior tradizione country. Gli strumenti con cui si accompagna molto spesso sono soltanto il banjo o la chitarra, anche questo secondo la tradizione del cantante giramondo che in ogni momento può fermarsi e raccontare le sue storie a chi è disposto ad ascoltarle. Ebbene stavolta Whitmore sceglie invece un suono più corposo, inserisce altri strumenti e imbraccia la chitarra elettrica, una piccola svolta nella sua produzione.

 

Del resto il nostro è cresciuto a punk rock, oltre che a country e bluegrass, ha perfino fatto una cover dei Bad Religion, ed ecco che in questo “Radium Death” fonde insieme due visioni musicali almeno apparentemente agli antipodi. E lo fa soprattutto rendendo più serrati i ritmi, il canto è diretto e immediato stemperando le melodie malinconiche ed whitmoreevocative tipiche della musica rurale dell'interno degli Stati Uniti. Il disco alterna brani di stampo più tradizionali come il bluegrass Civilizations o come l'intima e malinconica Go On Home ad altri più elettrici e dall'anima soul come la scatenata Don't Strike Me Down, un rock'n'roll che piacerebbe a chi affolla i concerti del boss, o la conclusiva ballata Ain’t Gone Yet un valzer rurale in crescendo verso il rock'n'roll. Quello di Whitmore è un disco che piacerà agli appassionati di americana, che troveranno di che apprezzare ballate che cantano il mondo rurale minacciato dagli speculatori e l'indipendenza individuale,  «Don’t mind me/ I’m just livin’ here...», queste parole di Civilizations sono una vera e propria dichiarazione poetica e di vita. Il limite sta in una voce che alla lunga risulta monotona e poco duttile e a una scrittura che raramente riesce a sorprendere.

Voto: 6.5/10
Ignazio Gulotta

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