King Khan and The Shrines IDLE NO MORE
[Uscita: 3/09/2013]
Fantastico personaggio King Khan, davvero fuori dal tempo. Al disco d’esordio per Merge Records (a ben sei anni di distanza dall’ultimo “What Is?!”), il cantautore canadese – nato a Montreal ma cresciuto nella riserva dei nativi Kahnawake Mohawk – trascina i suoi Shrines all’esplorazione estrema del soul acido e del rhythm & blues psichedelico con una vigoria rinnovata. In giro per il mondo dal 1999, il buon Khan prosegue nel suo sogno: mischiare in un calderone lisergico, ironico e divertito tutti i suoi miti musicali. Che in ordine sparso sono i Love, Otis Redding, Wilson Pickett, i 13th Floor Elevators, i Monks e chi più ne ha più ne metta. Il risultato è “Idle No More”, dodici freschissime canzoni che faranno alzare il didietro dal divano e iniziare a muovere il piedino anche al più pigro degli ascoltatori. Il wah wah circolare che ammanta la opener Born to Die è degno di onorare la memoria di Arthur Lee e continuare ad omaggiare Nostro Signore Roky Erickson. Bite My Tongue e Thorn in Her Pride (grande anthem girl-power) sono potenziali hit spacca-classifica se vivessimo in un’epoca degna d’essere vissuta. Luckiest Man è un episodio di travolgente funky soul che mette i brividi per perizia di scrittura ed esecuzione, mentre Better Luck Next Time è un trascinante cioccolatino Sixties pop che potrebbe far impazzire tutta la crew della Bad Afro Records.
Nella seconda parte l’album non riesce a tenere alta la carica e la tensione elettrizzante dei primi cinque brani, eppure gli Shrines si dimostrano un fuoristrada capace di competere anche quando la benzina scarseggia. Darkness è la personale interpretazione che King Khan dà del soul codificato dalla High Priestess Nina Simone, Pray for Lil è un’altra struggente ballad dedicata ad una moglie che è pilastro e amore continuo. Bad Boy è un requiem R&B per Bobby Ubangi, mascotte della scena punk di Atlanta che ha generato i più fortunati Black Lips e Deerhunter, così come a Jay Reatard e Jay “Berserker” Montour è dedicata So Wild, sezione fiati da infarto e spirito punk che spinge il ritmo a più non posso. Yes I Can’t è un divertente passaggio garage che prende per i fondelli il dilagante ottimismo obamiano, I Got Made l’ultimo razzo colorato prima della conclusiva Of Madness I Dream, visionario e delicato grido di speranza per un mondo migliore. Se cercate un sound originale e innovativo, lasciate perdere “Idle No More”. Se il vostro obiettivo è un disco che in 40 minuti scarsi sintetizzi splendide melodie, groove forsennato e un’onestà compositiva fuori dal comune, siete i benvenuti. Da ricordare che Idle No More è un movimento nato per cancellare la vergognosa legge Bill C-45, che sottrae terre, risorse, diritti e sovranità ai Nativi Americani. Viva il disimpegno e l’intrattenimento intelligente.
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