Mamuthones FEAR ON THE CORNER
[Uscita: 23/02/2018]
#consigliatodadistorsioni
I Mamuthones sono senza ombra di dubbio tra le formazioni più originali e spiazzanti della nuova psichedelia occulta. Il loro è un revival trasformista che pesca indistintamente e irriverentemente verso riferimenti cult ascrivibili al periodo post punk e new wave, con attitudine giocosa e dissacrante. Ancora una volta escono per la prestigiosa Rocket Recordings che sicuramente mostra più fiuto di noi nel dare risalto ai talenti più promettenti. Alessio Gastaldello e compagni hanno talento ma anche coraggio poiché, diciamocelo chiaramente, rispetto ai primi criptici lavori impregnati di oscuro e cupo magnetismo hanno virato verso sonorità più effervescenti conferendo al loro primitivismo tribale forgiature ritmiche più strutturate. Le propulsioni funky si inerpicano in costruzioni orecchiabili ma anche stranianti, cariche di persistente, ridondante ripetizione. Vortici di loop ossessivi che procedono ubriachi e iperbolici ostentando un’euforia pomposa, posticcia, allucinata. Sette prove di danze robotizzate che guardano con nostalgia agli anni della spensieratezza e della grande illusione di una musica per le masse. Qui c’è una visione disincantata e postmoderna che è lucida e consapevole. Qui il ghigno e lo scherno non ha la portata lirica e disperata di “Filth” degli Swans che risuona come un grido furioso di rigetto verso qualcosa che sta per sfuggire. Qui la lacerazione è metabolizzata e si mette in scena la pantomima del perduto con i suoi colori alterati, le maschere grottesche appesantite di trucco che declamano con intonazioni falsate.
L’intento non è più nemmeno quello di calcare la mano sul macabro con finalità di sberleffo. Si avverte una voglia di purificazione, una ricerca di primigenia sintonia con gli elementi e con il predominio degli istinti. Si ha voglia di trovare una felicità anestetizzante che metta a tacere la paura. Il vaudeville enfatico di Show Me o il pantagruelico boogie di Cars, i riff disco dance che prendono ispirazione dal ballabile di LCD Soundsystem deviando poi in tribalismi free form. Anche le derive acide non sono altro che frantumazioni di geometrie che si affastellano freneticamente, perdendosi in rivoli di esotico e ipnotico. Esempio eloquente è Alone, la caracollante The Wrong Side con coretti e chitarrismi alla Feelies o il samba caraibico geometricamente ritmato dell’omonima Fear on The Corner come rito apotropaico, come un canticchiare per vincere la paura del buio. La loro mimica fa un abuso sfrontato di contrasti e racconta con pacata ferocia e rassegnata indulgenza una nevrosi che diventa assuefazione, abulia. La conclusiva Here We Are sembra essere l’ultimo biascicante sussurro di verità che si lascia intravedere in un climax di fake e reiterazione di meme, ci fa toccare con mano lo smarrimento e il vuoto pneumatico. Suonano credibili i Mamuthones che fanno sgorgare sangue attraverso i toni sgargianti del fuxia e ci prendono a schiaffi rivolgendoci contro con beffarda sagacia tutti gli stereotipi del convenzionale. Declamano Aldous Huxley usando la melodia di Mary Poppins che indora la pillola con lo zucchero!
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