T.A.C. (Tomografia Assiale Computerizzata) CHAOSPHERE
[Uscita: 13/02/2013]
Le alterne e travagliate vicissitudini di questa band ne riassumono perfettamente lo spirito inquieto, sfaccettato, originale, incompromissorio, mutevole e profondamente sotterraneo. Nascono a Parma nei primissimi anni ’80, operando nella nicchia sperimentale della Atzeco Records per poi spostarsi operativamente a Cagliari. Simon Balestrazzi ne è rimasto nel tempo la colonna portante mentre un numero molto ampio di altri autorevoli musicisti vi hanno fatto tappe più o meno brevi. “Chaosphere” sembra essere l’acronimo di quel mondo altro, di quella dimensione aliena, in cui T.A.C. ha operato ed ha espresso, in modo del tutto sdoganato, il suo potenziale. Questo lavoro è stato registrato ben quindici anni fa con le intenzioni di rappresentare un seguito concettuale del loro album “Apotropaismo” (Old Europa Cafe, 1997) ed ora la stessa label lo rende finalmente disponibile in sole 300 copie. Unico architetto del suono è Simon e una quantità rimarchevole di strumentazioni analogiche che riescono a tessere il futuribile, il sibilo intergalattico, il riverbero dello spazio sconfinato.
Lo scopo era quello di precipitare nella desolazione dell’indefinito. Passare dalla varietà e dalla sovrapposizione di intelaiature lussureggianti e complesse dell’ipotetico primo lato, ad una stasi apneica del secondo. L’essenza T.A.C., la scarnificazione T.A.C. Oscurità inquietante, isolamento introspettivo, un luogo di aperto confronto con i propri fantasmi e fobie, con la solitudine dell’Io. In realtà l’ascolto di queste dieci tracce è un bene che ci venga riproposto in maniera staccata nell’odierna pubblicazione, poiché la storia descrittiva che vi è impressa è quanto mai univoca e compiuta. Ci si può leggere la simbolica escursione in solitaria di un’entità umana che vuol nutrire il proprio spirito e la propria sete di verità attraverso la percezione materiale dell’ambiente esterno. Ogni segnale è uno stimolo sensoriale. Despite è costruita su una serie di impulsi che suggeriscono l’idea di alterazione di coscienza. Delay e flanger ottenuti dall’Alesis Quadraverb e sintetizzatori di vecchia scuola come il VCS3, capace di riprodurre suoni semi modulari. Gli stati emozionali rimangono imprescindibilmente legati alle variazioni di frequenze, agli intercalari tra parti ritmiche e fasi di puro galleggiamento amniotico in cui il rumore si percepisce distorto, graffiante, metallico, scricchiolante.
The Sluggish Larvae of an Antique Syntax sembra un esercizio di isolamento tantrico ed è caratterizzato da un sottile ma costante senso di affievolimento. Non form, Océan Sonique e Nodal Points ci introducono pienamente in questa dimensione cosmica popolata dal caos. Un caos che è un riflesso interiore. Il Nostro. Esattamente la traduzione musicale di un viaggio mentale che sconfina da ogni libera associazione con il reale per catapultarsi in una pura entropia cosmica. I passaggi sono dispersioni, fluttuazioni, eco sinusoidali. A questo punto siamo immersi in un accecante luce stroboscopica che riflette il nostro alterego e ci restituisce una serie di immagini deformi. Il flusso dei pensieri, qualcosa che non si delinea e non si mette a fuoco ma continuamente si plasma. Mi viene in mente la lunga carrellata de L’infanzia di Ivan, la sequenza lunghissima su spazi sconfinati usata dal regista russo Andrej Tarkovskij e quasi mi coglie un brivido nel leggere come alcuni dei suoi lavori di maggiore lirismo figurativo, Solaris e Stalker, abbiano influenzato ed ispirato l’opera. Era veramente giunto il momento di aprire questo prezioso scrigno che custodiva la colonna sonora dei nostri sogni, dei desideri inespressi, degli ideali più arditi lasciati scivolare via ma rimasti intatti in quel recondito e angusto spazio della testa a cui da ora in poi darò il nome di Chaosphere.
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