AV-K A CENTRIPETAL FUGUE
[Uscita: 31/01/2014]
Ancora una volta un giovane talento che si impone all’attenzione delle nuove tendenze musicali d’élite e che proviene dal Sud, dalla provincia di Salerno. Non un esordiente ma certamente alla ribalta dopo il suo recente contratto con la prestigiosa FatCat a fine ottobre 2013 e grazie alla Laverna che con questo album ha deciso di sdoganarne pubblicamente le preziose capacità. Anacleto Vitolo, classe 1985, ha compiuto il salto qualitativo che lo ha portato all’elaborazione di un’originalissima elettronica sperimentale, lasciandosi alle spalle l’influenza hip hop, techno, avant rap degli inizi, marchio di fabbrica gravoso quanto ingombrante per tutti quelli della sua generazione. Nell’arco della sua esperienza più che decennale, attraverso gli svariati moniker di K.Lone, Kletus Kaseday, Biotcz, Framedada e appunto AV-K, è riuscito a stabilire una vera e propria interazione con la manipolazione sonora. Prolifiche nell’arricchire il proprio bagaglio di crescita e creatività sono state senz’altro le sonorizzazioni impiegate nei più svariati ambiti, dal cinema al teatro, in progetti e allestimenti di natura artistica e letteraria. Si è così forgiato un linguaggio musicale di stretta simbiosi tra macchina e mente, tra gli impulsi e chi è chiamato a regolarne il flusso, a dargli emozione e palpito. L’elettronica ambient di AV-K opera il prodigio di convertire la freddezza inanimata del suono artificiale in folata emozionale. La propagazione, la cinetica, gli attriti diventano balenii, scintille sensoriali, percezione, intuizione, indagine oltre l’immagine. Una bellezza glaciale ed altera che apre allo stimolo dell’ignoto, del fuggevole, dell’insondabile.
Le vibrazioni, le reiterazioni mantriche e ipnotiche, il crescendo giocato sull’intensità e la pregnanza, sulla consistenza stessa del suono ridotto quasi ad elemento materico e plasmabile. Pezzi come 290513 e l’omonima A Centripetal Fugue sembrano intermittenze panoramiche, orizzonti di congiunzione tra reale e immaginazione, sfumati visivi, flashback. Poi Amniotico che posa la sua evanescente lievità in una serie di rumori simili a scansioni psichiche, rigurgiti di inconscio, eco metafisiche. Frefall in Slow Motion è un collage sorprendente di scorie postmoderne dilatate in un pulviscolo di decadenza, sfumate in un abbozzo impressionistico di romantica e serica bellezza. La reale energia, la forza fisica che trascina come magico magnete verso il centro, appunto il moto centripete, è qui inteso come fuga. Tutto in questo lavoro sembra essere governato dalla scintilla intuitiva che si sprigiona dal cuore. I languori diluiti di Anxiety, i glitch inquietanti e abrasivi di S-FLM sono tunnel decompressivi, ridondanze cervellotiche, sconfinati smarrimenti che finiscono per riportare l’umano a se stesso. Rising è la riconversione, è la macchina piegata al racconto di un linguaggio profondamente e intimamente umano. Tutto diventa funzionale ad una descrizione personale estemporanea e fantasiosa. L’inesprimibile che si apre ad orizzonti comunicativi nuovi, la ricerca sofferta e inquieta che si affaccia alla luce.
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