Randall Dunn BELOVED
[Uscita: 09/11/2018]
Stati Uniti
Ben strano dover presentare il disco di esordio di chi, frequentando con assiduità e competenza gli ambienti musicali dark/noise/extreme /heavy, ne è a ragione considerato un esperto veterano. Seppur non in cima ai pensieri del grande pubblico Randall Dunn ha costruito la sua ottima reputazione arrangiando misture nerissime per i Sunn O))) e Earth e producendo alcune tra le cose migliori uscite degli ultimi vent’anni in ambito dark/gothic come Anna Von Hausswolff. L’idea di esporsi con un lavoro autonomo entrando così nel difficile agone della produzione solista arriva però solo nel 2018 con l’album “Beloved”. Si intrecciano qui tutti i sentieri battuti da Randall Dunn nella sua attività artistica, in particolare emerge in modo piuttosto vigoroso il senso di irreparabilità che promana da ogni singola oscillazione del sintetizzatore tanto che tutto il disco sembrerebbe un requiem Cyberpunk alla morte del genere stesso. “Beloved” è in sintesi la destrutturazione della distopia in funzione dell’ineluttabile distruzione di ogni mitologia o sarebbe meglio dire mitografia. Le ipnotiche scosse elettriche e lo scollamento con la melodia suonata da ciò che sembra essere un clarinetto infernale in Virgo suggellano la separazione tra volontà e libertà; la melodia è solo un effetto secondario di un pattern insensato. Anche nel momento in cui l’umano sembra far capolino tra la bruma di un’apocalisse che non arriverà mai; anche nel momento in cui la voce malinconica di Frank Fisher attraversa Something About That Night, proviene come un ricordo dal passato, inefficiente e inefficace di cui la successiva Theoria/Aleph sembra dar conto, sospesa così com’è tra reminiscenze borgesiane e suggestioni mistico-matematiche.
Non è possibile esporre che storie parziali, produrre suoni scissi e melodie incrinate, il suono saturo è la cancellazione di ogni ricomposizione che non sia dissonante. Nonostante questa lettura umbratile il disco non si muove su corde depressive lasciando spazio ad una leggerezza di fondo – la critica alla caratura compositiva è inclusa nel giudizio - molto lontana dalla radice doom dell’autore. Una distopica leggerezza, si potrebbe dire dopo avere ascoltato il tripudio decadente messo in scena da Mexico City o l’apertura falsamente ingenua di Amphidromic Point. A chiudere la riflessione di Dunn la seconda composizione cantata del disco, A True Home, un Wiegenlied ispirato a una poesia del maestro buddista Gesshū Sōko e interpretato da una Zola Jesus in gran forma. “Beloved” rappresenta lo sforzo autentico di far quadrare i conti con l’anima all’epoca dell’intelligenza artificiale. Il tentativo di Rundall Dunn ci sembra vada nella direzione di un superamento della dicotomia tecnologia/umanità che non preveda alcuna separazione tra l’umano e l’artificiale, che vengono al contrario imbricati l’uno nell’altro. La direzione è quella giusta ma il risultato è paradossalmente ancora troppo artificioso.
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