Fennesz AUN – THE BEGINNING AND THE END OF ALL THINGS
[Uscita: 28/06/2012]
Christian Fennesz si descrive da sé: i suoi lavori lo qualificano interamente. Pleonastico anche ricorrere a formule definitorie della sua musica che lasciano il tempo che trovano (glitch, ambient, fault music…): è solo grande musica. L’ennesimo tassello sonoro dell’artista austriaco, dopo capolavori quali “Venice” o “Endless Summer”, solo per attenerci ai più noti, è di quelli che lasciano il segno. “Aun” è la colonna sonora dell’omonimo film di Edgar Honetschlaeger, e contempla tra le sue tracce la collaborazione virtuosa di Ryuichi Sakamoto, già ottimo suo coaudiutore in “Flumina” e nell’Ep “Seven Stars”, a dar virtuoso risalto alle acquatili note del Nostro. L’album è di pregevole fattura, nutrito di atmosfere liquide e mai aspre all’acchito, un morbido tappeto sonoro dispiegantesi lungo linee sinuose e fluidamente accattivanti. A partire da Kae, scivolante su un esile nastro di tastiere e come inoltrantesi in un bosco di simboli sonori; proseguendo per segmenti evocativi, impreziositi dal piano di Sakamoto, discreto e intarsiato di madreperlacei riflessi, insieme, quali Aware, Haru, Trace, a sottolineare le sfumature che il genio nipponico riesce a immettere nella già fulgida architettura compositiva del disco.
Pezzi come Euclides, poi, sono da antologia, una passeggiata elastica sul velluto dei suoni, costellata dalle suggestioni mai opprimenti di costanti soundscapes; o Sasazuka, un’incursione nei territori levigati della mente; o, ancora, la sincopata cavalcata elettrica, modulata in maliose e avvolgenti spire, di Aun40, di gran lunga il frammento migliore dell’album, che qui tocca vertici di inaudita poesia neurale. Nemuru innalza, invece, il ritmo dell’opera, grazie all’immissione di più puntuti intarsi elettronici, una sorta di increspatura temporanea nel mare quieto della suadente composizione. Himitsu riacquista subito la dimensione della calma linea espressiva, appena screziata dalla successiva Aun80, frammento tra i più ostici e graffianti dell’album, la punta di un compasso che penetra la molle ovatta del suono e leggermente la dilania. Nympha riattinge la purezza delle atmosfere equoree non conturbate da elementi esogeni, un tocco di strumenti ad arco modulati sulle frequenze dello spirito morbidamente innamorato del vuoto. Di pregevole fattura, e a far da degna epitome al disco, sono, poi, Shinu e Hikari, soprattutto quest’ultima, un flusso liquescente di magiche tastiere sfocianti, come in un estuario di vellicamenti sonori, nel loro precipuo alveo di melodia fluviale. Bellissima opera, infine, preziosa rappresentazione musicale e poetica ricerca di grazia interiore, sulla scia del quieto fiammeggiare delle costellazioni.
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