Thelma & Louise – 30esimo Anniversario Ridley Scott
Regia: Ridley Scott; Cast: Susan Sarandon, Geena Davis, Harvey Keital, Brad Pitt, Michael Madsen; Genere: Drammatico; Durata; 128 minuti; U,S,A,, Francia, 1991; Produzione: Metro- Goldwyn-Mayer.
Louise Sawyer è una sfrontata cameriera di un fast food che, alla soglia dei quarant’anni, si accorge di indossare un vestito troppo stretto, ricamato con un lavoro insoddisfacente e con una relazione sentimentale che non riesce a decollare. Thelma Dickinson è un’avvenente ed impacciata casalinga, imprigionata in un matrimonio senza amore, stipulato a diciotto anni in ossequio a quell’odiosa tradizione che induce le liceali di periferia ad accasarsi con il primo borghese che consenta loro di uscire dalle mura familiari. Un matrimonio medievale, dove vige una rigida separazione dei ruoli di stampo patriarcale, ove la moglie è relegata con rassegnazione alla subalternità, all’ubbidiente assolvimento delle mansioni domestiche. Le due donne sono legate da una longeva amicizia vissuta nell’ombra degli stereotipi di una realtà provinciale misogina. Un sodalizio che racconta di innumerevoli repressioni, rinunce, mortificazioni. Louise, indomita e combattiva ad onta di un passato drammatico, tenta di imprimere una scossa alla routine e di coinvolgere la più rassegnata Thelma in un insolito week-end in montagna. In quello che dovrebbe essere un piccolo atto di ribellione. E così, con un sorriso smagliante che profuma di libertà, le due amiche accendono il motore della Thunderbird decappottabile di Louise e cominciano a sfrecciare per le strade dell’Arkansas.
Nel bagaglio improvvisato da Thelma c’è spazio per una pistola, trafugata dagli intoccabili cassetti del marito, portata con sé per l’intima paura di ciò che sta all’esterno delle mura domestiche. Un esterno che non ha mai avuto una chance di esplorare. La prima sosta del viaggio avviene in uno squallido locale country, un covo di stereotipi degli eccessi del maschilismo. Thelma, poco avvezza ad alcool e movida, viene abbordata da un becero bellimbusto, un presunto macho irrimediabilmente convinto che una donna non accompagnata, allegra, non eccessivamente schiva di fronte agli approcci, si appiattisca alla stregua di un oggetto del quale poter disporre senza limiti. I bagordi precipitano in un dramma. L’avventore, alterato e non disposto ad incassare un rifiuto da una preda che considera già conquistata, tenta di violentare Thelma nel parcheggio del club. La ragazza viene salvata da Louise, grazie a quella pistola che neutralizza il sudiciume di un mondo che si presenta spietato e senza scrupoli a due occhi che luccicano di speranza e curiosità. Il cacciatore, non ancora rassegnato, sfoggia un ampio repertorio di volgarità e misoginia. Louise preme il grilletto, il proiettile uccide. La vita delle due donne cambia per sempre. Thelma & Louise dismettono i panni di donne comuni a caccia di qualche frammento di emancipazione e, senza esserne troppo consapevoli, si presentano agli albori degli anni ’90 con le spoglie delle giustiziere, delle rivoluzionarie, delle eroine.
Le creature di Ridley Scott decidono di non costituirsi, in quanto non ripongono fiducia nel sistema giudiziario statunitense, e nella tutela che Stato ed opinione pubblica siano in grado di garantire nei confronti delle donne vittime di violenza, tentata o consumata. La Thunderbird della spensierata vacanza si trasforma così nella fedele compagna di un’estenuante latitanza. Lungo la strada incontrano gli sguardi di biasimo di una collettività retrograda, sedicenti seduttori che dissimulano l’impietoso allure dell’approfittatore, squallidi e laidi depravati, poliziotti conservatori e poco tolleranti nei confronti di due donne al volante. Senza mai perdersi d’animo, reagiscono ad ogni avversità, contaminando le lande che attraversano con gli echi del “Girls just want to have fun”. Ogni chilometro che si lasciano alle spalle è segnato dalla scia indelebile di un dogma infranto, di un tabù sfatato negli archetipi hollywoodiani. La rivoluzione di un road movie appannaggio delle donne, che sottraggono il monopolio dei ciclomotori agli autisti di genere maschile. Come un rinnovato e assordante grido post-sessantottino che, ad oltre venti anni di distanza, promana dai megafoni di un “Easy rider” in gonnella. Fino all’inizio delle riprese, infatti, l’unico esperimento di automobilismo femmineo – che trascende nel puro erotismo – è targato Russ Meyer, con il cocktail di sesso e violenza in bianco e nero “Faster, Pussycat! Kill! Kill!”. L’opera che, già a metà degli anni ’60, getta le basi del personaggio tarantiniano de “La sposa”. Una pellicola che gioca tutt’altra partita. La rottura degli schemi del viaggio di "Thelma & Louise" si spinge ben oltre. Per la prima volta, nel grande schermo, il personaggio dell’eroe – o, forse, dell’antieroe, fuorilegge per una causa nobile – è interpretato da un volto femminile. Non una Wonder Woman, non un tenente Ellen Ripley che salva il mondo dagli alieni predatori nel precedente capolavoro di Ridley Scott. Un volto ordinario, proiettato in un contesto intriso di realismo, privo di poteri speciali e animato unicamente da una profonda ferita da riscattare. Un ritratto nel quale migliaia di donne riescono ad identificarsi. Anzi, il centro della scena spetta ad una coppia d’azione al femminile, che riesce a conquistare il supporto del pubblico anche di fronte a gesti discutibili. Un cambiamento vieppiù epocale se si considera che il tandem cinematografico, sin dai tempi del gangster movie e del polar francese, ha perlopiù riservato alla componente del gentil sesso – ove presente – il ruolo di femme fatale, ammantata da quel fascino che rappresenta un’arma più letale della pistola. "Thelma & Louise", a dispetto della loro bella presenza, ripudiano i crismi della dark lady, l’arma della seduzione per raggiungere i propri scopi, ogni forma di mercificazione del corpo. Vestite con abiti casual, scapigliate e trasandate come due fuggiasche, usano metodi spicci per rivendicare la propria intangibilità fisica e morale, per pretendere il riconoscimento del più ampio diritto di scegliere, per dimostrare il totale disprezzo verso un mondo che le ha corrotte. Il ruolo di leader della coppia, per buona parte del percorso detenuto da Louise, viene, nel prosieguo, ripartito equamente tra le due donne, le cui differenze caratteriali evaporano al cospetto dell’obiettivo comune. Thelma, abbandonati completamente i residui di quell’ingenuità che le hanno procurato numerosi torti, si lascia trasportare da un turbinio di spregiudicatezza che rivitalizza l’amica nei momenti di scoramento. Insieme, potendo contare unicamente sulla forza del loro legame, riescono a prendersi un’agognata rivincita nei confronti del genere maschile. Non contro tutti gli uomini, ma contro quegli uomini che odiano apertamente le donne. La forza della coppia dell’Arkansas presenta tratti di acuta similitudine con il rapporto sororale che trascina Idgie e Ruth, sullo sfondo ancora più feroce dell’America sudista degli anni ’20, nelle battaglie quotidiane di indipendenza che gravitano attorno al café dell’opera coeva, seppur meno fortunata, “Pomodori Verdi Fritti Alla Fermata Del Treno”. Un altro caposaldo cinematografico della lotta per l’uguaglianza di genere, nel principio di un decennio che si annuncia pregno di cambiamenti.
Il viaggio volge al termine. Lungo la via Thelma & Louise raccolgono sei nomination agli Oscar e quattro candidature ai Golden Globe. Vinceranno, in entrambe le rassegne, solamente il premio per la migliore sceneggiatura originale targata Callie Khouri. Come in ogni vicenda del loro vagabondaggio, le ragazze avrebbero meritato una sorte migliore. Ma, si sa, loro non sono particolarmente legate alle etichette. Le due guerrigliere si trovano accerchiate dalle forze di polizia di fronte ad uno strapiombo, l’incantevole e fottutissimo Grand Canyon. Non si arrendono alla prospettiva di trascorrere gran parte della loro vita in una gabbia ancora più odiosa di quella cui erano abituate, ove – chissà per quante volte ancora – potrebbero essere costrette a subire violenza. Una resa che le ridimensionerebbe nella memoria collettiva. Si scambiano un bacio innocente, o forse saffico. Non è dato sapere. La società non sarebbe pronta per un’altra bomba, dallo scoppio ancora più fragoroso. L’acceleratore è premuto. Arriva il grande salto.
Verso la libertà.
Verso la storia.
Verso il mito.
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