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15 Febbraio 2013

AA.VV. NO NEW YORK: prove di nichilismo sonico

1978 - Antilles Records

no new yorkEsistono gemme preziose nell’universo dell’arte musicale, dei diamanti, dei punti di accumulazione di energie non identificabili e generatori, a loro volta, di equilibri instabili quasi fossero il crocevia di leggi fisiche che si enunciano per poi infrangersi, eludersi, saltar oltre: un paradigma nietzschiano; “No New York”, compilation pubblicata nel 1978 dall’etichetta Antilles Records e prodotta dall’immenso Brian Eno può a buon diritto annoverarsi tra le perle rare di un universo che rappresenta un bisogno, pioniere delle necessità salvifiche, nonostante tutto, delle generazioni a seguire. Gli anni ’70 sfumano il loro fulgore con tutte le correnti musico-culturali che li hanno sostenuti, i tempi convenzionali aumentano sensibilmente le capacità di rappresentazione della società rompendo violentemente la sincronia che si era per un attimo perseguita tra micro e macro movimento, l’illusione del tempo cala sul mondo come il velo di una maya, supportata, tacitamente, da un linguaggio paraeconomico.

 

Gli anni ’80 sono alle porte con quella che sarebbe poi stata chiamata New Wave, prodotto semantico sul quale si elaborò una speculazione artificiosa, facendo coincidere una mutazione del vissuto del pensato quotidiano con una produzione overground che avrebbe dovuto avere (ed ha avuto) l’ardire di produrre contraffazioni che avrebbero sostituito, e del tutto deviato, l’essenza dell’originale. Il genere suonato dagli artisti che hanno concorso alla realizzazione di questo album, concepito qualche anno prima che avvenisse tutto ciò, fu definito NO WAVE e più che un genere, questo, fu un movimento,Nonewyork_LP_bbackcover un’avanguardia che ha riunito tutte le discipline artistiche, non solo la musica. Le formazioni che hanno concorso, con le loro esecuzioni, a creare quest’opera, sono state:

 

Contortions  

Teenage Jesus and the Jerks 

D.N.A.  

Mars   

 

 

JAMES CHANCE & THE CONTORTIONS

James Chance — saxophone, vocals / Don Christensen — drums / Jody Harris — guitar / Pat Place — slide guitar / George Scott III — bass / Adele Bertei — Acetone organ

 

Ad aprire le danze sono proprio i Contortions di James Chance con il brano Dish It Out: nessuno sconto, non c’è coccola neanche lievemente accennata da un’ipotesi melodica nascosta e che transiti celata dietro lo spettacolo di suoni che prendono vita individuale, per miscelarsi in un tripudio tribale di correnti indipendenti, suono–testo. Quasi a caso, in momenti sensibili, all’unisono si dispongono in controtempo sul filo di una lama che sta sferrando la stilettata lirica: “I wanna see some emotion / Not the usual fluff / I wanna be that one to tell you / When to start and when you've had enough”

“Voglio vedere qualche emozione / Non il solito fluff / Voglio essere quello che ti dice / Quando iniziare e quando ne hai avuto abbastanza”

 

Il prosieguo è il tono cupo e granitico di Flip your face (Capovolgi  il tuo volto); la parola è fuori controllo, gli ambienti in continuo mutamento, una stanza-nonstanza, lo spazio ed il suo complemento; James Chance (James White) classe 1953, è un artista poliedrico, comunica attraverso tutte le forme possibili di trasporto diretto dell’idea: dalla musica alla letteratura; polistrumentista ed ovviamente scenografo dell’anfiteatro delle sue nonewyorkjameschancerappresentazioni attraverso i pezzi che esegue assieme alla band, essenziali, minimali, il brivido rappresentato con un ritardo di un millisecondo rispetto alla sua reale definizione, tutto questo attraverso il senso dell’udito che sdoppia la propria percezione in momenti di suggestioni impartite come lontani schiocchi di frusta. Jaded (Stanco), un ritratto con i colori che pulsano profondità, Chance è in grado di modulare i contorni ed andare oltre quel nichilismo che a torto gli si potrebbe imputare, per cui sfuma con il carboncino gli strascichi di un passo rallentato sotto il peso di sé, lo sfondo piace immaginarlo come un vicolo periferico coi marciapiedi lucidi d’umido che riverberano flebilmente le luci bianche dei neon provenienti da lontano. Il contributo di James White e la sua contorcente band è la rivisitazione del brano I can’t stand myself  di James Brown: “When you touch me / Look here / I can't stand it /Can't stand it / I can't stand your love / I can't stand your love”

“Quando mi tocchi / Guarda qui / Io non lo sopporto / Non lo sopporto / Non sopporto il tuo amore / Non sopporto il tuo amore”.

 

TEENAGE JESUS AND THE JERKS

Lydia Lunch — guitar, vocals / Gordon Stevenson — bass / Bradley Field — drums

 

Si prosegue con Teenage Jesus and the Jerks, band fondata dalla vocalist Lydia Lunch e da James Chance che poi abbandonerà per dar vita al progetto con i Contortions. Le songs dei TJJ sono un connubio al vetriolo di esperienze comunicative esasperate che caratterizzano l’energia espressiva della band, il loro pezzo di apertura è Burning Rubber (Gomma Bruciata), un proclama virtuoso, una poesia la cui architettura è sospesa su fondamenta dissonanti, una successione di haiku irregolari, un verso in più rispetto al canone tradizionale: “The leaves are dead / The door's always closed / The garbage screams at my feet / I want to be alone”

“Le foglie sono morte / La porta è sempre chiusa / La spazzatura urla ai miei piedi / Voglio stare da sola”.

 

nonewyorklydialunchIl brano successivo è The Closet (Armadio),  la dissezione di una sensazione affrontata con la disinvoltura filologica e metrica tipicamente beat, alla stregua di un Ginsberg di tutto rispetto: “Suburban wealth and middle class well being / All it did was strip my feelings / Personality down the drain / After all who needs a brain / Take a bullet to my eyes / Blow them out and see if I die”

“Ricchezza suburbana e benessere della classe media / Tutto ciò che ha fatto è stato spogliare i miei sentimenti / Personalità giù per lo scarico / Dopo tutto chi ha bisogno di un cervello? / Porta una pallottola ai miei occhi / Soffiali fuori e vedi se muoio”

 

Il concetto si confonde con il soggetto, l’ermetismo diviene una scelta coraggiosa: la terza via che sposa due coscienze divergenti sul piano della percezione. Red Alert (Allarme Rosso)  è una piece strumentale di trenta secondi che stira l’ansia fino a determinare un’apnea istantanea che strozza il convergere dei flussi al secondo trentuno: un’esperienza sulle teorie crowleyane degli orgasmi strozzati. Lydia Lunch & Co. chiudono la loro performance nell’album con I woke up dreaming (Mi svegliai sognando) dalle atmosfere decisamente post-punk ed il cui testo ricorda dolcemente formule della prosa Beckettiana: “You're my wound, my wrists are split / My elbows twisted, my shoulders bent / My knees arthritic / I woke up bleeding, you are my razor / I want to touch you, my fingers quiver / Across the window / Under the curtain / Break the glass / Feel the pain / My guts in knots, I convulse / I fall on the floor, I search for a pulse / I woke up heaving, you are submission / I want to touch you, my fingers shiver / Across the street / Under the pavement / Open the concrete / You're the heat”

“Tu sei la mia ferita, i miei polsi sono divisi / I miei gomiti contorti, le spalle piegate / Le mie ginocchia artritiche / Mi sono svegliata sanguinando, tu sei il mio rasoio / Voglio toccarti, le mie dita fremono / Attraverso la finestra / Sotto la tenda / Rompere il vetro / Sentire il dolore / Le mie viscere in nodi, ho convulsioni / Cado a terra, cerco un impulso / Mi sono svegliato ansante, tu sei bisogno / Voglio toccarti, le mie dita tremano / Dall'altra parte della strada / Sotto il pavimento / Aprire il calcestruzzo / Tu sei il calore”.

 

nonewyork marsMARS

Sumner Crane — guitar, vocals / China Burg — guitar, vocals / Mark Cunningham — bass, vocals / Nancy Arlen — drums

 

Entrano ora in scena i Mars, band fondata da Summer Crane nel 1975 e a cui si è unita poco dopo China Burg, band con tendenze noise dai testi sperimentali caratterizzati da immagini risultanti da successioni di predicati che si spiegano a ritroso rispetto alla rappresentazione, una procedura di decodifica della decodifica che rappresenta il modello su cui implode il linguaggio sino all’emissione del semplice rumore-suono. I brani con cui i Mars sono coinvolti nel progetto NO NEW YORK sono, nell’ordine Helen Fordsdale Hairwaves -Tunnelche è un esperimento interessante: su un riferimento sonoro costante e senza variazioni si articola un poema telescopico, una successione orizzontale di stanze che sono le mutazioni possibili di una sensazione: “My devil makes me dream / Like no other mortal dreams / With a blank eye corner”

“Il mio diavolo mi fa sognare / Come non altri sogni mortali / Con un angolo dell'occhio vuoto”

E’ il dettaglio a fornire la chiave dell’artificiosità scoperta e tradotta con la profondità semantica di un particolare altrimenti relegato nella classificazione onirica. Con Puerto Rican Ghost i Mars si congedano.

 

D.N.A.

Arto Lindsay — guitar, vocals / Robin Crutchfield — organ, vocals / Ikue Ile — drums

 

I D.N.A. di Arto Lindsay, band formatasi nel ’78 ed il cui nome fu preso da una canzone dei Mars; i D.N.A. rappresentano la perfezione in progress dell’alchimia di cui si fa portatrice l’avanguardia NO WAVE, la mira è la contestualizzazione dell’universo intimo in una serie di movimenti cui la musica fa da cornice senza mai scendere a compromessi di alcun genere: l’esigenza è di scorporare pensiero ed azione in visioni sovrapposte come suggestioni tantriche essenziali sfasate di colori. Il pezzo con cui aprono è Egomaniac’snonewyork dna kiss  (Bacio egocentrico), un pensiero scandito come “l’accadere” di forme che potrebbe ricordare alla lontana il modo di comunicare degli antichi egizi tramite geroglifici. Lionel è un pezzo strumentale, caratterizzato da una tensione costante ottenuta dalla miscelazione delle performances noise dei singoli componenti del gruppo. Not Moving (Immobile) è il fiore all’occhiello di questo album, il trionfo del genio, la perfezione che scuote per un attimo i sensi in un brivido dopo aver metabolizzato il quale non c’è via di ritorno, ed ogni occasione di fuga è vana perché è vana l’impressione del movimento che determina la sensazione, vana è la sensazione: “When you went this way / I went that way / Where are we going? / We're not moving / Not moving…”

“Quando sei andato via / Sono diventato  in questo modo / Dove stiamo andando? / siamo immobili / immobile”.

 

L’esperienza del relativismo è connaturata alla coscienza di punti di osservazione tutti validi ed ognuno con le proprietà intrinseche che lo caratterizzano che sono, a loro volta, composizioni di universi relativi, una nebulosa dunque apparentemente statica (apparentemente prendendo in considerazione il concetto di velocità infinitesime legate a spostamenti altrettanto infinitesimi nell’arco di tempi infiniti) ma caratterizzata da componenti in movimento. L’epilogo di No New York è dunque affidato ai D.N.A. con Size (Proporzione), la consapevolezza conseguente allo spingersi oltre tutti i confini: “I can compete with life and all its details / Don't hold my hand / Don't hold me in your hand / Throb like a bloody bone/ Eye along a branch abandon / Pure throat”

No_Wave_splash-thumb“Posso competere con la vita e tutti i suoi dettagli / Non tenermi la mano / Non tenermi in mano / Palpitare come un osso sanguinante / Occhio lungo l’abbandono di una diramazione / Gola pura”.

 

Guardando un’installazione di Dan Graham, un esponente della No Wave in campo visual, ho pensato: “l’immagine transita sul mezzo che la rappresenta”, e questa formula può estendersi a quella che è l’essenza di un’avanguardia che nasce a cavallo tra due ere, che deve mutuare il succedersi di due generazioni, e che contemporaneamente necessita, per un discorso di conservazione e continuità dell’essere, di prescindere da tutte le congetture temporali, rimestarle, giocarci, annientarle e spogliare l’individuo di tutto l’inutile che lo circonda; avrà forse intuito questo il geniale Brian Eno quando ha pensato di produrre No New York, che è stato poi ristampato in CD nel 2005 a cura della Lilith Records, una pietra preziosa dunque, capace di riflettere, assorbire ed emettere quella luce crepuscolare entro cui è concepita. 

Enrico Quatraro

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