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17 Luglio 2021 ,

Julian Lage Squint

2021 - Blue Note Records
[Uscita: 11/06/2021]

In una intervista di parecchi anni fa Franco Cerri disse che la chitarra aveva una caratteristica unica rispetto a tutti gli altri strumenti, e cioè che viene suonata con un gesto delle braccia molto simile ad un abbraccio, come a siglare un patto di reciproca appartenenza. L’elemento però che rimaneva impresso di quella intervista era che, nell’esprimere questo concetto, Cerri facesse un grande sorriso da cui si percepiva un amore incondizionato per la musica. Oggi pochi musicisti trasmettono la gioia di suonare come Julian Lage, quella speciale luce che sembra irradiarsi allo stesso modo delle note prodotte con il proprio strumento. Il chitarrista californiano ha negli anni affinato uno stile personale al pari della enorme perizia tecnica che lo pone come uno dei maggiori talenti del nostro tempo, con una visione che lo porta a superare i confini di ogni genere. Il valore aggiunto di Lage, che è poi la stessa cifra riconoscibile nella sensibilità di Bill Frisell, è quella di rendersi partner perfetto in sessions collettive in cui fare emergere il contesto piuttosto che l’individualità, riuscendo a mettersi da parte nel momento in cui ciò serve all’economia del brano (vedi “8: Kindred Spirits (Live From The Lobero)” con Charles Lloyd). Da solista Lage è semplicemente fenomenale per il modo con cui coniuga una base di tradizione fatta di standards superati con la chiave di un virtuosismo che rende tutto contemporaneo, nonostante un rigore quasi classico nelle esecuzioni a cui fa da contrappeso un nucleo emotivo che si nutre di Americana. A due anni da “Love Hurts”, edito per i tipi della Mack Avenue, Lage licenzia il nuovissimo “Squint” per la prestigiosa Blue Note, scegliendo ancora una volta una formazione a tre con i collaudati Jorge Roeder al contrabbasso e Dave King alla batteria. L’opener Etude è una sonata diremmo bachiana per 'solo' chitarra in cui l’uso dei contrappunti sembra sdoppiare il suono, con la successiva Boo’s Blues entrano in scena Roeder e King in un blues sincopato dall’attitudine apparentemente molto basica. L’omonima Squint ha una struttura armonica che cerca di disorientare evitando la chiusura del cerchio con soluzioni di rottura ed in un modo che ricorda le linee di John Scofield, mentre la successiva Saint Rose corre lungo i binari di una ferrovia sotterranea definita dal drumming lineare di King che esalta le dinamiche di Lage nello sporcare le note quando serve. Il celebre brano di Johnny Mandel Emily diventa una ballad notturna e avvolgente incastonata all’interno di una struttura ritmica misurata, a sostegno di un mood intimista vicino alle vibrazioni di Pat Metheny e Charlie Haden. Dopo Familiar Flower e le sue asimmetrie alla Nels Cline, arriva la riproposizione di Day And Age, già presente in "World's Fair" del 2015, a rischiarare l’orizzonte con il suo respiro da frontiera. Lungo tutto l’album si ha l’impressione che ogni brano sia stato pensato per la sola chitarra e che tutto l’apparato ritmico graviti come satelliti in orbita attorno ad un pianeta, come succede in Quiet Like A Fuse, uno dei pezzi centrali dell’album in cui si alternano pieni e vuoti. L’America ritorna con le nuances della conclusiva Call Of The Canyon a rinsaldare le radici di un legame che ha a che fare con la casa ideale che ognuno porta con sé. “Squint” è un disco che rende omaggio alla musica e alla vita che, per essere vere, devono poter coincidere. Così come accade ad un artista come Lage e al suo sorriso.

Voto: 7.5/10
Giuseppe Rapisarda

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