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11 Maggio 2014 ,

Mac DeMarco SALAD DAYS

2014 - Captured Tracks
[Uscita: 01/04/2014]

macdemarcoSalad days”, un’espressione che potremmo tradurre come “i bei tempi andati”, è il titolo del nuovo disco di Mac de Marco. Proprio questo titolo può fare da spunto a una riflessione: a sessant’anni dall’uscita di Rock around the clock, considerato (erroneamente) il primo singolo rock’n’roll, molti pensano che i bei tempi andati siano lontani, che il rock abbia già detto tutto da tempo, eccetera eccetera. È anche vero; ma chi si ostina come noi a dare la caccia ai musicisti nuovi viene spesso ripagato. Giunto al terzo album il canadese Mac DeMarco (nato Vernor Winfield McBriare Smith IV il 30 aprile 1990) si conferma un bel talento da seguire. Già il precedente “2” mostrava un songwriter ispirato, a suo agio nel mescolare le lezioni di chi l’ha preceduto (lui cita Shuggie Otis, Steely Dan, Weezer, Jonathan Richman, noi ci sentiamo di aggiungere Lou Reed e Marc Bolan), come nello scrivere melodie sbarazzine e orecchiabili, nel senso migliore del termine, in uno stile che lui ha battezzato scherzosamente jizz-jazz e i blogger invece blue wave. Caratteristica dello stile di Mac, oltre alla voce nasale, stile glam rock anni ’70, il suono brillante delle chitarre, suonate con fraseggi un po’ sghembi, che fanno pensare a certa musica africana, vedi King Sunny Adè, reso cristallino dall’uso del chorus.

 

Mac DeMarcoLe canzoni, all’apparenza semplici, si rivelano ascolto dopo ascolto autentici gioiellini pop, equilibrati nella scrittura e sapienti negli arrangiamenti. Songs come la title track (il titolo omaggia Adrian Belew e gli Young Marble Giants, nome che ci farà sempre battere il cuore), la jazzata Blue Boy, la solare Brother, o Let my baby stay, che farebbe invidia al Beck più ispirato,  fanno innamorare. I tempi sincopati e indolenti, “slacker” li chiamano i fanzinari americani, sono deliziosi. Mac DeMarco dice in un’intervista che deve questo disco alla scoperta del sintetizzatore e a un periodo di rabbia e stanchezza che ha influenzato i testi. Ma all’ascolto non si direbbe: il sintetizzatore fa capolino solo in un paio di brani, Passing out pecies e Chamber of reflections, la più vicina a certo revival anni ’80 (Neon Indian, Ariel Pink), ma molto più riuscita della media di quel genere, dove Mac si lancia anche nel falsetto. E rabbia e stanchezza non hanno minimamente inficiato la riuscita dell’album: ci troviamo di fronte a una serie di canzoni che ascolteremmo volentieri su una spiaggia californiana, e se non possiamo andarci pazienza, anche sentirle nel nostro appartamento va benissimo. Se ancora non avete scoperto Mac De Marco non perdete tempo, cercate questo disco. 

Voto: 8/10
Alfredo Sgarlato

Audio

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