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22 Marzo 2013

The Foals HOLY FIRE

2013 - Transgressive/Warner Bros
[Uscita: 21/01/2013]

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Oxford colpisce ancora. Dopo il successo planetario degli Alt J nel 2012, ritorna sulla scena indie rock un'altra band nata sotto la buona stella. Appena dopo l'uscita di questo loro terzo album “Holy Fire”  i Foals vengono premiati dai prestigiosi NME Awards per Inhaler, il miglior singolo di questo inizio anno. Una band subito diventata di “Cool-to” con i primi due album “Antidote” e “Total Life Forever” creando uno stuolo di fan tra hipsters e non.  Sicuramente i Foals sono un gruppo che non antepone la presenza scenica alla sostanza. Lo dimostra la qualità compositiva e la raffinatezza sonora di Holy Fire.  Influenze di ogni genere: dal math rock che scorre nelle vene dei fondatori Philippakis e Bevan sin dall’esperienza di The Edmund Fitzgerald, agli influssi dance rock, post punk, new wave per arrivare a sonorità più ambient. Si ascoltano influssi dei Talking Heads per arrivare a band contemporanee come the Wombats, Bombay Bicycle Club, MgMt, Explosions in The Sky. Holy Fire è un album variopinto che pone  la chitarra come protagonista accompagnata dalle morbide tonalità vocali del cantante Yannis Philippakis. L’uscita dei due singoli Inhaler e My number nei mesi precedenti ha dichiarato la precisa volontà della band di non voler rimanere ingabbiata in una cifra stilistica preconfezionata, ignorando la formula commerciale del “se funziona, continua così”.

 

Inhaler è infatti un brano che devia da quello che ci aspetteremmo di sentire dalle sonorità pacate, talvolta danzerecce dei Foals. E’ un pezzo a sé stante rispetto al resto dell’album: ha una strofa che accenna al synth pop degli MgMt, un bridge screamo ed un ritornello aggressivo prog rock. Devoto ai Talking Heads è l’altro singolo, My Number, che segue una linea melodico-ritmica davvero coinvolgente. Un pezzo azzeccatissimo per il lancio dell’album. La ritmica dei brani varia a seconda dell’ispirazione: si va da dinamiche piùfoals ballabili, come Everytime, Out of the woods, ad accenni drum and bass in Providence e lo-fi di Late night per arrivare a brani rock tipicamente british come Bad Habit, e Milk & Black Spiders. La matrice d’ispirazione ambient-post rock, identificata da arpeggi di chitarre in delay, piano e sintetizzatori apre il disco con il brano strumentale Prelude e si può assaporare durante tutte le tracce, in particolare in Milk & Black Spiders, una prosecuzione ideale del singolo Spanish Sahara di “Total Life Forever”, e nei due brani di chiusura Stepson e Moon, di grande intensità emotiva. In definitiva, Holy Fire è un album fresco e piacevole da ascoltare.

 

                                                          Andrea  Sgobba

 

Voto: 7.5/10

 

 

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Giunge al terzo titolo il quintetto di Oxford capitanato dal cantante chitarrista Yannis Philippakis, dopo l’interessante “Antidotes” con cui esordirono nel 2008 e l’album “Total Life Forever” del 2010, entrambi finiti nelle classifiche inglesi. Adesso cercano la definitiva consacrazione con questo “Holy Fire” molto ben accolto su riviste come Pitchforck e Les Inrockutibles. E’ quindi con interesse e buona predisposizione d’animo che ci siamo accinti a mettere sul lettore questo ultimo loro lavoro prodotto da Flood e Alan Moulder, due nomi importanti per tentare un salto decisivo  verso le vette del mainstream. Ma come spesso accade non tutte le ciambelle…, e infatti il disco dopo uno scintillante inizio con     una Prelude, vibrante, fantasiosa che sembra introdurci ad un album in cui creatività, energia, ritmo possono regalarci un po’ di sano rock non banale, così era stato per il loro debutto.

 

foalsBene adesso potete anche toglierlo dal lettore perché il resto è in gran parte un indigesto miscuglio di canto che vorrebbe forse essere epico, per intenderci alla U2 con i quali ha lavorato Flood, ma risulta soltanto pomposo in modo irritante, di immancabile funk, che oggi va tanto, di drum machine martellanti che saranno anche hype, ma ti fanno venir voglia di dedicarti ai melodici napoletani. Si fa davvero fatica ad ascoltare fino in fondo brani come Inhaler o My Number, le cose migliorano un pochino con Late Night, che si salva per le atmosfere malinconiche, arrangiamenti più spartani e un canto venato di soul, non male anche Providence su una ritmica frenetica e la voce di Philippakis che abbandona lo stucchevole lirismo per un canto più aggressivo e la conclusiva notturna, cupa Moon. Come spesso succede il desiderio di fare il grande salto, di conquistare il grande pubblico si rivela un salto nel buio che rischia di scontentare tutti, i tuoi vecchi fan che non vi troveranno più ciò che li aveva conquistati e resteranno insoddisfatti dalla rincorsa verso il mainstream, ed i potenziali nuovi fan per i quali il suono rimane ancora troppo legato alle origini indie. Ma poi magari mi sbaglio e il successo arriderà ai cinque di Oxford.

 

                                                        Ignazio Gulotta

 

Voto: 5/10

Andrea Sgobba - Ignazio Gulotta

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