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12 Gennaio 2012 ,

Death in June 17-12-2011, Zoe Club, Milano


Eccomi alla terza tappa del mio personalissimo Dark tour che in questa fredda serata milanese mi vede ritornare allo Zoe per il concerto sicuramente più atteso di questo mese, quello dei Death in June. Tra le varie diramazioni della musica Goth, una sicuramente molto particolare è il Neo-Folk che trova, proprio nei Death in June, con le loro suggestioni e misteri, i principali esponenti. Il gruppo, che aveva dato l’addio alle scene nel 2005, in vista del trentennale della nascita della band, quest’anno ha fatto uscire una versione rimasterizzata ed espansa del loro album di maggior successo, “Nada”, cui ha fatto seguito il 30th Anniversary European Tour 2011 che aveva già fatto tappa in Italia ad Ottobre e ora ritorna con l’aggiunta di alcune date tra cui, appunto, quella milanese. Sono le 22.30 quando sul palco salgono i Fire+Ice di Ian Read, già nei Sol Invictus di Tony Wakeford a sua volta ex Death in June, anche loro esponenti del Neo-Folk come a completare un cerchio ideale. Suonano per una quarantina di minuti un set fatto di percussioni e chitarra acustica nonché di un cantato abbastanza ripetitivo. La musica riflette gli interessi di Read sulla magia, sulle rune, il rinascimento, il medioevo, le mitologie nordiche e su altri argomenti esoterici e, nel corso dell’ultimo brano, sul palco sale anche Douglas Pearce, leader dei Death in June, alla chitarra per la chiusura di un set passato, onestamente, abbastanza inosservato. Poco dopo, lo stesso Pearce risale sul palco a terminare di sistemare gli strumenti tra l’indifferenza generale ed anche un po’ con mio stupore.

 

Sono le 23.30 ed il locale che, nel mentre, si è totalmente riempito, vede salire sul palco con sullo sfondo la bandiera nera con lo storico logo dei Death in June, il duo composto da un John Murphy in mimetica e maschera che si occuperà della batteria e percussioni e da Douglas P. che arriva come in molti speravano in mimetica bianca e la maschera dall’espressione sofferente che ha reso celebre l’immagine del gruppo. L’inizio è con Till The Living Flesh Is Burned ed un Pearce che agita maracas e sonagli percuotendoli vorticosamente sui suoi tamburi, scatenando una furia sonora davvero imponente che lascia presagire uno spettacolo davvero notevole. La maschera viene abbandonata dopo qualche brano (forse, anche per il gran caldo nel locale) per lasciar spazio ad una figura con berretto ed occhiali da sole e dalla vocalità malinconica che accompagnerà tutto il concerto. I tamburi infurieranno per tutto il live mentre la voce carica di pathos di un Pearce apparso un po’ distaccato (ma del resto lui non ha mai nascosto il suo disinteresse per il pubblico) ha regalato, con la sua chitarra acustica, melodie inedite ricolme di un decadente romanticismo. Un set a dire il vero che, pur spaziando tra tutta la discografia dei DIJ con brani quali, Leper Lord, She said destry (che per il sottoscritto vale da sola il prezzo del biglietto), KuKuKu, The honour of our silence, Fall apart, Behind The Rose (Fields Of Rape), Rose Clouds Of Holocaust, All Pigs Must Die, To Drown A Rose, Hollows Of Devotion, è risultato compresso (probabilmente a causa delle esigenze del locale) in alcune parti con canzoni “ritagliate” rispetto alle versioni originali e che termina con l’encore di C'est un rêve che cita anche Bin Laden e Gheddafi. Il set dura così in tutto un’ora e mezza scarsa lasciandomi qualche perplessità su un concerto che ha alternato momenti “alti” di coinvolgimento emotivo anche da parte del pubblico a qualcuno un po’ più “fiacco” ma, mentre esco dal locale, la consapevolezza di aver assistito ad una sorta di evento collettivo riesce comunque a scaldarmi il cuore, mentre fuori il gelo impera un po’ come il suono dei DIJ, sempre molto freddo all’esterno, ma in grado di scaldare gli animi dei più attenti.

Ubaldo Tarantino
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