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11 Marzo 2020 ,

John McLaughlin, Shankar Mahadevan, Zakir Hussain Is That So?

2020 - Abstract Logix
[Uscita: 17/01/2020]

Tralasciando le mirabolanti e prestigiose collaborazioni antecedenti, avevamo provato un subitaneo innamoramento per John McLaughlin già a partire dal suo esordio solista “Extrapolation” nel musicalmente preistorico 1969 dove accanto al sax di John Surman la sua chitarra, ancora semiacustica, intrecciava trame e orditi jazz di notevole valenza tecnica e creativa. L’amore si era poi consolidato con i furori jazz-.rock- progressive della stupefacente Mahavishnu Orchestra che guidata dalla chitarra nevrotica (ora ampiamente elettrificata) di McLaughlin scriveva pagine di assoluta bellezza in una formula personalissima che dette luogo a una mezza dozzina di album di notevole valore tra i quali almeno un paio di capolavori ("The Inner Mounting Flame" (1971) e "Birds Of Fire" (1973)). C’era poi stata la parentesi live di enorme successo di “Friday Night In San Francisco” (1981) dove McLaughlin, in trio acustico con due altri strepitosi chitarristi quali Al Di Meola e Paco De Lucia, raggiungeva il grande pubblico con un album tecnicamente eccelso ma musicalmente discutibile nel suo ibrido tra jazz, rock, fusion e flamenco che comunque metteva d’accordo tutti (o quasi) decretandone l’affermazione mondiale presso il pubblico più disparato. A dire il vero quasi dieci anni prima una precedente esperienza vedeva il chitarrista inglese affiancare Carlos Santana per un album piacevole ma controverso come “Love, Devotion, Surrender” ispirato musicalmente da John Coltrane e spiritualmente da Sri Chimnoy, sorta di guru indiano al quale i due chitarristi facevano riferimento. Questa predisposizione indianeggiante si sviluppò, per quanto riguarda McLaughlin, anche nella musica quando nel 1974 formò Shakti, band indo-britannica dedita a una forma di fusione tra il jazz (come McLaughlin lo concepiva) e la tradizione etnica indiana, sfornando, anche in questo caso, una mezza dozzina di album benché spalmati nel corso di una trentina di anni. Oggi, in questo 2020 appena cominciato e alle soglie degli ottant’anni, John McLauglin ripropone quella formula di etno-music che mai ha abbandonato affiancando il vero leader di questa formazione, l’evocativo e straordinario cantante indiano Shankar Mahadevan, e il prestigioso percussionista (tabla) Zakir Hussain che il chitarrista vede al suo fianco fin dal primo album degli Shakti (omonimo 1974). Il risultato è eccellente e altamente suggestivo; nonostante McLaughlin non si produca nei suoi famosi assoli velocissimi ed epilettici, ma si limiti principalmente a fare tappeto, utilizzando particolarmente la chitarra synth e altri marchingegni elettronici, al servizio della magica voce di Mahadevan, (che con un paragone azzardato possiamo accostare a quella del compianto Nusrat Fateh Ali Khan e al suo canto qawwali), con poche digressioni (The Search dove funamboleggia sul ritmo delle tabla) e ritagliandosi un ruolo quasi da comprimario, le conseguenze sono seducenti: l’affascinante voce del cantante indiano, tra brani tradizionali (Tara, Sakhi, The Guru) e originali del trio (Kabir, The Search, The Beloved), giganteggia tra vocalizzi, nenie e melodie orientali, le tabla tengono il tempo sussultando da par loro e McLaughlin svolge i suoi vaporosi tappeti sonori creando l’ammaliante atmosfera che pervade il tutto. Citiamo ancora il meraviglioso brano Sakhi punta di diamante dell’album dove, e forse non è un caso, la chitarra finalmente suona come una chitarra con un arpeggio di grande suggestione che ci ricorda che sopra quel manico ci sono sempre le dita di un certo John McLaughlin.

Voto: 7/10
Maurizio Pupi Bracali

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