Jon Lord Addio a Jon Lord (1941-2012)
Le più calde note prodotte dall’organo Hammond, e le più graffianti distorsioni generate della rotazione del Leslie che si potessero sentire in Inghilterra, per poi essere esportate nel resto del mondo, nel panorama hard rock degli anni ’70, furono senza dubbio frutto della passione e della magistrale tecnica di JON LORD, tastierista e padre fondatore dei DEEP PURPLE, assieme al chitarrista Ritchie Blackmore. Fin dai primi dischi non si possono non notare le forti influenze classiche che Lord ha tratto dallo studio di Bach e nel suo lungo percorso discografico non finisce mai di stupire l’ascoltatore con l’amalgama, nei suoi lavori all’interno della band, di diversi stili che vanno dalle tipiche sonorità blues di Lazy in “Machine Head” del 1972, che contraddistinguono il genere, a sonorità più ricercate, con tendenze elettroniche, che presentano dischi come “Burn” e “Stormbringer” rispettivamente del Febbraio e del Dicembre 1974. L’assenza di una seconda chitarra nei Deep Purple e l’utilizzo di molte strumentazioni tipiche di tale strumento applicate all’organo, come il pedale wah-wah o l’amplificatore Marshall, hanno portato Jon Lord all’utilizzo di una tecnica di esecuzione molto sincopata e ricca, tale da poter emulare le ritmiche e le stoppate proprie di un’elettrica.
Per questa invenzione gli furono debitori molti tastieristi tra cui quello degli Uriah Heep, Ken Henseley, ed il contemporaneo Vincent Crane, degli Atomic Rooster, che svolse parallelamente un percorso analogo. Tutti i suoi colleghi sono unanimi nel riconoscergli non solo le qualità artistiche ma anche quelle umane di umiltà e generosità; Kate Emerson, oggi gli porge il proprio estremo saluto definendolo un “Gentiluomo”. Jon Lord non è decisamente un tastierista “minimale” nonostante si prenda poco ed essenziale spazio nelle strofe e nei ritornelli di molti pezzi; ma i Deep Purple dedicano all’organo una posizione di rilievo: accattivanti introduzioni in studio, come in Speed King (dall’album “Deep Purple in Rock” del 1970) o live come in Higway Star nella versione “Made in Japan” del 1972 pongono Lord come indiscusso protagonista di molte tracce, all’interno delle quali non mancano assoli mozzafiato, carichi di espressività e gusto. Come non citare, a questo riguardo, Rat Bat Blue presente nel disco “How do you think we are” uscito nel 1973. La grande forza di Jon Lord era la capacità di trasmettere sensazioni forti. Non di inferiore bellezza è l’assolo di Burn, dall’omonimo album, in cui vengono riprese e arricchite le sonorità del precedente assolo di chitarra, immergendo l’ascoltatore nella frenesia e nel panico generato dai poteri della strega, protagonista di questa canzone.
La produzione di Jon Lord, nato nel 1941, e fin da subito dedito agli studi musicali, non è però circoscritta ai Deep Purple; oltre che negli Artwoods - '60 british band di beat/r&b - in gioventù, egli militò anche nei Whitesnake, suonò in molti progetti solisti degli elementi che si sono alternati nelle varie formazioni dell’una o dell’altra band, come Bernie Marsden, e produsse anche diverse opere soliste. Assieme ai suddetti artisti portò avanti numerosi progetti di caratura Rock e Blues, le sue due più grandi ed evidenti passioni, fino al 2004, anno nel quale decise di produrre un lavoro di stampo classico ed orchestrale, "Beyond the Notes". Nella sua carriera solista ha saputo confrontarsi con numerose esperienze musicali estranee al rock: nei suoi dischi solisti si possono trovare atmosfere dolci e rarefatte derivanti dalla new age, sonorità mutuate dalla musica etnica di tutto il mondo, dall’est europeo alle regioni dei nativi americani. Nell’ultimo periodo della sua vita, durante il quale ha dovuto combattere contro un cancro al pancreas, lasciandosi alle spalle le uscite live con i suoi progetti hard rock, primo tra tutti i Deep Purple - con i quali non ha smesso di collaborare in studio - si è dedicato prevalentemente al progetto orchestrale, che ha portato avanti fino a ieri, 16 Luglio 2012, giorno in cui Lord è deceduto, lasciando di sé una delle più grandi eredità musicali che un tastierista possa elargire ai posteri.
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