TJF – TORINO JAZZ FESTIVAL 27 aprile - 1° maggio, Torino
Primo Torino Jazz Festival (TJF) sotto la Mole, tra il 27 aprile e il 1° maggio 2012: ricco di proposte, gratis (non proprio tutto), molte sovrapposizioni, risultati artistici (e organizzativi) molto problematici da analizzare. Rilevante il budget disponibile (quasi 900.000 euro, con gli sponsor Intesa Sanpaolo e Iren al 65%; il restante 35% a carico della collettività torinese); organizzazione del Comune di Torino, con l'Assessorato alla Cultura e Turismo e la Fondazione per le Attività Musicali, con il meteo a fungere da variabile indipendente per gli organizzatori e i decisori.
In tempi non sospetti ci eravamo chiesti se a Torino sarebbero arrivati i turisti non solo per la Reggia di Venaria o l'Egizio, ma anche per il festival jazz: non ci eravamo sbagliati, perché il connubio tra il jazz e i richiami turistico-culturali non si è avverato, nonostante le cifre finali sbandierate (oltre 50.000 spettatori) e la sicura prosecuzione dell'iniziativa per il 2013.
Il TJF ha conseguito un esito artistico non del tutto positivo, con alcune eccezioni da sottolineare, anche per effetto delle scelte decise dalla direzione artistica di Dario Salvatori, noto esperto di musica, eccentrico presentatore televisivo, cresciuto alla corte di Arbore e approdato in RAI (in qualità di responsabile artistico del patrimonio sonoro dell'emittente pubblica).
Le location dei concerti e le modalità di fruizione hanno messo in rilievo una impostazione superficiale, poco attenta alle situazioni logistiche negative che le due sedi prescelte (piazzale Valdo Fusi e piazza Castello) hanno via via messo a nudo: in Valdo Fusi (accanto alla struttura del Jazz Club Torino) in uno spazio coperto capace di accogliere solamente 500 spettatori seduti (invitati compresi), si sono colti i momenti più significativi del festival (in particolare, con il concerto del pianista Ahmad Jamal); non altrettanto positivo è stato l'esito artistico (e organizzativo) che si è registrato in piazza Castello, nonostante un imponente (e costoso) stage, che ha accolto le esibizioni serali di più largo richiamo, dei gruppi Yellowjackets e di Billy Cobham, Dionne Warwick, i concerti del trio di Carla Bley con la Turin Project Big Band e della GrandeFestaJazz del 1° maggio, questi ultimi due interrotti a causa dei prevedibili e annunciati temporali.
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Venerdì 27 aprile, in piazzale Valdo Fusi, il quintetto Buena Vista Italian Jazz (perché proprio Buena Vista? mah!) è stato l'artefice della brillante apertura del TJF, con Dino Piana (trombone, 82 anni), Renato Sellani (pianoforte, 86), Franco Cerri (chitarra, 86), Luciano Milanese (contrabbasso) e Gianni Cazzola (batteria, 74), richiamando un folto pubblico di appassionati in grado di creare l'autentico clima di un festival jazz. Per il vostro scriba, è stato toccante incontrare amici di vecchia data e artisti dopo molti anni: fra i tanti, Franco Cerri si è ricordato di averci donato una prefazione al primo volume discografico (ancora inedito) sul grande chitarrista Barney Kessel ("Barney!", correva l'anno 1994, introduzione di Gian Carlo Roncaglia). Il secondo episodio, toccante, l'incontro con Nando Amedeo, bassista dei tempi d'oro del "Quintetto di Torino" che partecipò alla "Coppa del Jazz" (1960): Nando ci ha fatto omaggio di due preziosi doppi Cd, dove in uno di essi, in un tributo al "Kansas Cit" di Renato Germonio, canta Mario Corradazzo, che ci aveva improvvisamente lasciati, il 23 aprile. Eccellente la performance del gruppo, caratterizzata da una costante ventata di swing, con un repertorio molto ampio: It’s You Or No One (Cahn), Lady Be Good (Gershwin), Blues In The Closet (Pettiford), Line For Lyons (Mulligan), Bernie’ Tune (Miller), Copacabana (Ribeiro), Alfie (Bacharach), Bye Bye Blackbird (Dixon); ospite negli ultimi brani, il brillante violinista genovese Stefano Pastor (vincitore del referendum Top Jazz 2010 e 2011 della rivista Musica Jazz, sezione miscellanea); il finale, è stata un'autentica sorpresa, con Renato Sellani che ha chiamato sul palco la vocalist Roberta Gambarini (tra il pubblico) per un improvvisato e festoso bis, 'S Wonderful (Gershwin).
Venerdì sera, in piazza Castello, i britannici Yellowjackets, capiscuola della fusion, hanno fornito un'esibizione non del tutto all'altezza della propria consolidata caratura, dovuta all'assenza del pilastro Bob Mintzer (impegnato con la didattica, sostituito da Bob Franceschini al sax) e con il figlio di Jaco Pastorius, Felix al basso (dotato di una tecnica molto apprezzata, in luogo di Jimmy Haslip); l'esito del concerto non ci ha convinto, anche per altri fattori esterni: in primo luogo, la dispersività dell'ampia piazza Castello, ove l'acustica (non appropriata) impediva di cogliere tutte le sfaccettature strumentali, pur variegate ed eleganti delle esecuzioni. Il repertorio ha ripercorso l'ultimo Cd "Timeline" (Mack Avenue Records, 2011).
Sabato 28 aprile, nello spazio di piazzale Valdo Fusi, il concerto più importante e riuscito del TJF: il pianista Ahmad Jamal in quartetto, con l'esperto James Cammack al contrabbasso, il drummer e campione nel ritmo 6/8 Herlin Riley, il percussionista Manolo Badrena, già sideman di Joe Zawinul. Il pianista di Pittsburgh (82 anni il 2 luglio prossimo) ha premiato un pubblico straripante, stipato in ogni dove, con un concerto memorabile, dove ha saputo affermare compiutamente la sua vasta cultura musicale, dove il jazz va oltre i confini di ogni definizione accademica, per affermarsi come la vera, autentica "American Classical Music"; i titoli eseguiti sono stati tratti dal recente, riuscito CD "Blue Moon "(Jazz Village, 2012): ricordiamo, tra gli altri, l'incalzante Autumn Rain, una cantabilissima Blue Moon, l'interminabile e dilatata Invitation, la struggente I Remember Italy (composta però in Provenza, che ci ha commosso non poco) e una originale rilettura di Poinciana, un suo cavallo di battaglia.
Il concerto di Dionne Warwick il sabato sera in piazza Castello, annunciato come "l'evento" in un cartellone jazz per richiamare il grande pubblico, ha sofferto di alcune pecche organizzative: un unico set, troppo corto per apprezzare appieno la vocalist pop-r&b, accompagnata dalla Torino Jazz Orchestra (con ottoni e archi), sotto la direzione della pianista Kathy Rubbicco. Alle 22, spente le luci dello stage, l'afflusso in piazza Castello doveva mutare direzione, verso altre mete sonore.
La domenica 29 aprile, il concerto pomeridiano in piazzale Valdo Fusi di Ray Gelato & His Giants Orchestra ha divertito un nutrito pubblico festaiolo molto diversificato, con una esibizione in grado di miscelare un divertente swing con alcuni celebri temi della canzone popolare italiana, da Maria Marie di Edoardo Di Capua, al famoso Torero di Renato Carosone, o con altri evergreen e ballabili quali Mambo Gelato, Flying Home (Goodman), Everybody Loves Somebody (Coslow), My Kind Of Girl (McKnight), Baby Won't You Please Come Home (Warfield), Just A Gigolo / I Ain't Got Nobody (Casucci): interminabili le richieste di bis!
Nella serata di domenica in piazza Castello, i numerosi drummer non solo piemontesi e i fan hanno accolto la performance della band di Billy Cobham, con un risultato non del tutto convincente sotto alcuni aspetti. L'esibizione dell'artista panamense ha rivelato la necessità di approdare ad un rinnovato linguaggio, che non sia solamente circoscritto all'esibizione pura e semplice: la comprovata classe di Cobham, emersa magistralmente nel set, potrebbe esprimersi ancora efficacemente in altri contesti (in trio?), non solo funky, con una rilettura del periodo che lo vide a fianco di Miles Davis o di altre esperienze successive, con la Mahavishnu Orchestra o del breve periodo CTI con il New York Jazz Quartet.
Lunedì 30 aprile, i capricci del meteo non ostacolavano il riuscito concerto dell'Orchestra Hamp to Champ, formata appositamente per un tributo a Lionel Hampton; la formazione, composta da autentici campioni (tra gli altri, il fratello di Wynton, Jason Marsalis al vibrafono e direttore musicale; Robin Eubanks al trombone; Jesse Davis all'alto e il cantante Kevin Mahogany), ha entusiasmato gli spettatori con una eccitante esibizione e un ricco repertorio tipicamente hamptoniano (Hamp Boogie Woogie, Airmail Special, Flying Home, Midnight Sun e Everybody's Somebody's Fool) e che comprendeva anche Sunnyside Of The Street (McHugh) e Sweet Georgia Brown (Pinkard); il ritmo incalzante delle esecuzioni di temi ballabili provocava tra il pubblico entusiasta autentici (ed eleganti) inviti a ballare (tra gli altri, dell'amico Walter B. e della moglie, signora Anna M.), purtroppo senza esiti. Interminabili le ovazioni finali e le richieste di encores.
La pioggia di lunedì sera (ampiamente annunciata) non ha risparmiato l'atteso concerto in piazza Castello del trio di Carla Bley (con Steve Swallow al basso e Andy Sheppard all'alto) con l'inedita Turin Project Big Band. Ci chiediamo ancora perché non sia stato utilizzato l'adiacente Teatro Regio (e il Piccolo Regio, inutilizzato) e sia stata operata una scelta (forse mortificante) per Carla Bley e così penalizzante per i circa duemila spettatori presenti. Il concerto è iniziato e interrotto per la pioggia dopo soli due brani (On The Stage in Cages e Blues in fa Impro di Carla Bley, dalle coloriture classicheggianti). Alla ripresa, rotta ormai inevitabilmente la "giusta" atmosfera da concerto (in teatro), l'organico presentava molte defezioni (Andy Sheppard già in hotel) con alcuni volenterosi artisti sul palco (la Bley, Swallow, Fulvio Albano al tenore tra i pochi altri): pur in una situazione ormai compromessa sotto il profilo artistico, il piccolo ensemble ha espresso una jam dai toni boppistici, con I Got Rhythm (Gershwin), Stompin' at The Savoy (Razaf), per concludere idealmente, con Tenor Madness, il programma ufficiale propriamente jazz del TJF.
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Le attività collaterali del TJF erano state inaugurate nel primo pomeriggio di venerdì 27, al Circolo dei Lettori: con la prima di tre lezioni jazz "Musica in bianco e nero" di Marco Basso, che hanno registrato un enorme successo di pubblico (efficace la didattica di Marco, anche con la scelta di brani appropriati; iniziativa da replicare). La splendida cornice del Circolo di via Bogino ha accolto poi tre appuntamenti pomeridiani dedicati alle letture in jazz e commenti musicali live, con scrittori ospiti, tra gli altri, Giuseppe Culicchia (per "Zelda e Scott Fitzgerald e le stelle dell'Età del Jazz"), Tullio Avoledo (per "Infiniti gradi di luce", il be-bop e la Beat Generation), Massimo Carlotto e Piergiorgio Pulixi (sul rapporto tra la "musica del diavolo" e il jazz, con Giorgio Li Calzi, tromba). Lunedì sera, degna conclusione del ciclo con Stefano Benni e Umberto Petrin al piano, per un originale tributo a Monk, a trent'anni dalla scomparsa.
Da segnalare tra le attività collaterali, la sezione dedicata al fecondo rapporto tra film & jazz: successo di pubblico al Cinema Massimo (sala 3) con pellicole originali e altre viste e riviste; una domanda (sottovoce) ai decisori: quando potremo apprezzare "Dingo" con Miles Davis (mai distribuito in Italia) e rivedere il bellissimo "Body & Soul" (2011), dedicato a Michel Petrucciani?
Con il coinvolgimento di una decina di locali sul Po (in gran parte ai Murazzi, ma anche all'esclusivo Circolo Esperia, al Fluido e all'Imbarchino di Viale Cagni, al Blah Blah di Via Po), la sezione Fringe-Club (curata da Furio di Castri) ha presentato una quarantina di concerti, inclusi gli special-events (con dj-set di qualità, teatro e happening come "L'urlo dei Murazzi" con ance e ottoni solisti sulla chiatta solitaria, in mezzo al fiume).
Tra gli appuntamenti che abbiamo potuto seguire, con non poche difficoltà per le inevitabili sovrapposizioni, sottolineato il buon esito complessivo, i progetti che più ci hanno convinto sono quattro. L'ensemble Korabeat (con Cheik Fall, kora; Sam Fall Mbaye, percussioni; Gianni Denitto, sax alto e Andrea Di Marco, basso) ha saputo fondere in modo equilibrato i ritmi delle danze senegalesi con il linguaggio jazz, declinato nei colori africani. La non convenzionale rilettura di Frank Zappa, artista molto attento al jazz (ricordate gli album live con Don Cherry?), da parte di Martin Bellavia & Friends (Martin Bellavia, chitarra; Jacopo Albini e Gianni Denitto, tenore e alto; Simone Bellavia, basso; Maurizio Plancher, batteria). Il progetto della Dark Magus Orchestra - Special Edition (George Robert, alto; Ivan Bert, tromba; Max Carletti, chitarra; Andrea Bozzetto, keyboard; Mauro Battisti, basso; Gaetano Fasano, batteria; Gilson Silveira, percussioni e Kamod Raj Palampuri, tablas) dedicato a una pagina importante del Miles Davis elettrico ("Dark Magus", album live, 30 marzo 1974) che accentua le radicalità afro-funk post-"On the Corner " (1973), con chiari accenni alla lezione di Jimi Hendrix. Il progetto che più ci ha convinti è quello legato all'incontro fra il trio AljazZera (Manuel Pramotton, tenore; Federico Marchesano, basso; Donato Stolfi, drums) e la vocalist tunisina Lamia Bedioui (dall'imponente estensione vocale, che ha già inciso con ECM, nel Cd "Terra Nostra"); nel caldo spazio dell'Imbarchino abbiamo colto un costante interplay strumentale del trio e un'avvolgente coloritura nei toni misurati e accesi, spalmata dalla voce di Lamia, capace di evocare diverse e lontane atmosfere tra loro (dal deserto, al suk, al pack siberiano): per noi, un'esperienza certamente da rinnovare in altri contesti.
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L'incompiuta maratona del 1° maggio, con la GrandeFestaJazz, funestata da una pioggia battente e dal freddo, ci ha espresso il momento migliore con il trio Rosenberg & Friends, che avevamo ascoltato al loro debutto in Europa nel luglio 1993 a Umbria Jazz, in una memorabile serata con Christian Escoudé e Stéphane Grappelli; stimolante l'incontro tra Fabrizio Bosso e Chiara Civello; molti gli artisti che si sono avvicendati sul palco (da «Greg» Gregori al CFM Quartet, da Lino Patruno alle voci di Chorus).
Prima del breve set con il trio di Stefano Bollani, il Sindaco di Torino Piero Fassino e il Direttore Artistico del Festival Dario Salvatori, evitata una doverosa conferenza stampa finale, hanno fornito dal palco una valutazione complessiva del TJF espressa in oltre 50.000 presenze, salutando gli spettatori con un arrivederci alla prossima edizione del 2013, confermando l'impegno della Città di Torino nell'impresa avviata quest'anno.
All'ora di cena, è giunto sul palco tra mille ovazioni, Stefano Bollani al piano, con il suo Danish Trio (Jesper Bodilsen, contrabbasso; Morten Lund, batteria); il breve set dell'istrionico pianista, aperto con una Intro molto "free" è stato interrotto dal nubifragio, che ha altresì impedito il concerto conclusivo di Peppe Servillo con il suo progetto "Memorie di Adriano" (dedicato all'Adriano Celentano nazionale, non certo a quello della Yourcenar).
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L'atmosfera che abbiamo vissuto personalmente allo spegnimento delle luci sul TJF, vogliamo restituirla ai fruitori e agli amici di Distorsioni con queste "non metaforiche" brevi annotazioni:
"TJF: the end
sotto un diluvio, Bollani che pesta lo Steinway con il tallone sugli acuti,
non evita il decretarsi di un basta, bagnato, salvifico per bronchiti e raffreddori e dolori e rancori sopiti.
Piove sulle teste già bagnate, le altalene ferme, i motorini spenti.
Il rifugio non può essere che il Jazz Club Torino...".