Sixto Rodriguez 23 Maggio 2015, Firenze, Teatro Verdi
Premessa. Non si può non voler bene a Sixto Rodriguez e i suoi due dischi sono bellissimi. Meglio il primo, "Cold Fact" del secondo "Coming From Reality", ma ad avercene anche di dischi così. Ed anche il concerto della data fiorentina del nuovo tour italiano (tre date, avendo già suonato nei giorni precedenti a Roma e Milano) è stato tutt'altro che sgradevole. Al di là di questo è innegabile che siamo tutti, più o meno consapevolmente, "vittime" di una suggestione. La storia del musicista messicano, così come è stata raccontata, non senza qualche astuzia, dal film-documentario premiato con l'Oscar "Searching For Sugar Man" del 2013, ha tutti gli elementi per sciogliere anche i cuori dei più diffidenti e cinici appassionati di musica e l'occasione di vederlo dal vivo appariva ghiotta. Se sull'artista e la persona, non possiamo dir niente, qualche riserva però, sullo sfruttamento del personaggio-Rodriguez, è lecito avanzarla. E per non rimanere delusi dalle esibizioni concertistiche dell'ormai attempato musicista, è necessaria anche una certa dose di benevolenza. Noi però siamo cuori teneri e come recitava il motto di un telefilm fantascientifico popolarissimo negli anni 90, "I Want To Believe". Vogliamo crederci. Pare che Sixto Rodriguez viva sempre nella stessa casa che compare nel documentario, senza riscaldamento né TV e che i non certo irrisori proventi delle vendite delle ristampe dei suoi dischi e soprattutto degli ultimi anni di attività concertistica, vadano interamente alle figlie o comunque a parenti ed amici stretti. Chissà.
Non possiamo però non domandarci su quali siano le effettive volontà del musicista, se un Rodriguez reso ormai quasi cieco a causa di un glaucoma, ricurvo e dal passo malfermo ben oltre quanto l'effettiva età lascerebbe presupporre (non ha compiuto ancora 73 anni), desideri realmente affrontare le fatiche derivanti da quelli che presumibilmente gli appariranno come interminabili tour (de force) in giro per il mondo, o se piuttosto sia ormai schiavo di un 'carrozzone' organizzato da personaggi ben più smaliziati di lui. E' infatti dall'uscita delle ristampe dei suoi due album in studio da parte della Light In The Attic - e dunque dall'ormai non più tanto recente 2009 - che Sugar Man ha ricominciato a calcare palcoscenici con regolarità che, visto il crescente interesse verso il personaggio, si sono fatti sempre più impegnativi. Il tutto con l'inevitabile lievitare dei prezzi dei biglietti. Mentre la data di Roma di quell'anno ha attirato poche centinaia di persone (ingresso: 5 euro), lo scorso anno invece le due date di Milano e Bologna hanno registrato il tutto esaurito nel giro di pochissimi giorni. Potenza quindi di un documentario che contribuisce a creare un alone di leggenda intorno a Rodriguez, per quanto non si possa non osservare che il ritiro dal mondo dello spettacolo sia stato in realtà meno radicale di quello che nel film si racconta.
Detto che la gloria dei suoi dischi risale comunque alla seconda metà dei 70, quando un'antologia illegale ottiene un notevole riscontro commerciale in Sud Africa, il cantautore rimbraccia la chitarra per un tour in Australia già nel '79 (come documentato dal disco dal vivo "Alive", di due anni più recente), vale a dire nell'altro paese in cui i suoi dischi ebbero un certo successo. Circostanza questa sulla quale il documentario glissa con nonchalance, concentrandosi sulla maggior efficacia della storia del musicista famoso in Sud Africa, grazie ai suoi testi dal contenuto antirazziale. Anche il celebre comeback sudafricano, ampiamente documentato in Searching For Sugar Man (riprendendo un altro dimenticato documentario dell'epoca della BBC, "Dead Man Don't Tour"), risale in fondo al 1998 e da allora il nostro non ha più interrotto veramente la sua attività. E' infatti del 2001 un suo tour in nord Europa. Chissà se già al tempo Rodriguez era costretto ad esibirsi con l'attuale tenuta d'ordinanza: cappello a cilindro, stivali da cowboy, pantaloni in pelle, occhiali scuri, il tutto rigorosamente in nero. Il famigerato documentario coglie nel segno proprio raccontando lo stupore di un uomo che, all'incirca dopo 40 anni dall'uscita dei suoi due unici dischi, scopre, quasi per caso e dopo una vita passata lavorando come manovale, di essere una leggenda della musica. Gli anni però sono passati sul serio e i segni di una vita di stenti e fatiche si fanno inevitabilmente sentire. Chi ha avuto l'occasione di visionare i tanti filmati dei suoi recenti concerti su youtube sa già di un uomo provato e stanco e di performance necessariamente non sempre 'centrate'. Come però dicevamo all'inizio, "I Want To Believe", vogliamo crederci, per cui il Teatro Verdi si riempie in ogni spazio, di un pubblico alquanto variegato.
La leggenda di Sugar Man ha infatti attirato ancora una volta sia i giovani hipster che le famiglie, gli amanti del classic rock, del folk e del cantautorato in genere e persone che si immagina non frequentare assiduamente i concerti, ma che non hanno nessuna intenzione di perdersi l'evento. Al netto della suggestione quindi e magari chiudendo gli occhi - che davvero l'aspetto e le movenze di Rodriguez non lasciano immaginare niente di buono - il concerto tutto sommato non lascia delusi. La voce di Rodriguez, lungi dall'essere sempre salda e potente (ma il repertorio, in fondo, neppur lo richiede), è comunque sufficientemente intonata e solida da scaldare il cuore al pubblico, che più di una volta, tra un brano e l'altro, lo incoraggia affettuosamente. L'apertura è riservata Only Good Conversation, il brano forse più autenticamente rock del suo repertorio, in cui la chitarra del leader pare quasi assente. Ogni dubbio circa l'effettivo apporto, anche chitarristico, di Rodriguez viene prontamente fugato dall'esecuzione dei brani successivi, con le sue mani che mostrano qualche incertezza solo laddove tentano di avventurarsi in sporadici arpeggi. La scelta delle canzoni da eseguire viene lasciata di volta in volta al vecchio cantautore, che dopo brevi conciliaboli con i propri musicisti, introduce il brano successivo, seguito puntualmente dal resto della band. Le canzoni scritte da Rodriguez, nel volgere di pochi anni, sono ormai quasi tutte divenute degli instant-classics e i presenti dimostrano di non essere accorsi al concerto solo per ascoltare Sugar Man, eseguita a metà scaletta e divenuta ormai la signature song (benché stranamente al tempo, quanto meno negli USA, non sia stata neppure pubblicata su singolo).
Anche il secondo brano eseguito, I Wonder, è infatti accolto con entusiasmo, così come gli altri pezzi pregiati dei suoi due album, quali Crucify Your Mind, Estabilishment Blues, o Climb Up On My Music. Le esecuzioni sono piuttosto essenziali, essendo il leader accompagnato solo da una chitarra elettrica (cui spetta indubbiamente il lavoro principale), basso e batteria. Gli arrangiamenti si rivelano però adatti al repertorio, composto essenzialmente da delicate ballate folk, condite da sporadiche code elettriche e psichedelica. Qualche perplessità suscita la scelta, per lui peraltro non nuova, di lasciare un rilevante spazio a cover di vecchi evergreen, di varia provenienza, quali Only You o Blue Suede Shoes. Forse tutti noi avremmo preferito ascoltare altri estratti dai due vecchi dischi o semmai dei brani nuovi, ma evidentemente Rodriguez non ne ha più scritti e comunque a quanto pare preferisce rifugiarsi in classici ai quali è più legato. Le cose funzionano meglio con Fever, il brano di Little Willie John reso famosissimo da Elvis Presley, Somebody To Love dei Jefferson Airplane, piuttosto che con la citata Only You o I Only Have Eyes For You (Flamingoes), ma tant'è. Nella resa di The Thrill Is Gone è impossibile non pensare ad un omaggio al recentemente scomparso B.B. King, che ne è l'autore. Il concerto termina dopo poco meno di un'ora e mezza, ma l'attempato folk-singer, richiamato a gran voce sul palco, si concede per un paio di bis, tra i quali spicca un'originale versione di I'm Gonna Live 'Till I Die, tratta dal repertorio di Frank Sinatra. Un brano apparentemente lontanissimo dal background del musicista, ma che grazie alla veste con cui è rivestito, pare invece uscito proprio dalla penna di Rodriguez ed anche le parole del testo ("When my number's up, I'm gonna fill my cup, I'm gonna live, until I die"), sembrano scritte apposta per lui.
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