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4 Ottobre 2014

Intervista a Gianni Milano, Poeta Beat Posseduto dalla vita

2014

gianni milano9636723_1654389094305791628_n (2)Gianni Milano, alias Shantiananda, astigiano di nascita, è uno dei principali esponenti della Beat generation italiana degli anni ’60. Poeta e pedagogista, ha insegnato per quarant’anni in scuole elementari torinesi ed è autore di diverse antologie poetiche e saggi pubblicati su varie riviste. Tra le numerose esperienze collaterali ha collaborato, in ambito musicale, con i Timoria e con i No Strange.

 

 

L'INTERVISTA

 

Rossana Morriello (Distorsioni): Gianni Milano viene comunemente definito “poeta beat”, quindi comincerei dal chiederti che cosa vuol dire (e voleva dire) essere beat?

Gianni Milano: Ritengo che la definizione faccia riferimento ad un periodo che per me, come per altri, fu effettivamente eccezionale, nel vivere come nel comunicare. Non fu un’autodichiarazione di poetica, convinto come sono che si è poeti oppure no. Per i lettori, forse, l’aggiungere ‘beat’ a ‘poeta’ può significare qualcosa ma vorrei ricordare che lo stesso Allen Ginsberg, nel 1967, a Milano, dichiarò che i ‘capelloni’ stazionanti davanti al Duomo gli facevano molta tenerezza perché, parole sue, “….sono i nostri nipotini ma il beat è morto”. In quegli anni, io come poeta, altri in modi diversi, cercai di esprimere il sommovimento interno ed esterno che mise in discussione le vite di migliaia di persone, giovani o non. Fu la psichedelia, l’apertura del mentale verso orizzonti perennemente nuovi. Non fu la creazione d’una ortodossia. In questo senso i termini ‘poeta beat’ vogliono, forse, sottolineare il tipo di energia che a partire dal 1965 fino alla seconda metà degli anni ’70 tarantolò migliaia di persone. Io ero poeta prima, lo sono stato e lo sono dopo: le definizioni mi stanno strette e l’esperienza d’allora fu complessa e vivificante, non certo come lo stagnante vivere dei giorni nostri.

 

Una bella fotografia che circola in rete ti ritrae insieme ad Allen Ginsberg. Com'è stato il movimento beat in Italia e come si differenziava da quello americano originario?

gianni milano9636723_1654389094305791628_n (3)Incontrai Allen Ginsberg a Spoleto nel Festival dei Due mondi. Mi presentò Fernanda Pivano. I raffronti tra le due esperienze non sono facili in quanto le situazioni scatenanti e gli anni furono diversi. Rimane indubbia la derivazione del movimento (è corretto chiamarlo così?) italiano da  quel che era successo e succedeva negli USA. Siccome i primi stimoli giunsero attraverso i libri (ringraziamo sempre le fatiche di Fernanda Pivano per smuovere l’editoria nostrana dell’epoca) pare comprensibile verificare come sia stata la parola per prima a rivoltarsi contro l’immobilismo mortifero sociale. Però i contesti erano profondamente diversi e l’Oceano temporale fece sì che da noi giungessero libri di poesia americana definita ‘beat’ (quasi un messaggio in una bottiglia) assieme ad altre esaltanti presenze, come quelle degli hippies, con le loro proposte tribali, musicali e di costume. In Italia, nel nord-ovest che conosco meglio per esperienza diretta, la spinta originale non fu la comunicazione, lo scrivere od altro, ma l’emozione per la guerra in Vietnam che diede vita ad un pacifismo esistenziale, radicale ed anarchico, il quale mise in crisi, a livello di coscienza, tutto il modo d’essere della società italiota d’allora. Fernanda Pivano mi invitò da lei in quanto noto per il mio no alla guerra, no che usciva drammatico e sgraziato dalle nostre macchine da scrivere: solo di conseguenza ed in seguito per la mia scrittura . Mi è difficile, quindi, isolare la mia poesia dal contesto. Di certo non fu ‘moda’, visto che per quelle parole subii anche un processo!

 

Da torinese, non posso fare a meno di chiederti com'era la scena beat a Torino e quali erano i punti di riferimento, i locali, i nomi e tutto ciò che concorreva a definirla?

gianni milano9636723_1654389094305791628_n (1)Il primo gruppo di giovani che vennero poi definiti “capelloni” lo trovai ai Giardini Reali. In realtà non c’era una “scena” come invece a Milano. Nel 1966 tuttavia riuscimmo ad organizzare una protesta contro la guerra in Vietnam con la partecipazione di giovani provenienti da varie parti d’Italia. I numeri erano ridotti e la manifestazione, sotto il monumento al Duca d’Aosta fu subito stroncata e continuò, diminuiti di molto i partecipanti, con uno sciopero della fame di tre giorni in un circolo di via Novalesa. Per parlare di “scena” avremmo dovuto avere un ambiente minimamente recettivo ma così non fu. Si era visti come straccioni sporchi e cattivi, fannulloni e dai cervelli annebbiati. Ogni nostra presenza era intrusiva e clandestina, in ogni caso individuale anche se cercammo di far uscire ciclostilata una guida su dove trovare cibo, gratuito, abiti non cari, cure mediche ecc. nel tentativo di dar vita ad una Torino alternativa per chi si metteva in strada. Agnelli imperava ed il Lavoro impregnava di sé le coscienze dei Torinesi: eravamo stranieri in città e considerati come scarafaggi da eliminare. I rapporti con i primi extracomunitari può aiutare a capire. Le strade, viottoli, erano diverse, individuali, a seconda del carattere e degli obiettivi che si volevano raggiungere. Io ero poeta, altri musicisti, altri mercatari da Balon….

 

La tua biografia è ricchissima di esperienze di vario genere, letterarie, artistiche, teatrali, politiche, musicali. Chiaramente sono tutte strettamente collegate tra loro ma quale ti senti calzare meglio o quale trovi più stimolante?

gianni-milanoQuando mi chiedono di indicare l’ambito del mio agire io dichiaro d’essere poeta e pedagogista. Poeta come mio strutturale e naturale stile di espressione, pedagogista nel mio quarantennale lavoro con bambini e adolescenti.

 

La tua attività principale è stata quella di insegnante con bambini e adolescenti, portata avanti per quarant'anni, cosa ti ha dato e cosa hai portato del tuo lavoro nelle tue attività artistiche e viceversa?

Ritengo che sia difficile separare i vari momenti, essendo sempre io-uno nei vari momenti, così come non mi sentirei di definirmi poeta e anarchico: sono uno, non un insieme di cassetti separati o intercomunicanti nelle loro solitudini. Il mio lavoro è stato in quegli anni la mia vita, come la poesia e le varie manifestazioni che mi hanno visto presente. Ho imparato dai bambini ad avere uno sguardo minimalista e perennemente curioso, ho appreso lo stupore perenne…e non è poco! Ho ricambiato con il rispetto e la solidarietà evitando indottrinamenti, censure e imposizioni (rinvio a “L’alfabeto e i giorni”, file che vi allego).

 

Visto che Distorsioni è una rivista prevalentemente musicale, ricordiamo le tue esperienze musicali più recenti, dalla collaborazione nel 1999 con la Toast Records per il cd “Uomo Nudo” musicato dai No Strange al reading al Leoncavallo insieme ai Timoria, confluito nel loro cd del 2003 “Generazione senza vento”. Come sono state per te queste incursioni nel mondo del pop-rock?

Nel 1966 scrissi “Uomo nudo”, facendo seguito ad un altro lungo poema (per il quale subii un processo con assoluzione) intitolato “I nuovi santi” (con nessun riferimento al significato cattolico corrente). Erano testi che esprimevano il rivolgimento interiore e comportamentale che in quegli anni un po’ ovunque, anche in Italia, stava avvenendo.uomo Avevo iniziato come poeta nell’ondata underground e continuavo. Nel 1999 incontrai Giulio Tedeschi, responsabile della Toast Records, il quale mi propose di registrare dal vivo il testo con la collaborazione dei No Strange. Giulio Tedeschi era un amico da tempo ma  molto più giovane di me. Aveva già pubblicato il poemetto su carta con copertina di Matteo Guarnaccia, nel 1974 per la Tampax Editrice, Torino. La partecipazione al reading con i Timoria avvenne in conseguenza d’un invito da parte di Omar Pedrini capitato a Torino per un concerto. Credo mi conoscesse tramite comuni canali milanesi. Fu un momento bello e nuovo per me: ringrazio chi, noto o no,   mi permise di esserci. L’inserimento del poemetto  con accompagnamento musicale della band nel loro cd fu una piacevole sorpresa. Milano fu più prodiga di Torino. Il mondo pop-rock non è mai stato lontano dall’esperienza che si suole chiamare “beat” e di certo non scimmiottò come fecero diverse persone ai festival di Sanremo.

 

Sei stato attivissimo in campo letterario, non solo pubblicando libri e articoli su riviste, ma anche come direttore e fondatore di riviste, com'era il mondo dell'editoria in passato e come ti sembra sia cambiato oggi, sia dal punto di vista dello scrittore e da quello dell’editore, in quanto sei stato anche fondatore di una casa editrice, la Pitecantropus?

In quegli anni si praticò il “fai-da-te”. Per gente come noi non è cambiato molto salvo la presenza di Stampa Alternativa, benemerito megafono di voci dissenzienti. La poesia in Italia non ha mai avuto un grande pubblico e nella repubblica dei denari quel che conta è vendere. Far conoscere, comunicare era allora fondamentale, visto che si era in presenza d’una rivoluzione, non- violenta sì come diceva Julian Beck ma sempre rivoluzione. La Pitecantropus, prima cellulare casa editrice underground in Italia nacque per far circolare poesia che veniva diffusa su richiesta per posta (vedi: Tomaso Clavarino – “Coito ergo bum” ed. SEB 27 – 2012 Torino). Quando nel 1966 fui invitato da Fernanda Pivano partecipai alla realizzazione d’una collana di poesie contro la guerra per Feltrinelli. L’editore, però, morì prima e  nonostante l’impegno della Pivano i testi non furono mai pubblicati. A parte questo episodio non mi risulta che da parte dell’editoria ufficiale  ci si sia mossi in direzione aperta. “Sotterraneo” ero e sotterraneo rimango.

 

Il nome di Fernanda Pivano si incontra spesso nella tua biografia: hai collaborato alla rivista “Pianeta fresco” da lei fondata ed è stata uno dei testimoni a tuo favore nel processo che hai subito nel 1967 "per scritti contrari alla pubblica decenza" in relazione al tuo libro di poesie “Guru”. Hai avuto modo di conoscerla e quale ricordo hai di lei?

pianeta6Fernanda Pivano a me nota come traduttrice  e amica degli autori americani beat mi fece pervenire da un ‘capellone’ soprannominato ‘papà’ un invito. Sapeva del mio antimilitarismo e pensava avessimo obiettivi condivisibili. Arrivai a Milano, trovai il suo alloggio e attesi ma fame (si mangiava poco in quei tempi) e stanchezza ebbero il sopravvento e mi addormentai sullo stuoino davanti alla porta dell’alloggio. Mi svegliò verso mezzanotte Fernanda in persona. Ricordo che la prima cosa che vidi fu un anello con una grossa….pietra, plastica? Arancione. Presentazione e poi: “C’è una stanza prenotata all’albergo…Cena, dormi e domani ci incontriamo nuovamente qui”. Fu questo l’inizio di una serie di periodici fine settimana che durò fino al 1968, quando intervenne a difendere gli autori della Pitecantropus sotto processo. Da lei e da Sottsass trascorsi momenti molto belli, ascoltando le storie degli autori americani, incontrando giovani scrittori come Andrea D’Anna e poeti come Poppy Ranchetti ed altri in un turbinio di utopie e consapevolezze nuove mentre, con l’arrivo di Ginsberg nel 1967, prendeva forma Pianeta Fresco (due numeri ora, credo, introvabili) con testi della galassia underground ed una grafica psichedelica frutto di Ettore e dei suoi collaboratori. Fui presente nel secondo numero con un saggio sul buddhismo, dedicato ad Allen Ginsberg. Ricordo che bionde ragazze, come la Graziella, offrivano la rivista con vistosi fiori di carta. Della Fernanda ho soltanto bei ricordi. La chiamavamo zia Nanda dei capelloni e, per quel che mi riguarda, posso solo ringraziarla.

 

Ci racconti qualcosa di quel processo e di quegli scritti del “maestro capellone”, come eri stato soprannominato, che ebbe un grande clamore mediatico e che si è concluso comunque con l’assoluzione?

gianni milano9636723_1654389094305791628_n (5)Era l’autunno del 1967. Nell’estate avevo conosciuto Allen Ginsberg, avevo partecipato ad un campeggio organizzato dal segretario di Capitini (Movimento non-violento) ed ero rientrato a Torino per iniziare un nuovo anno scolastico caratterizzando il mio operato in senso libertario e non autoritario. Il primo mutamento (primo in assoluto nella scuola italiana) fu la mia richiesta d’essere interpellato dai bambini (sette anni!) con il mio nome e non con il “lei” usuale in quei tempi. Ingenuamente, poi, risposi a domande giornalistiche un po’ provocatorie sull’uso della marijuana e sulla libertà di espressione degli studenti (il caso della Zanzara a Milano). Già non troppo ben visto anche in anni precedenti prestai il fianco, credo, alla repressione. Fui infatti accusato d’essere venuto meno all’autorevolezza che spettava ad un insegnante, a causa del “tu” e di avere in qualche modo offuscato l’immagine….per via della marijuana e della libertà degli studenti… Insomma: venni allontanato dall’insegnamento per la durata di 5 anni ed inviato al confino in un ufficio scolastico come ‘amministrativo’. La cosa ebbe una grande rinomanza a livello nazionale ed in seguito ad un film-documentario di  Lino Del Fra,  nel quale recitavo una polemica poesia contro le violenze istituzionali e non solo, mi venne affibbiato il titolo di ‘maestro capellone’ che fece scandalo. Quasi non fosse sufficiente, dal Provveditorato agli studi partì, credo,  la comunicazione dei libretti (quattro) pubblicati allora dalla Pitecantropus. La denuncia fu per ‘scritti contrari alla pubblica decenza’. Fummo assolti grazie anche al contributo di Piero Novelli, giornalista, Fernanda Pivano e Giulio Carlo Argan, critico d’arte.

 

paria11Tra le molte collaborazioni a riviste c'è anche quella con “Paria”, pubblicata in Svizzera negli anni dal 1969 al 1975, il cui originalissimo sottotitolo era “Psychedelic review- Spermatozoo della eiaculazione underground". Ho quindi un altro domandone... che cos'è per te la psichedelia?

Incominciai a collaborare con Paria in maniera continuativa fin dai primi numeri fino alla fine con poesie e prose. Allora nel mondo underground era una cosa normale e la fratellanza non stava lì come semplice parola ma era efficace. Per me la psichedelia è il superamento della chiusura dell’Io, l’apertura totale alla vita, lo stupore, il viaggio degli psiconauti, la non-paura e l’affido alla totalità dell’esistenza. Ne conseguono prodotti che mirano a dinamicizzare la mente e ad eliminare censure e barriere. Laddove la mente non scorre si ha la palude: e non è bello, solo miasmi di morte, di guerra e di sofferenza.

 

Sei ancora oggi molto attivo su tutti i fronti e in particolare su quello politico-sociale, soprattutto per quanto riguarda il movimento No-Tav. Vuoi dirci perché sostieni questo movimento?

Quando ci si mette in strada non resta che camminare. Per questo motivo sono anarchico e No tav. Ritengo che le motivazioni dei resistenti No tav in Valsusa siano, per me, coerenti con le proposte, le denunce che negli anni dell’underground sostanziavano l’ipotesi d’una società alternativa, solidale, non gerarchica, nemica d’ogni forma di potere da esautorare. Snyder, poeta beat americano, vivo  vegeto continua a lottare per lagianni milano9636723_1654389094305791628_n salvaguardia dei territori e della cultura territoriale, indigena (G. Snyder – La pratica del Selvatico – Fiori gialli edizioni – 2010 Velletri; G. Snyder – L’isola della tartaruga  - Stampa Alternativa – 2004 Viterbo). La lotta va al di là delle pur drammatiche denunce sull’assurdità dell’opera, sui suoi costi, sulla sua pesante nocività. E’ un modello di società da noi sempre osteggiata, è un canto funebre sulla speranza d’una alternativa solidale non solo tra gli umani ma con la natura tutta. Reagimmo allora, oggi per me è naturale schierarmi.

 

Nel ringraziarti per l’intervista, non posso non farti un’ultima, immancabile richiesta: ci lasci una tua poesia per i lettori di Distorsioni?

 

Beati coloro che sono posseduti dalla Vita

Beati coloro che sono posseduti dalla vita

beati coloro che hanno compreso che non noi possediamo

la Vita ma la Vita possiede noi

non noi siamo facitori di Vita ma testimoni delle infinite

possibilità della vita

gianni milano9636723_1654389094305791628_n (4)noi attimi delicati di Vita a noi spetta sbocciare in

infiniti fiori infinitamente profumati d’infiniti profumi

a noi spetta distruggere i binari per aprire al volo

le strade intracciate

a noi spetta distruggere le barriere e le difese

e la volontà d’opporsi alla Vita affinché Essa dilaghi

in noi e nel nostro canto

nei nostri gesti incantati ed unici

nei nostri atti magici

nei nostri pensieri oceanici

nei nostri abbracci gratuiti

beati coloro che sono posseduti dalla Vita e vibrano

le loro antenne in flussi continui di comunicazioni

essenziali d’amore

imprevedibili capriole della Gioia

altissimi ritmi di fiumi

fusioni nella Creazione

sorrisi in fuochi d’artificio nei nastri sventolati

dagli uomini che s’incontrarono

beati coloro che hanno scoperto la Vita e santificano

i momenti

la palpebra che si muove

la linea tracciata dalla rondine

la mutazione impercettibile della sera

e la coralità del Cosmo sul palmo della mano offerta

alla Pace –

                           1966

Rossana Morriello

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