Gianluca Petrella Indie-jazz Italia
Come accade in molti campi, spesso sono coloro che scelgono percorsi non convenzionali, non adagiandosi sui consensi e sui risultati ottenuti, a produrre qualcosa di innovativo ed interessante. Gianluca Petrella è uno di quelli. Non pago dei riconoscimenti ottenuti anche a livello internazionale (il prestigioso magazine Downbeat la ha indicato come miglior trombonista emergente nel 2006), delle collaborazioni con nomi di massimo rilievo (troppi per elencarli tutti) e degli elogi provenienti anche da alcuni guru del jazz (tra cui lo storico produttore Michael Cuscuna), il musicista e compositore barese è pronto a mescolare nuovamente le carte e riposizionare il mazzo al centro del tavolo.
Attraverso la sua Spacebone Records negli ultimi tre anni pubblica con la Cosmic Band i due capitoli di "Coming Tomorrow" (recentissima l'uscita della "part two") ispirati e dedicati a Sun Ra, e l'album "Slaves" assieme al quartetto Tubolibre. In queste produzioni traspare come Petrella abbia le idee piuttosto chiare rispetto alla propria evoluzione stilistica, lasciando che le discussioni su come classificare la sua musica rivestano un'importanza relativa. Perchè non solo di jazz si tratta. O meglio, come ho scritto altrove, si sfrutta l'enorme potenza catalizzatrice del jazz, che in questo caso sintetizza in sé elementi provenienti dal rock, dal blues, dalla musica elettronica e da quella popolare. A tal proposito nelle righe che seguono leggerete di un ulteriore campo di investigazione. Ho raggiunto telefonicamente Gianluca Petrella in uno dei suoi giorni di pausa tra la turnée europea con il Tubolibre e quella americana con Enrico Rava.
Buona lettura.
Aldo De Sanctis (DISTORSIONI) - Inizialmente avrei voluto chiederti da cosa è scaturita l'esigenza di creare la tua etichetta Spacebone Records. Poi ho inquadrato i tre albums finora usciti nel loro insieme e mi è venuto il dubbio che la Spacebone sia per te una sorta di laboratorio in cui ti possa sentire libero di sperimentare ed esplorare senza interferenze. E' soltanto una mia impressione?
Gianluca Petrella - La Spacebone Records nasce in un momento in cui si conclude il mio contratto con la Blue Note. Ho pensato così di creare un'etichetta per conto mio, così da poter essere libero da vincoli artistici e contrattuali; ovvero, la massima libertà personale nel poter proporre della musica. E come dicevi tu, potrebbe anche assomigliare ad una specie di laboratorio in cui si possa sperimentare qualsiasi cosa, ovviamente senza dover cadere necessariamente dentro una logica commerciale. L'idea è quella di avere e mettere a disposizione i mezzi perchè si possa produrre della musica ricercata. E anche se inizialmente sono partito dall'esigenza di pubblicare i miei lavori, la Spacebone diverrà un'etichetta a tutti gli effetti, una porta aperta e non uno spazio autoreferenziale. Sono già in cantiere, infatti, le prossime uscite che riguardano altri musicisti, ma per il momento preferirei non anticipare nulla.
Una delle cose che più mi hanno affascinato sia in "Slaves" che in "Coming Tomorrow, part one" e "Coming Tomorrow, part two" sono gli arrangiamenti: visionari ma efficaci nel modo in cui le parti sono distribuite tra gli strumenti, il loro colore e la dinamica che ne consegue. Correggimi se sbaglio; mi sembra che tu abbia lasciato poco spazio al tuo solismo per poterti concentrare sul lavoro di composizione ed arrangiamento.
No, non sbagli. La cosa più interessante per me e per i musicisti con i quali lavoro è cercare la giusta direzione, una condizione originale per la quale un disco si basi molto sul suono. Pur sapendo fare i salti mortali ognuno con il proprio strumento, cosa che la gente ormai sa bene, preferiamo concentrarci innanzitutto sul suono complessivo della band, un suono che ci renda riconoscibili. Poi, personalmente faccio anche un lavoro molto ricercato in post-produzione, perchè credo che un disco debba suonare al meglio essendo destinato ad accompagnarti per il resto della vita. Durante la recente tournée europea della mia formazione Tubolibre, mi hanno colpito molto alcuni commenti davvero dettagliati su quanto la band avesse un proprio suono e questo è uno dei più grandi complimenti che mi si possano fare.
Certo è soddisfacente quando ti dicono che hai suonato bene, che sei stato veloce col trombone, ma lo è ancora di più quando riconoscono che il tuo non è il solito quartetto jazz trito e ritrito, quanto piuttosto una realtà in grado di lasciare il segno. E questo avviene, appunto, attraverso l'unicità di un suono che possa far accadere qualcosa all'interno di chi ascolta, del pubblico come del fonico che quella sera ti confida di essersi finalmente divertito. Ovviamente in tutto ciò è di fondamentale importanza la scelta dei partners, il modo in cui i miei compagni di viaggio possano intuire le mie intenzioni e prendersi il loro spazio. In questo mi sento molto fortunato perchè tutti i musicisti con i quali lavoro, oltre ad essere molto preparati tecnicamente, hanno davvero un qualcosa in più rispetto ad altri.
Passando al tuo percorso assieme alla Cosmic Band, altrove ho letto che "Coming Tomorrow, part two" chiude una fase e che per il futuro hai intenzione di impostare il tuo lavoro in un altro modo, cercando anche un altro suono. Lo trovo davvero interessante. Quanto radicale prevedi che sarà il cambiamento? Avresti voglia di darmi qualche anticipazione?
Per il momento è tutto in cantiere, non prevedo l'uscita del prossimo disco della Cosmic Band prima di due anni. Le idee su cui sto lavorando prendono spunto da un mio recente ritorno di fiamma per la musica hip-hop dei primi anni 90, in special modo quella della West Coast. Gente come Notorious B.I.G., Snoop Doggy Dogg e Cypress Hill ma anche KRS One e Method Man fanno parte della colonna sonora della mia adolescenza. Al momento sto rispolverando molte cose di quel periodo in un ottica di ricerca, per capire come impostare il mio lavoro nel futuro. Ovviamente si tratterà di attualizzare queste spinte attraverso un filtro del tutto nostro, e ovviamente si tratterà di musica strumentale. Già in questo periodo io ed il batterista (Federico Scettri) stiamo lavorando ad alcuni grooves in cui si fa riferimento alla sfera della musica elettronica, anche escludendo il suono acustico della batteria. Nel frattempo può anche succedere che possano venirmi altre idee, dato che sono abbastanza onnivoro e tutto ciò che arriva può stimolarmi.
Si potrebbe dire che sei in una fase di "work in progress"...
Diciamo di si. Mai adagiarsi su dei canoni prestabiliti oppure accomodarsi su qualcosa di già raggiunto, il mio discorso con la musica è continuo. Dalle mie bands ci si deve poter aspettare di tutto e poco importa se quello che viene fuori è considerato molto o poco jazz. L'obiettivo che mi pongo è di lavorare in santa pace su tutto ciò che mi viene in mente, tutto quello che sento nell'anima. Ad una formalità da personaggio "incravattato" che sai che cosa andrà a fare, preferisco la "sgangheratezza" di un lato più informale che possa però portare a qualcos'altro.
Facendo riferimento a quello che dicevi prima, in posti come Germania, Francia e Stati Uniti nessuno si scandalizza quando il jazz viene contaminato da musiche come quella elettronica oppure dall'hip-hop. Mi viene in mente come esempio William Parker che suona in un disco firmato da DJ Spooky...
O anche Matthew Shipp...
Sì, giusto (stiamo facendo riferimento all'album "Optometry", nato dalla collaborazione tra Dj Spooky ed un quartetto condotto da Matthew Shipp, ndADS). Invece qui in Italia è come se vigesse una mentalità alla Wynton Marsalis.
Sì, infatti. In Italia la situazione è davvero critica, imbalsamata. Se pensi che un personaggio come Enrico Rava, dopo 50 anni di esperienza, continua a scrivere musica sempre nuova e di alto livello avendo le idee molto chiare su quello che sta facendo, mentre di contro tutta una serie di giovincelli infogna il mercato sempre con gli stessi standard o magari bossanovizzando i Police e i Red Hot Chili Peppers, allora ti rendi conto che le cose davvero non funzionano. Anzi, queste operazioni spinte sul lato commerciale alle volte risultano persino controproducenti. Sembra di avere a che fare con tanti impiegati che timbrano il cartellino. Per quello che mi riguarda vado per la mia strada, di cose da dire ce ne sono ancora tante.
I miei ringraziamenti vanno a Gianluca Petrella per la sua disponibilità e a Vic di Pannonica per la sua pazienza.