Melvin Sparks LIVE AT NECTAR’S
[Uscita: 28/04/2017]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
C’è stato un tempo, qualche lustro fa, in cui in molti ci siamo entusiasmati nell’ascoltare quello che, allora, qualcuno aveva chiamato “acid jazz”. Si trattava di qualcosa a cavallo tra il soul, il funk, il jazz, appunto, molto spesso prodotta da formazioni in cui spiccavano il buon vecchio organo Hammond (chi non ricorda il fantasmagorico Theme From Starsky & Hutch di “quell’altro” James Taylor, quello del Quartet!) e la chitarra elettrica. Beh, se fosse uscito allora, questo sarebbe stato un disco di successo, garantito. Purtroppo, invece, il signor Melvin Sparks, nativo di Houston, Texas, classe 1946, ci ha lasciati nel 2011, solo tre mesi dopo aver tenuto questo concerto, che l’album immortala, a Burlington, nel Vermont presso il Nectar’s Club, in cui il chitarrista e la sua band si esibivano regolarmente, e la registrazione è stata messa in commercio solo recentemente, a cura di Eddie Roberts e Simon Allen, fans di Sparks e membri, rispettivamente alla chitarra e alla batteria, di The New Mastersounds, gruppo dedito allo stesso genere ma di stanza nell’umida Leeds.
Non sappiamo quindi se, in un periodo in cui il soul jazz non è esattamente sulla cresta dell’onda, il grande pubblico acclamerà Sparks, la sua chitarra e il suo gruppo, di cui facevano parte in modo fisso l’organista Beau Sasser e il batterista Bill Carbone e, per l’occasione, Dave Grippo e Brian McCarthy, i “Grippo Horns”, rispettivamente al sax alto e al tenore. Non lo sappiamo, ma siamo certi che la carriera di Sparks gli ha riservato, meritatamente, “of course”, grandi soddisfazioni, se non come band leader, quantomeno come apprezzatissimo turnista, prima in ambito soul, alle corti di Jackie Wilson, Curtis Mayfield e Marvin Gaye (scusate se è poco), poi in ambito jazz, nelle band di Lou Donaldson, Idris Muhammad, Grove Washington Jr., Reuben Wilson. E ci fermiamo, perché l’elenco sarebbe ancora lungo, non senza citare,” last but not least” Mr. George Benson.
Cosa dire di questi sei pezzi: suonano esattamente come ci si può aspettare dal genere, l’Hammond fornisce il solito, scintillante tappeto sul quale si srotolano gli assoli prolungati e funambolici di Sparks, vero cavallo di razza, anche in età avanzata, che ricambia con pennate precise quando è il suo turno di accompagnare quelli di Sasser, la sezione fiati è spesso in evidenza, particolarmente in Ain’t No Woman, in cui gioca un ruolo fondamentale. Insomma, la band macina jazz funk come una Ford Mustang macinerebbe le larghe highways del Vermont. E noi ci godiamo il panorama alla grande.
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