Panda Kid SUMMETRY
[Uscita: 01/11/2013]
"Summetry” è l’ideale "Scary Monster Juice” (2011). Il vicentino Alberto Manfrin continua il suo strampalato party da spiaggia popolato da mostri freakkettoni in camicie hawaiane. Ci ha preso talmente gusto alle sue jam grezze ed esilaranti che ora è supportato da una vera e propria band che soddisfa tutti i suoi più visionari capricci. B-movies, demenzialità, mania retrò e quel frat rock, garage trash, che tanto rimanda ai Cramps e al surf californiano dei Beach Boys, mescolando però tanti altri ritagli ad altrettanti generi. Tutto viene destrutturato e decostruito creando un effetto di caos in bassa fedeltà che mai toglie espressività e divertissement sia a livello melodico che ritmico. L’estate è idealmente prolungata dal pezzo A Long Long Summer che è l’anello di congiunzione direttamente prelevato dal primo album. Presente nell’EP del 2012 “Fuck Up Myself” è invece Party Monster. Icecream ha una chitarra sbilenca e sentori vagamente polinesiani ma viene distorta da percussioni frenetiche e ridondanti, potrebbe far pensare alla psichedelia dal sapore esotico di Donovan. Daltonic Eyes è una ballata smagliata che mischia una stonata chitarra acustica e rumorismi vari con una voce ubriaca e caracollante. Palm Spring$ tra coretti doo wop e contrappunti caraibici ci restituisce i colori psichedelici e fluò degli spensierati sixties.
Summetry è invece il vero pezzo rivelazione del disco, con deliziosi inserti di sintetizzatore riesce a coniugare in un’idea tanto credibile quanto originale le influenze passatiste e vintage, il lo-fi più scanzonato e allo stesso tempo la cadenza ipnotica, i boogie meccanici più vicini al post punk anni 80 (Screaming Trees). Fino a riagganciarsi al filone demenziale e triviale che da San Francisco (con Ty Segall e Thee oh Sees) ha riportato sulla cresta dell’onda la rivisitazione in chiave creativo rumorista. Abracadabra e Black art/Black magic si basano su una serie di reiterazioni di flashback distorti e stratificati. To the Tramp sconfina in un garage rock psichedelico trasognato tra naif e romanza elegiaca. Decisamente lo straordinario di questo disco è quello di avere una sua coerenza e una sua uniformità pur essendo plasmato con un piglio eterodosso e intenti volutamente sfaccettati. Una delle doti più incredibili di Panda Kid sembra essere quella dell’inquietudine costruttiva. E se al primo disco potevamo legittimamente aver pensato che il ragazzo ambiva a metter troppi ingredienti nel calderone, rischiando di perdere identità, a questo punto è altrettanto legittimo pensare che è proprio nella sua perversione onnivora e nella sua maniacalità dilettantistico/perfezionista che si plasma la sua più pura impronta personale.