Marisa Anderson CLOUD CORNER
[Uscita: 15/06/2018]
Stati Uniti
Di Marisa Anderson, eclettica chitarrista e polistrumentista americana, si parla sempre troppo poco, in relazione al suo cristallino talento compositivo. Il quarto album solistico, “Cloud Corner”, vede la luce per la meritoria etichetta di musiche aliene Thrill Jockey, e non è un caso. Ciò che si rileva maggiormente in queste dieci tracce per sola chitarra è il suono scarno, crepuscolare, rinviante a immagini di stracchi pomeriggi piovosi sotto un cielo ebbro di varie cromìe di grigio. Il fatto che Marisa viva a Portland, una delle città più piovose del mondo, deve pur significare qualcosa. Presunte meteoropatie a parte, l’album suona dolente, sin dall’iniziale Pulse, chitarra arpeggiata modulata su scale melanconiche, la tecnica del fingerpicking che dona ampiezza al suono, rendendolo spiraliforme.
Alla maniera di un John Fahey, se il paragone non paresse troppo temerario, si svolgono le altre tracce del disco: la crepuscolare Slow Ascent, ricca di sfumature dalle gradazioni pastello; la quieta armonia sonora di Angel’s Rest; Cloud Corner, dai toni più sostenuti e sommossi, tecnica ineccepibile. Tra le altre tracce suscettibili di particolare menzione ci paiono spiccare: Sun Song, chitarra appena pizzicata che dà all’impianto compositivo una parvenza di alone luminoso; il liquido e doloroso blues di Lament, uno dei frammenti più intensi e poetici dell’intero album; l’oscura discesa nell’abisso di Surfacing; la circolare melanconia sonora della conclusiva Lift. In definitiva, un album intenso e poetico che, in ragione della particolare struttura per sola chitarra, può dare l’impressione di una certa monocromia, e tuttavia mostra a tratti lampi di vivida iridescenza.
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