Tom Waits BAD AS ME
[Uscita: 25/10/2011]
# Vivamente consigliato da DISTORSIONI
Se c’é un artista che sfugge alla legge della transitorietà e della relatività creativa quello è Tom Waits: difficile trovare uno dei suoi sedici album in studio in 38 anni di carriera che abbiano deluso, ma neanche mediocri, ed è un bel record. Forse è la stabilità che nel corso degli anni gli ha dato la compagna/collaboratrice Kathleen Brennan, forse la verità è che il lupo mannaro di Pomona non si è mai fatto distrarre da tentazioni artistiche che non avessero nulla a che fare con un microcosmo musicale costruitosi addosso con rigore certosino, che ha sempre calzato alla perfezione. Waits è andato sempre dritto per la sua strada circondandosi di collaboratori fedeli: alcuni compaiono anche in questo nuovo “Bad as me”, Marc Ribot alle chitarre, Charlie Musselwhite all’armonica; accanto a loro David Hidalgo dei Los Lobos alla chitarra, Clint Maedgen' ai sax, Augie Meyers al vox organ, Dawn Harms al violino, apparizioni sporadiche di Flea dei R.H.C.P. al basso, del figlio Casey alla batteria, qualche accordo di Keith Richard qui e là ma l'elenco non finisce qui. Come si vede il nostro riesce sempre a galvanizzare intorno al suo lavoro fior di musicisti, affascinati da una personalità che a 62 anni dimostra un carisma più che mai inossidabile. Basta ascoltare i primi tre-quattro brani di “Bad As me” (se tutti fossero cattivi come lui vivremmo in un mondo certamente migliore) per capire che a Waits sta a cuore la teoria filosofica dei ‘corsi e ricorsi’.
A sette anni dall’ultimo album “Real Gone” (2004) Tom torna a sguazzare nel suo beneamato pantano di stompin’ blues ustionante, con la voce che inciampa in serrati ritmi claudicanti, prosciugando (almeno per il momento) senza rimpianti la sua vena dai marcati richiami cabarettistico-mitteleuropei che avevano caratterizzato la sua musica sin dentro i due album gemelli usciti nel 2002, “Alice” ma soprattutto “Blood money”. A dirla tutta già “Real Gone” aveva fatto registrare un ritorno di Tom ad un universo musicale prettamente americano, ma qui i toni ridiventano sulfurei e caustici come in “Bone Machine” (1992): Chicago, Raised right men, Bad as me, Face to the highway, Talking at the same time parlano il linguaggio di un blues serrato, trasfigurato dalle nevrosi metropolitane, sporcato da infiltrazioni rap ed hip hop, nel quale la voce incatramata dell’artista è assediata da riff minimali di saxes, organo e mouth harp. Né meraviglia, che subito dopo Tom imbastisca in Get Lost un maledetto sudicio rockabilly: con un po’ di fantasia si può anche scorgere un illustre convitato di pietra, Lux Interior, che gli dà la sua benedizione. Certo, quando Tom in Hell Broke Luce scoperchia direttamente con clangore diabolico la voragine che conduce nel girone dei dannati e le loro urla ci soverchiano, riesce a prenderci di sorpresa e sentiamo le ossa scuotersi.
Corsi e ricorsi dicevamo: la vera scoperta dell’album è il ritorno ‘clamoroso’ di Waits a certo romanticismo straccione, bukowskiano ed etilico che aveva marchiato indimenticabili album della seconda metà anni ’70 come “Small Change” (1976) “Foreign Affairs” (1977), “Blue Valentine” (1978); una straordinaria ballata after hours, soffusa e perduta nelle nebbie della mente come Kiss me ci restituisce il Waits stagionato di Blue Valentine, Somewhere, Christmas Card from a Hookerin Minneapolis. Commozione? Certo e pure parecchia: sarebbe immorale il contrario, davanti a una romanticissima ballata mariachi come Back in the crowd – non avrebbe sfigurato assolutamente nel repertorio di Willy De Ville - destinata a diventare una delle innumerevoli gemme del repertorio waitsiano, o al cospetto della malinconia metafisica di Last leaf. Con New year’s eve infine Waits si comporta proprio da carogna, inserendo il ritornello dello stupendo classico natalizio Auld Lang Syne, come aveva fatto 35 anni fa in Tom Traubert’s Blues con Waltzing Matilda: era lì lì per spuntarmi una lacrimuccia, ora capite perché Tom è una carogna?