Ryuichi Sakamoto ASYNC
[Uscita: 28/04/2017]
Giappone #consigliatodadistorsioni
In Ryuichi Sakamoto convivono miriadi di anime artistiche, proteiformi tendenze stilistiche, cosmopolite istanze culturali, da sempre. In lui si avvicendano, spesso intersecandosi: la vena techno-pop (Yellow Magic Orchestra); la predisposizione alle sonorità di pretta matrice etnica presenti in taluni suoi dischi quali ad esempio “Beauty”, “Heartbeat”, “Sweet Revenge”; l’ampio respiro orchestrale di certe colonne sonore, alcune celeberrime, quali “Merry Christmas, Mr. Lawrence”, “L’Ultimo Imperatore”, “Il Tè Nel Deserto”, “Il Piccolo Buddha”; il minimalismo “cageano” di alcuni suoi lavori per piano solo; l’ardito sperimentalismo venato di linee di musica sacra, talvolta, come in “Dischord”. Un eclettismo sempre sostanziato di altissima e purissima classe, quello del genio di Nakano. Non fa eccezione il suo ultimo lavoro “Async”, dopo la dolorosa via crucis del tumore alla faringe, diagnosticatogli nel 2014, che non gli ha impedito di rialzarsi nel sacro nome dell’arte e di riattingere vette di grande livello creativo e compositivo. “Async” è una miscellanea di emozioni “fuori sincrono”, talvolta raggelate e come racchiuse in cristalli di senso, di sonorità alonate dal velo della sofferenza che si discioglie in impalpabile nebbia, di efflorescenze musicali germinate come sotto un’architettura di vetro iridato, è musica e poesia insieme, suggestione letteraria e cinematografica, struggimento melanconico e meditativo sperimentalismo.
Partendo da tracce come Andata, soliloquio per solo piano, chitarra trattata (Fennesz) e poi tastiere dispiegate nell’aria come tappeti di brezza, e proseguendo per la metallica intro di Disintegration, cageano fluire di note puntute e dissonanti. Ci si immerge nel respiro orchestrale di Solari come in un’acqua cristallina e tiepida, vellicata da un quieto vento gentile, mentre l’asprezza sonora domina la traccia sperimentale di Zure. Il più classico suono ambient permea di sé, poi, il segmento speculativo di Walker, seguito dal ritmo sostenuto, come in un tempo di “ allegro vivace”, di Stakra, con le tastiere in grande spolvero. Un soffio cageano sembra ancora pervadere Ubi, con note di piano che si stemperano via via nei toni di una melanconica linea melodica. Declinata in spoken word, poi, la traccia successiva Fullmoon contempla, in più lingue, la lettura di un brano de “Il Tè Nel Deserto” di Paul Bowles, in detto frammento vocale alquanto intenso, cui fa da sfondo sonoro un manto di impalpabili note pianistiche, echeggia anche la voce recitante di Bernardo Bertolucci. Gremita di ardimentose geometrie sperimentali è la title-track, Async, rumoristico assemblaggio di trattenuti clangori metallici, mentre in Life, Life i versi preziosi del poeta russo Arsenij Tarkovskij, padre dell’altrettanto geniale e compianto cineasta Andrej, s’intessono delle trame dorate della voce recitante di David Sylvian, sotto un morbido tappeto di note di matrice orientale. Frammenti di ambient venati di sussulti sperimentali balenano in Honj, trascolorando vieppiù nei serici veli cromatici del crepuscolo. Così come alla migliore produzione di musica contemplativa appartiene la traccia di FF, sovrastata dall’onirico manto delle tastiere. A chiudere un album di rara intensità creativa, nel quale convergono le variegate istanze compositive del geniale artista nipponico, la passeggiata speculativa per tastiere elettroniche nel giardino smeraldino della mente, il frammento mistico di Garden. Sontuoso.
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