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23 Settembre 2013 , ,

Roky Erickson A volte ritornano: le tre ristampe Light In The Attic

2013 - Light In The Attic Record/Goodfellas

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* "THE EVIL ONE", 3 Settembre 2013 (LITA)

* "GREMLINS HAVE PICTURES", 17 Settembre * "DON'T SLANDER ME", 17 Settembre       

 

 

 

DELIRIO IN SETTE PARAGRAFI

 

1 -   L’altro giorno io, Dio e Bob Dylan eravamo a farci una birra assieme. Si parlava delle solite cose, tanto per passare un po’ il tempo. A un certo punto mi è venuto spontaneo fare una domanda ai ragazzi. “Notizie dal vecchio Roky?”. L’ho chiesto perché ricordavo che una volta Roky Erickson disse che era “in contatto telepatico costante con Dio e Bob Dylan”, quindi se c’era qualcuno che poteva sapere come stava il mio picchiatello preferito erano loro. “È un po’ che non si vede in giro”, mi ha risposto Zim. “Dal disco con gli Okkervil River”, ha aggiunto il Vecchio, sempre precisino. Il contatto telepatico negli ultimi tempi non doveva aver funzionato benissimo. O forse Roky aveva esaurito la scheda. A un certo punto salta su Gizmo, il gremlin che mi porto in giro per tenermi compagnia, e fa: “Ma come, non sai che sono uscite ben TRE ristampe dei suoi dischi? Devo sempre dirti tutto io? Il giornalista musicale, ah ah ah”. La cosa mi ha colpito (e anche un po’ ferito nell’orgoglio professionale), così due giorni dopo mi sono procurato le tre re-issues marchiate Light in The Attic: “The Evil One”, Gremlins Have Pictures” e “Don’t Slander Me”. Tre belle ristampacce in digipack fatte come si deve, senza bonus track che non fossero già note ma con dei libretti interessantissimi che ripercorrono esaurientemente le vicende ericksoniane e che sembrano (come mi ha fatto notare acutamente un amico) quasi un reportage di Carrère. Per una settimana non ho ascoltato praticamente altro.

 

rokyevilone2 -   Non che non li conoscessi a memoria: avevo già i vinili di tutti e tre, e The Evil One era stato ristampato appena due anni fa (nella prima versione intitolata “Roky Erickson & The Aliens”, con qualche pezzo in meno) dalla Cherry Red in collaborazione con “Mojo”.  Li conoscevo eccome, questi dischi, ma riascoltarseli in fila è stata da un lato una specie di seconda epifania, dall’altro una madeleine sonora dolcissima e irresistibile. Di colpo eccomi di nuovo a metà degli anni Ottanta, diciottenne disperato alla famelica ricerca di qualunque cosa contenesse un micron di rock’n’roll in quello squallido decennio di morti viventi. Parlando di zombie, tra l’altro, nessuno era più autorevole al riguardo di Roky. Che personaggio affascinante e pericoloso, ai miei occhi  di teenager! Uno che arrivava dai Sixties – e questo era già di per sé un titolo di merito - , che aveva scritto un inno immortale come You’re Gonna Miss Me, che aveva ingurgitato in cinque anni più Lsd di quanto potesse produrne la Sandoz in dieci, che era stato rinchiuso in una clinica psichiatrica per essere stato beccato in possesso di una canna (nel Texas di quarantacinque anni fa funzionava così…) e ne era uscito quattro anni e vari elettroshock dopo malato sul serio, che aveva formato in manicomio una band con un paio di condannati per omicidio plurimo, che tornato a piede libero aveva vagato tra Texas e California buttando giù nel corso degli anni una manciata di pezzi degni di figurare nel pantheon dei classici del r’n’r moderno, del punk e della new wave. E’ difficile spiegare oggi che razza di figura mitica fosse Erickson negli Ottanta. Era il link vivente con i ’60 e con la psichedelia che ci illudevamo potesse rinascere.

 

roky erickson3 -   Era il guru inconsapevole di una scena che andava dai Fuzztones  ed i Wipers ai R.E.M. e alla SST. Aah, those were the days. In questo senso, si poteva considerare il cugino americano di Syd Barrett. Con la differenza che Roky, fuori di testa e tutto quanto, non era però rimasto a vegetare in una stanza al riparo dal mondo, diventando suo malgrado un’icona  lisergica e il memento di quel che ti può succedere quando punti troppo lo sguardo sul lato oscuro della luna. Roky c’era, e faceva musica in quel momento. E, incredibilmente, continua a farla ancora adesso. Più o meno. I tre dischi appena ristampati mi riportano a quei giorni. Quando ogni mese leggevo su qualche rivista musicale una notizia su Roky Erickson. Lo hanno messo in gattabuia. No, vive con la mamma. No aspetta, forse ha ucciso la mamma. La mamma gli ha prodotto un disco. Ha riformato gli Elevators. Fa uscire un doppio dal vivo, però registrato in prigione. E così via. Non saprei trovare un equivalente odierno, per far capire a un ventenne di oggi la santificazione underground che aveva investito Roky in quegli anni. Ecco, è un po’ come se Jeff Mangum…no, vabbe’, lasciamo stare. In ogni caso, in questi tre dischi c’è praticamente tutto il Roky Erickson post- 13th Floor Elevators che merita avere. Si potrebbe aggiungere per l’appunto anche il disco con gli Okkervil River (“True Love Cast Out All Evil”, Anti, 2010) e l’album di demo acustici “Never Say Goodbye” (Emperor Jones, 1998), in pratica dei field recordings - alcuni registrati davvero al Ruskin State Hospital nell’ora d’aria - di una bellezza indifesa e fragile che spacca il cuore. Tutto il resto, le varie decine di bootleg e live registrati con i piedi, è dispensabile. Anche perché, in fin dei conti, tutta la storia musicale di Roky dal ’75 in poi, da quando cioè ha ripreso a suonare grazie al sostegno di un vecchio compañero texano come Doug Sahm e di fan devotissimi come Billy Miller, è racchiuso in un paio di dozzine di brani.

 

roky4 -   Pezzi che ritornano ossessivamente in forme e incisioni diverse, scritti quasi tutti subito dopo esser stato rilasciato dalla clinica psichiatrica. Scrivere canzoni non è mai stato un problema per Roky. Il problema, per lui e per quei santi che hanno provato a dargli una mano in studio, era inciderle. E un problema ancora più grosso, quasi insormontabile, era portarle in tour, con Roky che ciclicamente sclerava e partiva per la tangente, e insomma provateci voi ad andare su Marte a cercare di recuperarlo. E qui siamo a un nodo fondamentale della questione, che ha a che fare con il rapporto che ciascuno di noi ha con la follia nell’arte. Personalmente, l’ascolto di musicisti evidentemente disturbati mi provoca profondo disagio. Adoro le canzoni di Daniel Johnston, per dire, ma mi sono sempre rifiutato di andare a vederlo suonare. Allo stesso modo, i dischi di Barrett, così come “Oar” di Skip Spence, penso che siano meravigliosi ma mi iniettano invariabilmente una dose di tristezza al limite del tollerabile. Perché intuisci, perché sai, perché avverti quasi fisicamente che quelle persone stavano male. Con Roky invece non mi sono mai posto il problema, pur sapendo che razza di casino indecifrabile sia la sua mente. E il motivo, chiarissimo all’ascolto, è secondo me solo uno. Ed è che a Roky NON GLIENE FREGA ASSOLUTAMENTE UN CAZZO. Lui, tutto sommato, è contento così: con i suoi marziani, i suoi vampiri, i suoi ghoul, i suoi mostricciattoli, i suoi fumetti horror, i suoi B-movies, il suo triangolo delle Bermuda. E il suo rock’n’roll, ovviamente. Non è una posa, e non è sofferenza urlata al mondo. Semplicemente, quello è il suo mondo.

 

rokygremlins5 -   Le canzoni di Erickson trasmettono, se non proprio gioia, quanto meno una benigna, vivificante, belluina, travolgente forma di energia. Non esiste un diavolo più eccitante di quello di cui canta in Don’t Shake Me Lucifer, non ci sono zombie più amichevoli e caciaroni di quelli con cui va a farsi una passeggiata in I Walked With a Zombie, pezzo che definire “elementare” è dir poco ma che potrebbe anche durare un’ora e mezza e non te ne accorgeresti.  Il segreto sta in due aspetti, fondamentalmente. Il senso melodico sposato a quello del rock’n’roll,  e la voce. Le radici di Roky stanno nei Fifties: canzoni come Don’t Slander Me, Nothing In Return, Haunt, Mine Mine Mind, il boogie di Can’t Be Brought Down, dichiarano a chiare lettere un’adolescenza passata sui 45 giri di Buddy Holly, Little Richard, Jerry Lee Lewis. L’imprinting è quello, a volte con un elemento cartoon che alleggerisce e fa sorridere. Come in Crazy Crazy Mama, che è un rockabilly psicotico degno del Meat Loaf di Rocky Horror Picture Show (ma state tranquilli che se ci fosse stato Roky al posto suo, Brad e Janet non sarebbero usciti vivi dalla casa di Frank’n’Further). E poi ci sono ballate sublimi come Starry Eyes, che dimostrano quanto sotto l’aspetto da licantropo batta un cuore di panna. In alcune parti di The Evil One e forse ancora di più in Don’t Slander Me si avverte una certa famigliarità, oltre che con il punk, anche con l’hard rock di fine anni ‘70 (zona Ac/Dc e Van Halen), ma alla fine è sempre l’istinto rock’n’roll a prevalere.

 

6 -   E del resto sono molto più terrificanti certi slow allucinati come Burn The Flames e Stand For The Fire Demons (con tanto di risata da villain in un horror della Hammer) che qualunque cialtronata dark o death metal. Bermuda e Two Headed Dog (in origine, nel primo 45 solista, pubblicata con il titolo Red Temple Prayer) sono invece creature mutanti, rokyslanderincroci impossibili di Johnny Rotten e Lemmy, e fungeranno da calco di tantissimo r’n’r sotterraneo, in particolare australiano, degli anni 80. E poi c’è la voce. Che è quella, forte e sicura, di un uomo che nonostante tutto è perfettamente in controllo di ciò che sta facendo, anche quando è sul punto di deragliare. Un esempio su tutti: la versione live straordinaria, torrenziale, bellissima di Heroin nella scaletta di Gremlins Have Pictures. Quando Roky nel finale strilla come se fosse posseduto – lo era, probabilmente - “I am a hero/she is my heroin” si rizzerebbero i capelli in testa anche a Billy Corgan. Sempre su quella raccolta di brani dal vivo e di versioni alternative di pezzi già usciti su Ep o singolo, pubblicato nel 1986 pochi mesi prima di Don’t Slander Me (che a sua volta era il secondo album di studio di Erickson, dopo The Evil One che è invece del 1980), si possono inoltre trovare bacilli del virus dylaniano in brani “political folk” come Warning (Social and Political Injustices). E sempre lì c’è una versione di quella che ritengo la canzone più bella in assoluto di Roky Erickson, quel capolavoro visionario e mistico di I Have Always Been Here Before. “From the gargoyles to Stonehenge/ from the Sphynx to the pyramids/Lucifer's temples praising the devil right/to the devil's clock as it strikes midnight”.

 

Roky+Erickson7  -   Non è affatto un caso che ne abbia dato una rilettura, a modo suo magnifica anch’essa, quell’altro sbiellato di Julian Cope. Resta ancora da ringraziare chi ha suonato e prodotto questi dischi. Perché Roky da solo non ce l’avrebbe mai fatta, non avesse avuto al suo fianco musicisti solidissimi che hanno saputo dare forma ai suoi abbozzi di canzone. Gli Aliens, innanzitutto, che lo hanno supportato per diversi anni, in più riprese, fino alla consunzione psicologica (loro): il citato Miller all’autoharp elettrificata, Duane Aslaksen alla chitarra, Steve Morgan Burgess al basso e Fuzzy Furioso (che nome sublime!) alla batteria. E poi ancora gli Explosives, l’ex Creedence Stu Cook che produsse amorevolmente The Evil One, l’ex-Jefferson Airplane Jack Casady che suonò il basso in Don’t Slander Me (insieme al batterista Paul Zahl e al chitarrista Jack Johnson, che qualche anno più tardi faranno fatto parte di una delle tante line-up dei Flamin’ Groovies… beccati questa, Gizmo!). Roky li ha portati tutti sull’orlo del collasso nervoso, ma sono loro stessi ad ammettere che ne valeva la pena. Alla fine, non si può non voler un bene dell’anima a quest’uomo tormentato. Quando non ci sarà più, we’re gonna miss him. E mancherà un casino, ne sono sicuro, anche a Dio e a Bob Dylan.

 

Carlo Bordone

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