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10 Febbraio 2019

Pip Carter Lighter Maker TREENITY

3 Gennaio 2018

Italia  #consigliatodadistorsioni

 

pipcartercoverNati da un’intuizione del modenese Claudio Luppi, i Pip Carter Lighter Maker si sono distinti nella pubblicazione di ben quattro album, due EP e una raccolta in vinile nell’arco dei quindici anni che sono intercorsi dai primi demo a loro nome, ispirato al Pip Carter grande amico di Syd Barrett e responsabile dei “light show” che accompagnavano le performance dei primi Pink Floyd. Da sempre alfieri di una psichedelia memore della lezione dei summenzionati, ma anche di altri protagonisti della Swingin’ London (The Kinks, Pretty Things, Kaleidoscope inglesi), col passare del tempo e grazie al confronto con altre realtà durante partecipazioni a festival e vere e proprie tournée all’estero (sono particolarmente apprezzati in Germania), si sono staccati dalla matrice originale. Hanno, così, modificato il suono inglobando elementi garage di stampo americano che, a partire dal quarto album (“I See You By My Side”, 2012), ne hanno spostato le coordinate quel tanto da farli approdare a una versione aggiornata del lato più barrettiano del Paisley Underground: quello dei Rain Parade e delle loro filiazioni, Opal in primis.

 

Ed il risultato è davvero sorprendente, sia che si tratti di brani che confortano le suggestioni  testé menzionate, come l’elettrica Where Is The Love, che introduce e ritroveremo in chiusura in veste acustica (chiusura apparente in quanto seguita, dopo una pausa, da una ghost track strumentale per nulla superflua), Peaches Of Allman Brothers  (bel titolo), Remember Me (che aggiunge qualche eco Green On Red al menu), l’eterea Telescopes, gli accenti beatlesiani  che pipcaratterizzano Same Old Song e The Soundtracks Of Our Lives. C’è ancora spazio, comunque, per sonorità floydiane post Barrett (Day By Day, Mellow), mentre due episodi si staccano dal resto del programma: l’ottima Dj Of The Highway, ovvero il garage come lo intendevano i Long Ryders, e la notevole The End Of The World, percorsa da una chitarra surf e vicina a certe cose dei Coral. Insomma: un disco derivativo nei suoni (ma, come già ribadito in altre sedi, chi può fregiarsi del titolo di “innovatore” in ambito rock, oggidì?) e però ricco di ottime canzoni, aspetto che non ci pare secondario. Piacevolissima sorpresa. Andatevi a ripescare le prove precedenti: sono di tutto rispetto. 

 

Voto: 7/10
Massimo Perolini

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