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28 Agosto 2015 ,

Yo La Tengo STUFF LIKE THAT THERE

2015 - Matador Records
[Uscita: 28/08/2015]

Stati Uniti  #consigliatodadistorsioni

 

yltYo La Tengo band compie 31 anni e i suoi componenti quasi il doppio, ma la trasognata aria adolescenziale di chi ripropone pezzi dei propri artisti preferiti è ancora là. Così nel clima di celebrazioni inaugurato con la pubblicazione di “Extra Painful!”  nel dicembre dell’anno scorso, arriva questa ultima fatica, “Stuff Like That There”. Anche nel venticinquesimo anno dall’uscita di “Fakebook” e riprende il discorso dove era stato lasciato nel 1990. Non solo perché il disco è composto quasi interamente da cover e pezzi riarrangiati ma anche perché Dave Schramm (chitarra solista nei primi 3 album) torna nella formazione dopo 25 anni. A curare la bio della band poi, un ospite d’onore, Kurt Wagner dei Lambchop:” L’album può benissimo essere considerato un sequel dell’idea di “Fakebook” ma alle mie orecchie pare che siano semplicemente tornati a cosa li spinse originariamente a cominciare a suonare: abbracciare la gente a cui tengono e divertirsi per questo”.

 

La formazione vede un compattamento acustico (McNew al contrabbasso, Kaplan alla chitarra acustica) intorno alle voci di Kaplan e della Hubley e alla chitarra limpida di Schramm. Il quale si cala perfettamente nella parte, e siamo ancora una volta in odore del country psichedelico di “Ride The Tiger”: la dice lunga I’m So Lonesome I Could Cry, yolatengo1country per eccellenza, che rimbalza sulle note  di chitarra, oppure il ¾  di Before We Stopped To Think (dei Great Plains, gruppo country pop degli anni ’80) che lascia spazio al crooning stranulato di Kaplan e alla chitarra tremolante di Schramm. Ad aprire l’album è la versione scintillante di My Heart’s Not In It, hit minore di Darlene McCrea del 1964: sulla stessa onda pop anni ’60 sono omaggiati i Lovin’ Spoonful con la loro Butchie’s Tune (1966), in un certo senso antesignani del suono Yo La Tengo; i Parliament di I Can Feel The Ice Melting (1967) diventano oggetto di una jam contry-swing. Il tributo va anche a gruppi contemporanei alla band, come gli Antietam di Naples, di cui il gruppo offre una bellissima versione rallentata, impreziosita dai twang di Schramm.

 

I vicini di casa Special Pillow (in cui ha suonato lo stesso McNew) sono ricordati con Automatic Doom, ballata byrdsiana cantata da Kaplan e Hubley. E poi ovviamente, la ripresa che salterà alle orecchie dei più, Friday I’m In Love dei Cure. Già suonata live in un paio di occasioni, con la Hubley restia ad accontentare Kaplan nella registrazione di ylt-and-dave-schrammquesta canzone: (”Penso al suo aspetto commerciale, qualsiasi cosa voglia dire, e probabilmente questo mi ha fatto riflettere: non sono sicura di sentire me o noi in questa canzone”), è l’episodio più debole dell’intero lotto. A chiudere una breve cover di Somebody’s In Love dei Cosmic Rays (1966), galoppante sunshine pop che rende giustizia all’originale. I pezzi migliori di Stuff Like That There sono però le canzoni originali della band: a partire dal duetto di Rickety (inedito) con la chitarra di Schramm che puntualmente serpeggia tra le pieghe e i pattern. L’impressione è quella di una band più libera di sperimentare nelle proprie esecuzioni ed un vago senso lisergico si esplica nei nuovi arrangiamenti di The Ballad Of Red Buckets (da “Electr-o-Pura”) e Deeper Into Movies (da “I Can Feel The Heart Beating As One”) , le migliori tracce dell’intero album.

 

La prima si muove sui binari della batteria mentre le due chitarre si scambiano assolo e sbavature (qui Schramm da il meglio di sé) in una delle più belle ballate di Kaplan; Deeper Into Movies trascende a cantilena psichedelica che si stende su un mare di etere, una preghiera attraversata da squarci spaziali di chitarra e caratterizzata da un ylt_20paio d’accordi ripetuti ossessivamente. Il capolavoro di Stuff Like That There. Ma rimane ancora tempo per il valzer storto di Awhileaway (inedito) e una velocizzata e candida All Your Secrets (da “Popular Songs”). 14 canzoni che esplorano e spiegano archeologicamente il suono Yo La Tengo, ne ricercano le radici e le complessità, tentano di spiegare come si diventa una delle più grandi band indie-rock di sempre. Aspettando magari un gemello che porti alla luce anche il lato sperimentatore e noise della band, possiamo dire che miglior celebrazione di questa non poteva esserci. 

 

Voto: 8/10
Ruben Gavilli

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