Indie is not an attitude - Parte 1 VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLE VERE ETICHETTE INDIPENDENTI ITALIANE
Siamo in un periodo in cui tutto ci viene proposto come alternativo. Dilaga la moda delle schiere ribelli che sventolano la bandiera del non allineamento ma che in realtà finiscono per confluire in gap abilmente studiati e previsti dal mercato. Il paradosso più rimarcabile è che la volontà di essere "inclassificabile" viene recepita dagli abili venditori di controcultura e a cadere nella rete sono in molti, moltissimi.
Forse perché predomina la superficialità, forse perché le pose e le attitudini prevalgono sulla fedeltà ad uno status. Sta di fatto che il mercato discografico, alla faccia della musica alternativa e indipendente, è dominato da major per il 90% e, in quel restante 10% che rimane, si nascondono etichette rampanti comunque - più o meno velatamente - orientate al marketing e all’imposizione di nuovi dettami. Con questo nostro viaggio vogliamo invece andare alla scoperta di quelle circoscritte realtà che attuano veramente e autenticamente lo spirito del fai-da-te, che lavorano con la pura e semplice voglia di produrre qualcosa in cui mettono il cuore, per trovare una forma di espressione artistica prima ancora che un riscontro in termini economici, per dare sfogo alla creatività distaccandosi completamente dalla filosofia delle corporations, seguendo semplicemente la propria ispirazione e il proprio istinto.
Emergono così delle autentiche gemme del sottobosco più incontaminato, dove l’autonomia è un modus vivendi talmente naturale e partecipato che per riportarla alla luce bisogna inoltrarsi in sentieri specifici, diventare segugi, parte stessa di quel mondo a sé. Realtà locali fatte di tanta voglia di divertirsi, in cui l’idea stilistica ed estetica perseguita prevale su ogni logica d’interesse e dove il gusto della sperimentazione e della scoperta viene premiato sempre dalla volontà di crederci. Persone che si supportano in un regime di completa autarchia, dallo strimpellamento iniziale nel garage delle proprie abitazioni, alla riproduzione e diffusione dei loro suoni per la ristretta cerchia degli estimatori più affezionati. Spesso chi suona nelle band si preoccupa anche di produrre il suono secondo le proprie aspirazioni e si procura i mezzi per farlo, ancor più spesso ci si improvvisa distributori autorizzati, attraverso la vendita durante concerti/serate o con servizi di mail order o fanzine divulgative.
Tutto portato avanti con ostinata volontà di rimanere fedeli a sé stessi e alla propria proposta musicale, alla propria creatura che, se pur brutta, sporca e cattiva, ha comunque sempre un’origine libera senza riserve e senza condizioni.
Miacameretta Records: plasmabilità
DIY L’avventura dei ragazzi di Miacameretta nasce come per gioco alla fine del 2007 a Morolo e, come nei giochi più entusiasmanti, il cammino è caratterizzato da fasi alterne di euforia, variabili impreviste, pause ed accelerazioni. Sicuramente amano prendersi alla leggera Filippo, Ettore e Simone, comunicare la loro voglia di fare come puro piacere di dedicarsi a ciò che li appassiona e coinvolge, metterci dell’artistico, del personale e riuscire con questi ingredienti a tirare fuori dei risultati interessanti e sicuramente meritevoli di attenzione.“Quando eravamo piccoli vendevamo la limonata fuori, nel giardino di casa. Oggi siamo grandi e vendiamo cd, nel giardino di casa....”
E’ questa la filosofia predominante di questa label che decide di tentare l’avventura del Do It Yourself, sfornando dei dischi assolutamente artigianali che più fatti in casa di così non si può: dal packaging, alle scritte sui cd fatte a mano col pennarello, ai testi stampati in bianco e nero su fogli a4 ritagliati e ripiegati! Ogni disco è rivestito esattamente dell’abito con il quale è stato pensato, il suono equivale ad una registrazione fatta in un ambiente volutamente estraneo all’ipertecnologia e all’asetticità della sala di registrazione ma, allo stesso tempo, curato e studiato in ogni dettaglio. Filippo Passamonti, uno dei fondatori dell’etichetta, ha avuto l’idea geniale di dotarsi di microfoni e strumentazione originale degli anni ’60, e rendere questo materiale disponibile direttamente, spostando la sala prove anziché i singoli gruppi interessati.
Il Vintage Distorted Shitty Sound è una vera e propria base mobile dotata di scheda audio a 16 tracce, monitor per l’ascolto, microfoni a nastro e a condensatore, aste, cuffie e tutto il necessario per attrezzare la propria cameretta a sala prove ufficiale. Per questa ragione a Miacameretta si può senz’altro dare il grosso merito intuitivo di dare voce e rimanere punto di riferimento per tutte quelle bands locali che spesso - non solo per difficoltà logistiche - faticano a trovare i propri spazi espressivi, a mettere in atto senza compromessi le proprie idee. Tra i futuri e più imminenti progetti in cantiere previsti ci sarà l’uscita annunciata per il prossimo mese di marzo 2012 del nuovo lavoro della one man band di Marco Bernacchia alias Above the Tree dal titolo "From the memory of my hard disk", e una compilation ispirata alla celebre "Miniatures” di Morgan Fisher, uscita nel 1980 e contenente 53 pezzi esplosivi da un minuto ciascuno.
A tal proposito divento portavoce dell’etichetta per dire che si accettano prenotazioni da parte di tutti gli artisti interessati ad aderire al progetto, ma mi raccomando, solo pezzi da non più di un minuto!
Alcune produzioni di Miacameretta Records
Poptones: “The Major Man” (EP, Miacameretta/Musica per Organi Caldi, release date: 24 marzo 2011)
Un gruppo composto da tre ragazzi ciociari che con questo secondo EP - sempre fedelissimamente prodotto con Miacameretta - affina notevolmente la propria peculiarità espressiva e musicale. Il fresco e brillante stile ibrido di pop n’roll e dance punk giocoso e irriverente prende forma propria, seppur sapientemente ispirato da influenze precise impartite dai capostipiti Pavement e Jon Spencer Blues Explosion, maestri indiscussi della fusione tra melodico e grezzo, distorsioni e contagiose incursioni pop.
Loro incarnano perfettamente la band dispensatrice di musica alternativa controindicata e indigesta ai ragazzini con velleità da ribelli. La loro leggerezza e la loro estetica lo-fi in realtà sconfina in una preparazione e in un bagaglio musicale ampio e variegato; la loro bonarietà è intelligente e acuta, i ripescaggi sono mirati e rispondono a intenti precisi di affinamento che li rende in questo ultimo lavoro molto più disinvolti e convincenti che nel precedente. Nel brano High Rise la frenesia DIY e la bassa fedeltà ad hoc ci porta a risultati interessanti e inattesi, talmente ben equilibrati e frizzanti da non suggerire nessun intento nostalgico. Irresistibili chitarre catchy, coretti e sferzate surf, rumorismi garage e tastiere in dialogo perfetto. The major man ha un basso che strizza l’occhio alla My Generation degli Who. Side A è uno degli episodi più interessanti, brano strumentale pieno di ottimi spunti in cui confluiscono in modo fantasioso e armonico svariate influenze e tocchi di elettronica. Mediapark è decisamente distorta e cacofonica, con percussioni spinte al massimo ma assolutamente coinvolgente. In Baby le corde vengono tirate al massimo ma il clima fuzz dilaga in atmosfere ombrose e piacevolmente avvolgenti. Side B è ridondante e spiazzante con spunti di elettronica che ammorbidiscono e alleggeriscono sapientemente, esplorando sonorità più recenti (Interpol, Clinic, Editors). Cursed Higway è il classico esperimento estemporaneo buttato giù di getto che travolge per energia e si rivela di irripetibile coinvolgimento.
Questi ragazzi hanno certamente preso le distanze dal produttore cattivo che getta tutto nel calderone dell’omologazione, l’omone anonimo dal ghigno beffardo che troneggia in copertina. La loro corsa trasmette entusiasmo ed euforia ed è talmente autentica e coinvolgente - praticamente la materializzazione di un proclama- che ci ritroviamo inevitabilmente a rincorrerli per scoprire con loro il gusto frizzante della libertà.
“Panda Kid Meet No Monster Club” (Miacameretta - Youth Tramp, giugno 2011)
Uno split spassosissimo che affianca sonorità capaci di armonizzarsi perfettamente, sia pure con i dovuti distinguo che caratterizzano l'italianissima one man band vicentina Panda Kid e il trio dublinese No Monster Club, giunto al suo terzo lavoro e sempre più gettonato in patria.
Due band capitanate da due talenti veramente fuori dalle righe e capaci di rendere incontenibile l'incredibile dispiegamento di sonorità tirate in campo con tocchi scanzonati e freakkettoni, ma mai banali. Alberto Manfrin ha dato vita al suo progetto Panda Kid dopo l'esperienza con i Super Burritos che nel 2010, sempre per Miacameretta, si erano distinti con "Two Monkeys Fight for a Banana", una produzione sporca e a bassissima fedeltà che si richiamava ad un garage surf selvaggio e liberatorio, interrotto da tocchi noise. Bobby Aherne dei No Monster Club invece, tende a condire il suono surf e fuzzettone con un bubblegum pop liberamente ispirato al sound anni '50 e richiami trash, goliardici di doo-wop. I risultati sono letteralmente esplosivi in questi otto pezzi, onde sinusoidali deviate, esplosioni di adrenalina e sana voglia di divertirsi, con l'abilità di rendere scanzonata e folle un'idea in realtà molto precisa e ben organizzata.
A long long summer, del nostrano Panda Kid, galleggia in atmosfere tropicali e una serie di rumorismi funky ed elettro noise. Anche Junky Girl inizia con un muro di suono sporco che dilaga in coretti ritmati in cui capeggia l'armonica e una chitarrina insolente che compie virate dal melodico al distorto. How to have fun dei Monster sembra una rimpatriata a briglie scolte tra Beach Boys, Ronettes, Strokes e Libertines. Kill all Creeps si distingue per dei coretti in falsetto e schitarrate forsennate che riempiono a meraviglia la durata di poco più di un minuto del pezzo. Guys I Think I found my brain è stonata e caciarona con feedback fantasiosi e travolgenti.
Confidences ci riporta agli Stooges, ma degli Stooges deviati e smarriti, contagiati loro malgrado da una malsana passione per Brian Wilson. Senz’altro un inizio promettente quanto inaspettato per Panda Kid che recentemente ha fatto uscire per Uglydogs (2011) un lavoro molto interessante che ha raccolto unanimi critiche positive: “Scary Monster Juice”.
Bandwidth: “ Quadro” (EP, Miacameretta - Brigadisco Record, release date: luglio 2011)
Al secondo EP per Miacameretta e al quarto dalla loro formazione avvenuta nel 2009. Letteralmente significano campo di variazione delle frequenze e concettualmente ammettono la più ampia variazione del concetto di suono usato ai fini della comunicazione, un caos deliberatamente sprigionato, lasciato libero di fluire e poi riportato abilmente in traiettorie precise e non casuali. Il trio del frusinate gioca tout court con la sperimentazione e con i rumorismi noise e si riaggancia alla tendenza artistica della scuola no wave: dissonanze, irruenza abrasiva, ripetitività ossessiva e vuoti glaciali, atonalità vocale molto simile a Sonic Youth, post punk dadaista e nichilista alla Liars, e Half Japanese. Un “Quadro” alla maniera di Piet Mondrian, sbiadito nei suoi colori, che gioca con gli incastri di geometrie regolari ma fantasiosamente accostate, un riverbero di luci e ombre che nel loro opporsi sanno creare sfumature inaspettate.
Consumism è un tappeto di tastiere con intervalli di piatto hi-hat e ride dalle derive cosmo apocalittiche kraut. Youth against Gheddafi ancora una volta si incentra sulla batteria, cori e spigolosità buzz, travolgente in Totem in soli 46 secondi e ammiccante alla Youth Against Fascism dei Sonic Youth. Qità Ghazzah proietta in uno strano sentore di torbido orientalismo, annienta il big beat della Jilted generation con sibili di basso e passaggi chitarristici morbidi e rarefatti. Sentori di Prodigy in contro eco anche in Acceleration, mitigati da divagazioni minimaliste e art-noise. Tribalismi psycho deliranti e killer cold funk "gang-of-fouriano" in Bandwidth, che chiude i sei brani di scaletta per un totale di poco più di venti minuti interessanti e convincenti. Un underground italiano promettente e talentuoso che prelude senz'altro ad un cammino che varrà la pena seguire attentamente, anche a costo di incunearsi nel sottosuolo!
Esercizi base per le cinque dita: “Le prove di zenobio” (Miacameretta, release date: 5 settembre 2011)
Dopo un primo EP del 2010 dall’omonimo titolo di formazione, arrivano a questo interessantissimo lavoro sempre di fedele produzione Miacameretta. “Le prove di zenobio” sembra essere non solo il disco rivelazione di questo trio del frusinate ma una specie di scommessa vincente,un riscatto pienamente assolto ad opera di una realtà territoriale come quella del basso Lazio, gravemente penalizzata e ingiustamente accantonata dai circuiti più influenti e fiorenti della scena indie. Propongono una scrittura efficace che trasuda rabbia e polemizza, in maniera sottile quanto sarcastica, contro il sistema e contro l’indifferenza. Riescono a mantenere uno stile personale piuttosto marcato sebbene si muovano in un campo che in qualche modo ci ha già detto tutto e lo ha fatto in tutte le salse.
Una voce limpida e perfettamente scandita, dal timbro molto simile a Samuele Bersani, un feedback e un ethos lo-fi a spiazzante ed originale contrasto. I moribondi, con accompagnamenti soft al piano, testi acidi a tratti cinici, iperbolici, falsamente rassegnati. Ho da fare è irruenta con frenesia travolgente di chitarra e batteria. Giorni deserti con un testo disincantato ed originalissimo riporta alla mente alcuni brani dei Rossofuoco o le prove argute di declamato messe in atto dai primissimi Massimo Volume, con prevalere di basso e chitarra languidi e rarefatti.
Le parole del mobilio ha una ritmica coinvolgente ed esplosioni abrasive post punk. Prima di Uccidere riesce a dosare molto bene la melodia e l’incedere deciso e ben armonizzato degli strumenti: su tutti il basso dà l’atmosfera più incisiva e accattivante. A colpi di tosse è senz’altro il pezzo più orecchiabile e allo stesso tempo più nichilista dell’intero cd. La caduta così come Per terra, riassumono molto bene le contraddizioni e le sfaccettature di questo gruppo che pur intessendo sapientemente svariate suggestioni musicali della nostra musica cantautorale e indie rock d’oltremanica, mantiene con spessore e incisività un suo stile ben definito che è fatto di intelligenti alchimie.
Questi ragazzi sanno dosare il peggio della nostra società in un ibrido che ne rispecchia la complessità, cantandolo con forme morbide e carezzevoli che attingono al pop ma, allo stesso tempo, con disinvoltura e facezia sprofondano in attitudini punk o nella seriosità impegnata e cupa della canzone d’autore, per sottolineare la loro voglia di andare oltre, di resistere, prendendosi poco sul serio ma con piena consapevolezza: insomma una ricetta molto meno leggera di quel che vuol sembrare ma che si sa far gustare a meraviglia.
* ringrazio Filippo Passamonti per la collaborazione e il materiale informativo forniti e Antonio De Luca per il supporto tecnico e l’entusiasta disponibilità