Depeche Mode THE DELTA MACHINE TOUR 2013-2014 + LIVE ROMA 20/7/2013
Ad un anno esatto dall'epocale concerto romano dei Depeche Mode ed a quattro mesi dalla conclusione del loro "Delta Machine Tour 2013-2014", il nostro Diego Loporcaro fa, nella prima parte di questo speciale, un dettagliatissimo bilancio del tour de force mondiale della band britannica. Nella seconda parte trovate l'altrettanto precisa cronaca di Diego del suddetto ormai mitico concerto italiano, scritta a caldo un anno fa a ridosso dell'evento, sull'onda dell'entusiasmo. Per questo motivo la troverete meno critica delle scelte 'live' operate dai Depeche Mode, a differenza dell'ottica col 'senno di poi' post-tour che ha guidato la mano di Diego nella scrittura della prima parte di questa speciale. Buona lettura (P.W.B.)
1a Parte - DESTRUCTION TIME AGAIN: THE DELTA MACHINE TOUR 2013-2014
A marzo 2014 si è concluso il “Delta Machine Tour” mondiale dei Depeche Mode: a distanza di un anno dal concerto romano del 20 luglio 2013 le idee sono più chiare e le riflessioni decisamente “a freddo”, distanti da entusiasmi ed euforie del momento. Parlando dei Depeche Mode ci si trova davanti sempre a due scuole di pensiero: coloro che li incensano come quartetto di musica elettronica dalle venature oscure, dai grandi suoni mai ascoltati prima, dagli show basati su un tripudio di synth analogici, campionatori, percussioni di vario genere e poca chitarra e chi invece li ama come la più grande band di rock elettronico del pianeta, magari dimenticandosi (o ignorando totalmente) quanto fatto da Trent Reznor con i suoi Nine Nich Nails. Si fa fatica a pensare oggi ai Depeche Mode come gruppo di nicchia in grado di interpretare le pene spirituali di una generazione di disadattati (come lo erano prima dell’arrivo del successo in America, di “101”, di Personal Jesus e di “Violator”) o come gli eredi dei Kraftwerk, arzilli nonnetti che continuano ad essere ancora oggi i numeri uno del pop elettronico. Nel corso della loro storia i Depeche Mode ci hanno abituato al loro forte spirito autocritico post-datato che puntualmente esalta un nuovo album per poi demolirlo con il successivo disco: emerge dalle tante interviste e anche dalle scalette dei loro show che la band non è stata mai soddisfatta a pieno da dischi come “Broken Frame”, “Ultra”, “Exciter” e “Sounds Of The Universe” e la quasi-assenza dei brani di questi dischi dalle scalette dei concerti finisce per confermare quanto detto. Prima di passare in rassegna il Delta Machine Tour occorre guardare indietro ai tour degli anni 1981-1994, quando gli album venivano suonati quasi per intero e quando la band arrivava a fine tour suonando l’album promosso quasi per intero (venivano al massimo eliminati un paio di brani).
Inoltre va osservato che, essendo all’epoca un gruppo indipendente, non vi era alcuna scadenza contrattuale da rispettare, ma che, dopo l’uscita del best-seller Violator, le cose sono cambiate radicalmente e la band è stata costretta a pubblicare “da contratto” un album ogni tre o quattro anni. A giudicare dal nutrito numero di brani inserito all’inizio del tour di Delta Machine sull’onda dell’entusiasmo da parte della band riguardo un disco che a loro parere era il migliore degli ultimi tre con il produttore Ben Hillier, si lasciava ben sperare che questo disco avrebbe avuto un trattamento differente rispetto ai due dischi precedenti, le cui tournèe vedevano un sacco di brani nuovi all’inizio e solo 4 pezzi nuovi nelle leg finali. Le prime date promozionali pre-tour di marzo-aprile 2013 lasciavano già intravedere quelli che sarebbero stati i singoli dall’album, ovvero i brani che la band reputava i più forti del disco: Heaven, Soothe My Soul (a tutti gli effetti l’unico pezzo ballabile dell’album), Should Be Higher, Angel (che però non è diventato singolo pur venendo onorato da un videoclip di Timothy Saccenti) e la mediocre Soft Touch/Raw Nerve che mostra sin da subito i suoi limiti in sede live. Alla partenza del tour vero e proprio Soft Touch/Raw Nerve viene sostituita da Secret To The End (scritta da Gahan) per ritornare in scaletta solo in un paio di occasioni e poi sparire per sempre. L’apertura del concerto viene affidata all’ottima Welcome To My World che apre anche l’album, mentre la chiusura del concerto a Goodbye, che chiude anche il disco in studio. Fa capolino dalla data di Roma in poi (verso la fine della leg europea estiva) e per tutto il tour americano la ballad elettronica The Child Inside (cantata da Martin Gore), portando ad 8 (su 13) il numero dei brani nuovi “onorati” da una esecuzione dal vivo. Anziché mantenere gli 8 brani sopra citati nella leg americana estiva, le poco convincenti Secret To The End e Goodbye (come predetto nella recensione dello scorso anno) vengono eliminate definitivamente (Goodbye ritornerà nella leg europea invernale solo nelle date di Berlino per la registrazione del DVD ufficiale del tour).
Ma non finisce qui: nella leg americana The Child Inside non viene suonata in 5 concerti, i singoli Heaven, Soothe My Soul e Should Be Higher inspiegabilmente non vengono suonati nelle due date ad Austin e in quella di Phoenix. Arrivati ad Abu Dhabi (negli Emirati Arabi), anche il singolo Soothe My Soul viene scartato per sempre dalla scaletta per ricomparire un’ultima volta a Berlino per la registrazione del DVD. Nel novembre 2013 parte la leg europea invernale con concerti più corti (eccetto i due berlinesi per il DVD): quattro i brani superstiti (le aperture Welcome To My World ed Angel e i singoli Should Be Higher e Heaven) più The Child Inside per i primi 12 concerti della leg invernale, sostituita dalla insipida Slow (eseguita in un “unplugged” ancora più insipido) nelle restanti 6 date. Il tour europeo invernale 2014 parte con 5 brani dall’ultimo album (Welcome To My World, Angel, Should Be Higher, Heaven e Slow “unplugged” sostituita per 3 volte da The Child Inside) per terminare negli ultimi 12 concerti (a partire dalla data di Milano a fine febbraio sino all’ultima data di marzo a Mosca) con 4 soli brani nuovi, perdendo per strada anche il singolo Should Be Higher. A parte il singolo di successo Heaven e i due brani che aprono il disco (Welcome To My World e Angel) la band alla fine di questo tour ci dice che non c’è molto da ricordare di Delta Machine. La stessa Slow, tenuta fino alla fine del tour, altro non è che uno scarto dallo storico “Songs Of Faith And Devotion” e a nostro avviso resta uno scarto anche di Delta Machine stesso. Se aggiungiamo che da Violator vengono eseguiti ben 5 brani (Personal Jesus, Halo, Enjoy The Silence, Policy Of Truth e Blue Dress) sembrerebbe che questo sia piuttosto un “Violation Tour”. Se aggiungiamo un paio di brani da “Black Celebration” (1986), un paio di hit da “Music For The Masses”(1987) e ben 4 brani da “Songs Of Faith And Devotion” (1993), si capisce che, a differenza del vecchio repertorio, buona parte del materiale nuovo non funziona dal vivo.
Emerge da anni una contraddizione di fondo: se da un lato i tre musicisti sostengono di non andare in tour se non hanno un album nuovo da promuovere e di essere distanti da operazioni commerciali quali “greatest hits tour”, dall’altra assistiamo dal 1998 ad un perenne tour commemorativo (ad eccezione del tour di Exciter) nascosto dietro il pretesto della promozione di un nuovo album. Ricapitolando: prima Soft Touch…, poi Secret To The End, poi Soothe My Soul e Goodbye, poi The Child Inside e infine Should Be Higher vengono cestinate man mano che si va avanti con il tour. Se aggiungiamo che sono stati scartati a priori Broken e My Little Universe, possiamo capire come gli stessi Depeche Mode non siano stati proprio convintissimi sulla resa “live” dei brani nuovi. Di contro, sui brani del repertorio 1986-1993, la cui resa live/studio resta la migliore in assoluto (nonostante tutti gli stravolgimenti subiti) si basa l’ossatura di tutti gli ultimi tour. Una fine un po’ triste per Delta Machine incensato come “il miglior album dei Depeche Mode dopo Ultra”, al pari del precedente “Sounds Of The Universe”, anch’esso decimato a 4 brani (le ottime In Chains e Wrong scritte da Gore e le brutte Hole To Feed e Miles Away di Gahan) nella leg europea invernale 2009-2010, per poi essere completamente dimenticato in quest’ultimo tour. Se ripensiamo al tour di “Playing The Angel”, iniziò anch’esso con un bel po’ di brani nuovi in scaletta e finì con i soli quattro singoli suonati dall’album (di cui solo A Pain That I’m Used To e Precious continuano ed essere suonati) senza dimenticare che neanche una petizione di collezionisti bastò a convincere la Mute a lavorare su una edizione rimasterizzata “deluxe” dell’album.
E che dire del fatto che in questo tour i Depeche Mode abbiano deciso di suonare soltanto due brani risicati da Ultra (Barrel Of A Gun e Home), eliminati dopo le prime due date della leg invernale? Se Ultra fosse stato realmente uno dei loro album migliori, avrebbero concesso molto più spazio ai brani di questo disco nelle scalette dei tour dal 1998 ad oggi. E che dire di Exciter con la sola When The Body Speaks nella leg europea estiva, eliminata dopo un paio di date in USA? Altro album dimenticato è “A Broken Frame” del 1982, senza nè Wilder, nè Clarke: la sola Leave In Silence, suonata in acustico, compare sempre troppo poco nei tour degli ultimi venticinque anni. Il confronto con “Speak & Spell” (scritto da Vince Clarke) non regge: resistono all’usura del tempo Just Can’t Get Enough (nei tour 1998-2005-2013/2014) e Photographic (nei tour 2006-2010). E’ dunque evidente che dal 1998 i Depeche Mode cercano di convincere innanzitutto se stessi e poi i fan (spesso troppo benevoli con i loro beniamini) sulla bontà dei loro album post-1995. E’ facile prevedere che la band tornerà presto con un nuovo disco e un finto nuovo tour (l’ennesimo tour di hit) in cui Heaven potrebbe forse essere l’unico brano di Delta Machine suonato. Il tour di oltre cento date si è chiuso stancamente lo scorso 7 marzo a Mosca senza alcuna chicca finale, andando a sfatare il mito dell’ultimo concerto del tour che, dal 2001 in poi, aveva sempre riservato sorprese, sintomo che le ultime date (in cui il set cambiava poco e i concerti erano più corti) sono state una imposizione del music business e non una loro scelta libera.
2a Parte - DEPECHE MODE + MOTEL CONNECTION + MATTHEW DEAR - LIVE REPORT
Sabato 20 Luglio 2013 – Stadio Olimpico – Roma
Sabato 20 Luglio 2013 allo Stadio Olimpico di Roma s’è tenuto uno dei più grandi concerti dell’anno: quello dei Depeche Mode nel loro nuovo Delta Machine Tour 2013. Delusi dalla svolta “major” del gruppo avvenuta nel 2005 con l’album Playing the Angel, noi di Distorsioni ci siamo recati all’Olimpico con ben più di un dubbio. Ma se il nuovo album Delta Machine in primavera aveva fatto presagire ad un ritorno di forma, nonostante due singoli non proprio grandiosi (Heaven e Soothe My Soul, il secondo dei quali ha avuto scarsissimo successo di vendite), solo dopo aver assistito a questa tappa italiana del nuovo tour possiamo affermare che i Depeche Mode sono ritornati in splendida forma con un disco che funziona quasi sempre anche in ambiti live, cosa assai difficile da ottenere per la musica elettronica suonata negli stadi.
MOTEL CONNECTION - MATTHEW DEAR
La povera performance dei Motel Connection in apertura di serata la si può liquidare come una mezzoretta risicata di rifacimenti di brani di Clash, Prodigy, U2 e un paio di hit dal primo album quali Two e Lost, gli unici punti alti dell’esibizione di Samuel Romano & co.. Decisamente più interessante l’esibizione di Matthew Dear e la sua band, conosciuto anche come Audion, dj/producer e cantante/musicista, già noto a chi segue i Depeche Mode per i suoi remix. Il producer americano apre il suo set con il nuovo singolo Her Fantasy, un buon brano electropop, con venature etniche, maggiormente accentuate nell’esecuzione dal vivo. Segue Earthforms, secondo brano anche del nuovo album Beams, dalle ritmiche decisamente più post-punk. Terzo brano sia dell’album che del live è il singolo Headcage, che nella versione live acquista più corposità rispetto alla versione dell’album: anche per questo brano la componente etnica viene accentuata dal vivo grazie all’uso di strumenti particolari. Segue Do the Right Thing, un altro brano dall’ultimo album Beams. Chiudono il concerto due classici da "Black City", l’album della svolta “canzonettara” del dj minimal-techno: Slowdance e You Put a Smell on Me.
DEPECHE MODE
Dopo mezzora di un dj-set minimal techno curato da Martin Gore stesso, le luci si spengono e ha inizio il tanto aspettato nuovo show dei DEPECHE MODE. Welcome to My World è un grande brano con atmosfere kraftwerkiane, i DM tutti dietro ai loro synth come nelle loro migliori tradizioni, una batteria in secondo piano; il brano viene suonato e cantato bene e, pur essendo una ottima apertura per il disco nuovo, forse risulta un pochino fredda come intro per un concerto, se paragonata ai brani di apertura dei loro tour precedenti. Ma il palco e anche il pubblico inizia a scaldarsi con Angel, secondo pezzo sia del concerto che dell’album, gran finale con la voce di Gahan a dir poco perfetta ed una esecuzione globale superiore alla resa del brano in studio. Should Be Higher, terzo singolo dal nuovo album, brano scritto da Dave Gahan e accompagnato da un bellissimo video (forse il migliore di quest’anno a firma Anton Corbijn), mette i brividi addosso, energica e romantica allo stesso tempo con Gahan che prende tonalità insolite per il suo canto, ormai padrone del palco, del suo corpo e delle sue corde vocali. Segue una carrellata di hit quali Precious (da Playing the Angel del 2005), la poderosa e riuscitissima Barrel of a Gun (da Ultra del 1997) che è risultata essere la migliore versione mai ascoltata dal vivo, con una base musicale “fedelissima” all’originale e un Dave Gahan che ha deciso di cambiare totalmente la linea vocale delle strofe introducendo una sua nuova linea melodica. Walking in My Shoes (da Songs of Faith and Devotion del 1993), sebbene ridotta ormai alla versione “singolo”, ha funzionato parecchio, decisamente meglio della versione piatta del 2009, Policy of Truth, da Violator (la cui riuscita live è sempre stata scarsa dal 1993 in poi), ha il compito di accendere gli animi femminili, con le varie pose erotiche del frontman a scapito di una corretta esecuzione vocale: sarebbe stata preferibile l’alternativa World In My Eyes, eseguita solo due volte. Prima di tornare a Delta Machine i Depeche Mode ci regalano due hit dei bei tempi, l’oscura e sensuale Black Celebration (1986), eseguita in una versione più rallentata dell’originale, e Shake the Disease (1985), addirittura realizzata dai soli Gore (alla voce) e Peter Gordeno (al piano), perla dalla bellezza incommensurabile che, anche in una versione così spoglia, non ha perso di magia.
Da Delta Machine Martin Gore canta la intima The Child Inside, uno dei momenti più eleganti ed emozionanti dell’intero concerto, con un Gore pronto a regalarci con la sua voce tantissimi brividi. Dopo la parentesi dei due brani cantati e suonati da Gore e Gordeno (che accompagna la band dal vivo dal 1998), è la volta del singolone di successo Heaven, assai emozionante in versione live, con le voci di Gahan e Gore all’unisono per regalare brividi non provati durante l’ascolto del brano in studio, a riprova che spesso gli arrangiamenti in studio degli ultimi tempi son troppo “sbrigativi” e che un team di produzione più adeguato riporterebbe i DM ai fasti degli anni 80 e 90. Il video di Corbijn che accompagna il brano è decisamente più bello del videoclip di Tim Saccenti. Soothe My Soul, secondo singolo dal nuovo disco, è un pezzo riuscito a metà: ottima la voce e la parte elettronica, sempliciotto il ritornello che si ispira musicalmente a Personal Jesus senza riuscire ad uguagliarla degnamente. Poiché il singolo non sta riscuotendo il successo di vendite sperato (a detta di Gore in una intervista su Repubblica), è candidato ad una futura eliminazione, come accadde negli scorsi tour per i singoli Peace, John The Revelator o I Feel Loved. Secret to the End, altro brano scritto da Dave Gahan per il nuovo album, perde un po’ di grinta in sede live soprattutto a causa della difficoltà di ricreare gli intrecci vocali finali presenti nel disco: il pubblico è stato poco reattivo nei confronti del brano, candidato all’eliminazione nel tour invernale. Altro momento di calo della seconda metà del concerto è stata l’esecuzione live del remix di A Pain That I'm Used To (2005) curato all’epoca da Jacques Lu Cont, alias Stuart Price (già produttore di Madonna, Kyle Minogue e Pet Shop Boys), ma eseguita in maniera del tutto insipida dal vivo. Il trittico A Question of Time (1986), Enjoy the Silence (1990), Personal Jesus (1989), eseguite in chiave più rock rispetto alle originali, assicura una degna chiusura alla prima parte dello show. Come brano di saluto (prima del ritorno sul palco per i bis) viene suonata Goodbye da Delta Machine, che pur ricordando un po’ troppo Personal Jesus, non ha lo stesso fascino elettronico.
Il bis si apre con due tra i momenti più emozionanti dell’intero concerto: Somebody (ballad acustica cantata da Gore in “Some Great Reward” del 1984), graditissima sorpresa in quanto esclusa dalle scalette da ormai troppo tempo, ha regalato brividi a tantissimi della vecchia guardia ed Halo (nella versione di “Remixes ‘04” curata dai Goldfrapp) regala un grande momento di commozione, grazie all’interpretazione magistrale di Gahan, ai suoni “delicati” dei Goldfrapp (su cui il resto della band sovrappone parti suonate) e ad un bellissimo nuovo video di Corbijn. L’atmosfera lasciata da Halo viene totalmente “guastata” da un pezzo festaiolo come Just Can't Get Enough (1981) che però incendia lo stadio con il pubblico che canta all’unisono. Per mantenere il pathos alto dopo due brani come Somebody e Halo sarebbe stato preferibile passare direttamente ad I Feel You (1993), eseguita in versione12”, molto elettronica, scura, cantata bene e suonata senza troppe sbavature con un nuovo intro incredibilmente scuro e tecnologico. I bis del concerto si chiudono con l’immancabile Never Let Me Down Again, con tanto di pubblico in visibilio, anche se suonata più moscia ed accorciata rispetto alle versioni degli anni precedenti. La percezione è stata quella di aver assistito ad un grande concerto con una band tornata in grande forma, dopo due tour precedenti inficiati da malattie e problemi personali dei singoli membri. Tecnicamente un buon spettacolo senza strafare (non c’era di certo il palco di U2, Madonna o Muse), grandi luci e grandi video di Anton Corbijn (tranne un paio di episodi meno riusciti), un Gahan crooner carismatico e maturo (sicuro ormai delle sue capacità di singer, songwriter e frontman), un Gore sempre geniale e carismatico alle prese con decine di chitarre, synth e campionatori, un Fletcher sempre più goffo ed inutile (sembra quasi che il suo ruolo sia quello di “mascotte della band”, preso in giro durante il concerto sia dal pubblico che da Gahan stesso), un Christian Eigner sempre più inserito nel gruppo e sempre più dominante dietro la batteria. Il turnista Peter Gordeno fa il suo egregio lavoro dietro il basso e le tastiere, senza lasciare il segno. E’ stato un grande show con una scaletta un po’ scontata e non sempre lineare come unico neo.
Non è un caso che, negli anni, a sopravvivere nelle scalette dei tour siano prevalentemente i pezzi storici realizzati con Alan Wilder (anche con arrangiamenti stravolti), mentre molti brani più recenti vengano sostituiti o eliminati dalla scaletta.
C’è da dire che la maggior parte delle sorprese del tour italiano sono state portate in scaletta da mister Martin Gore:
– THE CHILD INSIDE / SLOW (ACOUSTIC) / HOME (ACOUSTIC)
– HIGHER LOVE / JUDAS (ACOUSTIC) / BLUE DRESS (ACOUSTIC)
– SOMEBODY / SHAKE THE DISEASE (ACOUSTIC) / BUT NOT TONIGHT (ACOUSTIC)
Dave Gahan si è limitato a sostituire Barrel Of A Gun con In Your Room (versione singolo) e Soothe My Soul con Behind The Wheel, poca roba….
L’articolo non fa una piega, totalmente d’accordo