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19 Dicembre 2017 , , ,

Algiers 13 Novembre 2017, Torino, Astoria


algiers_locL'unica data autunnale italiana del 2017 degli Algiers ha significato la ghiotta occasione per sincerarsi che il gruppo rappresenti qualcosa di concreto anche dal vivo, non solo in sala d’incisione. Non che nutrissimo dubbi, essendo le due prove pubblicate sinora dischi di spessore inconfutabile, tra i migliori nei rispettivi anni di uscita. L’Astoria è un locale torinese piuttosto piccolo, composto da un cocktail bar al piano strada e un sotterraneo (il Basement) che ospita concerti e dj set, il che ha favorito il raggiungimento di quota “sold out”, specie considerando quanto il gruppo sia “caldo” presso gli appassionati dopo il plauso pressoché unanime ottenuto dal recente “The Underside Of Power”. Il palco, alquanto ridotto, è spoglio: unica concessione scenografica, una bandiera recante il simbolo del Black Power, il classico pugno nero, e la scritta All Power To The People, a ribadire l’impegno politico che caratterizza la produzione di Fisher e soci. Grazie all’azzeramento della distanza tra i componenti della band e il loro pubblico (rare le teste canute, per una volta), i quattro hanno offerto una performance straordinaria, dimostrando di essere musicisti di primissimo livello, capaci di tenere il palco con assoluta autorevolezza grazie alle qualità istrioniche dei singoli componenti offrendo uno show completo, dinamico e ricco di intensità.

 

9a4caacaa1a7177707d6ae533859def3.1000x1000x1L’apertura, affidata a Cleveland, fa subito comprendere che non sarà una serata facile per i nostri poveri padiglioni auricolari: la rutilante batteria di Matt Tong, il basso pulsante di Mahan (impegnato anche alle tastiere e al supporto vocale), il grido altissimo di Fisher (nella foto sotto a sinistra), che si destreggia tra chitarra e tastiere, e la chitarra distorta di Tesche, fanno presagire che torneremo a sentire normalmente solo tra qualche giorno. Impressionante l’energia del bassista, un vero co-leader, non starà mai fermo: per tutta la durata del concerto continuerà a saltare, ballare, prodursi in movimenti ora marziali, ora inconsulti; è il perfetto alter ego del concentratissimo cantante, la cui fisicità viene espressa attraverso una gestualità più affine a un performer soul quale in effetti dimostra di essere. Nessuna concessione al dialogo, le canzoni parlano per loro e contengono già il messaggio che vogliono porgere: partono subito le staffilate introduttive algdi Animals, potentissima, prima dell’ipnotica Death March, un capolavoro di esecuzione che fa capitolare coloro che ancora non erano entrati in piena sintonia con l’atmosfera. Walk Like A Panther è esaltata da una performance vocale incredibile, cui segue il primo brano tratto dal disco del 2015, Irony.Utility.Pretext., canzone che viene ulteriormente impreziosita dal lavoro percussivo di Tong, all’epoca ancora impegnato con i Bloc Party. Stessa storia con la successiva Remains, salutata da applausi più convinti: il pubblico, stordito dal susseguirsi incalzante dei brani, ha finalmente modo di riprendersi con un brano meno frenetico.

 

Ma è questione di un attimo: Cry Of The Martyrs, con quell’andamento gospel-swing fa battere a tempo le mani di tutta (proprio tutta) l’audience, ormai soggiogata, preda del lontano scampanio che prelude a Old Girl, ancora tratta dall’esordio. E' la perfetta introduzione (anche se originariamente, sull’album, erano invertite) a un’intensissima Blood, con quell’incedere ipnotico da lamentoso blues rurale, uno di quelli che raccontavano la schiavitù nei campi di cotone o nella posa dei binari ferroviari: il suo humming corale sfuma nell’introduzione di Black Eunuch, che grazie alla presenza di una vera batteria assume accenti più marcatamente funky rispetto all’originale di due anni fa. A questo punto il perfetto concentrato di stili (dal jazz, al gospel, alla new wave, fino alla tracklistlatin lounge) che compone la lunga The Cycle/The Spiral: Time To Go Down Slowly risulta di rara efficacia per dare degna conclusione a una serata simile. 

 

Ma il pubblico non ci sta, il gruppo rientra dopo reiterati inviti: la tensione creata dai primi bis, affidati a una drammatica Hymn For An Average Man e un’accorata But She Was Not Flying, si stempera finalmente nell’irrefrenabile catarsi di The Underside Of Power, quella che tutti aspettavano, l’instant classic in odore di Motown che prima o poi si spera sfonderà a livello planetario. Ora possiamo tornare a casa soddisfatti. Non perdeteveli: il 14 febbraio 2018 saranno al Locomotiv di Bologna, siete avvisati.

 

Massimo Perolini

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