Paul McCartney EGYPT STATION
[Uscita: 7/09/2018]
Inghilterra #consigliatodadistorsioni
76 anni compiuti a giugno, 60 di carriera, la minima parte dei quali spesi all’interno della massima espressione musicale pop di ogni tempo (un quartetto di Liverpool, nel caso ve lo stiate chiedendo), ma dandovi il meglio, tanto da non riuscire a replicarne i fasti in proprio, nonostante pregevoli uscite sotto l’egida Wings (anche se il capitolo più riuscito, “Band On The Run”, era in realtà uno sforzo solitario, con l’autore impegnato a suonare praticamente tutte le parti) e in guisa di solista. Paul McCartney è un nome col quale bisogna fare i conti, se si parla di Musica, perché è l’essenza stessa di ciò che questa è diventata nel tempo: la parabola beatlesiana a gettare le fondamenta, gli anni ‘70 a inseguire lo smarrimento per la rottura del giocattolo e a confrontarsi con l’ex partner di scrittura, gli ‘80 passati quasi indenni, accettando l’ineluttabilità di essere rimasto privo di concorrenza diretta (avendo George Harrison giocato sempre in un campionato allo stesso livello, ma a parte) e giovandosi di essere colui che un certo “disimpegno estetico” l’aveva creato, ma chiudendoli con “Flowers In The Dirt”, primo di una serie di album spesso ispirati, fino alla grande rentrée che da “Chaos And Creation In The Backyard” ce l’ha fatto ritrovare in forma smagliante sia in studio che dal vivo, fino al notevole “NEW” del 2014, il tutto inframezzato dalle uscite a nome The Fireman, moniker che identifica il duo composto assieme a Flood (a.k.a. Martin Glover) e dedito a un’elettronica sperimentale ma senza scordare l’attitudine pop.
Cosa mancava, dunque, nel carnet di Sir Paul, se non una serena accettazione dell’inesorabile invecchiamento, tanto da rispondere “no, thanks” a Kanye West che si era offerto di produrlo? Il nuovo album "Egypt Station" è introdotto da I Don’t Know, ovvero quel tipo di ballata che ti fa pensare: “fottuto Macca, mi hai fregato anche stavolta”, seguita da Come On To Me, brano di stampo brit pop (tutto ritorna: chiusura di un cerchio?) che contiene un riff curiosamente simile a Sex & Drugs & Rock & Roll di Ian Dury. Sorprende la convinzione con la quale il Nostro affronta la nuova prova, a dimostrazione che si tratti di un’esigenza espressiva genuina, e colpisce la varietà dei generi affrontati: siparietti di stampo folk (Happy With You, vicina a certe cose di John Prine, Confidante), episodi mediocri (Fuh Ya, prodotta da Ryan Tedder, e si sente, mentre il resto del disco è prodotto da Greg Kurstin, già al lavoro con Beck e Adele). Poi classiche composizioni à la MaCartney: Who Cares, elettrica e svelta, People Want Peace, dal particolare arrangiamento percussivo e arricchita da un violoncello riecheggia un po’ Give Peace A Chance (sarà un omaggio?), la pianistica Hand In Hand, Dominoes che raccoglie in una sola canzone tutte le idee a suo tempo “rubate” da Jeff Lynne per costruire l’impero E.L.O., aggiungendovi un tocco psichedelico, ritmi sudamericani sfiorati da un tocco elettronico (Back In Brazil), (in)consapevoli omaggi al miglior Brian Wilson (Do It Now), parentesi energicamente psichedeliche (Caesar Rock), lunghe, e per certi versi sorprendenti, invettive anti trumpiane (Despite Repeated Warnings, davvero notevole, suddivisa in vari movimenti stile Live Ad Let Die), per chiudere con la mini-suite rockeggiante Hunt You Down/Naked/C-Link, degna conclusione di un album che ascolteremo a lungo e che ad ogni passaggio migliora. Grazie, Sir Paul.
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