Johnny Marr CALL THE COMET
[Uscita: 15/06/2018]
Inghilterra #consigliatodadistorsioni
Erano quattro anni che non avevamo notizie di Johnny Marr. Dopo la pubblicazione di “Playland” che porta data 2014, ad appena un anno dal precedente esordio solista “The Messenger”, il chitarrista e autore inglese si è preso il giusto tempo per uscire con “Call the Comet”, un lavoro ricco di spunti interessanti che molto ci dicono della sua nuova ispirazione, maturata in un mare magno di collaborazioni e ospitate in dischi di altri artisti (ultimo in ordine di tempo Noel Gallagher). “Call the Comet” fa registrare una netta separazione nei temi rispetto a quanto proposto all’ex compagno di viaggio negli Smiths, quel Morrissey con cui i rapporti sembrano irrimediabilmente incrinati da anni e che nella sua carriera solista si è impegnato a leggere il presente con i suoi occhi di provocatore, spesso estremista. Visionario, fluttuante, perennemente sospeso tra realtà e finzione, l’universo tracciato dal nuovo lavoro è pura immaginazione, disegno di un mondo come l’autore vorrebbe che fosse al cospetto di un’attualità fredda e violenta: in A Different Gun il chitarrista di Manchester mette magistralmente in musica riflessioni sui recenti attentati terroristici in Europa, compresa la sua città).
Altro elemento degno di nota: Marr sembrerebbe aver mitigato il chitarrismo eclettico e per molti versi virtuoso che si ascoltava nei riff nervosi degli Smiths (non mancano, però, riferimenti ai ruggenti anni ’80 in Day in Day Out, con arpeggioni e atmosfere tra new wave e britpop), in favore di armonie più calde e concilianti. Spicca in questo senso il singolo Hi Hello, una sognante ballad sperimentale che richiama il crepuscolo degli Smiths di “The Queen is Dead”.
Tredici tracce che snocciolano un filo conduttore comune, fatto di melodie accattivanti che si ergono su chitarre potenti e tappeti di tastiera avvolgenti (Rise, The Tracers, Bug, My Eternal) in cui qui e lì compaiono anche spiazzanti programmazioni elettroniche (New Dominions, tra gli episodi meno riusciti dell’intero disco) e ambientazioni esoteriche (Walk into the Sea). Fra i tre album del Marr solista questo è il più maturo, spazia tra suoni e temi diversi che riescono mirabilmente a convergere tra le mani di un musicista brillante e pieno di risorse, non solo come chitarrista ma anche come songwriter. Manca comunque quel guizzo in più che lo renderebbe un capolavoro assoluto dei nostri tempi. Manca la voce di Morrissey.
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