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29 Maggio 2012

MICHAEL GIRA 29 aprile 2012, Roma, Locanda Atlantide


michael gira livePur conoscendo ed avendo ampiamente illustrato la straniante storia degli Swans, le vicissitudini umorali di un personaggio controverso e dissociato come Michael Gira e le molteplici creature a cui ha dato vita, i tanti ruoli incarnati, l’esperienza di una sua esibizione live è quanto di più inaspettato e sconvolgente possa capitare. Un contatto ravvicinato con il suo mal d’esistere e con i risvolti contraddittori di un’anima sofferente e ipersensibile che, attraverso la sua musica, diventa trasparente e tangibile comunicatore di emozioni, arriverei a dire trasmettitore sano e viscerale di emozioni. Tutto questo con la dovuta amplificazione del fenomeno data dall’esibizione solista, completamente intimistica e con strumentazione acustica. Vive fuori dal suo sé Michael, il suo percorso di crescita, la sua raggiunta serenità, la fine del suo piglio rabbioso e ribelle, la sua attività imprenditoriale come fondatore della Young God Records, i suoi successi indiscussi come artista, il suo intuito di scopritore e la sua indole proiettata alla ricerca sono solo dei compromessi.

 

Quando imbraccia la sua chitarra ed entra dentro ad ogni singola, vibrante nota che si sprigiona, Michael rientra nel suo sé, nella sua più innegabile verità. La sua musica lo descrive perfettamente: sfaccettato, complesso, sofferente, pacato, intenso, contraddittorio, invasato, verace, istintivo, lugubre, nostalgico, contemplativo. La sua essenza fuoriesce con la sua musica, dal modo esclusivo e originale con cui tocca la sua chitarra, carezzandola, percuotendola, battendola o sfiorandola, usando energia, livore, ossessiva ripetitività, fragile delicatezza, incanto e smarrimento. Ci trascina con sé nelle sue spire di dolore e inquietudine, fierezza e combattività. Giù nei suoi abissi digira  incompiuto, dove la sua identità cerca spiragli di luce e affermazione tra bisogno di spiritualità ed elevazione e vulnerabile e volubile umanità. Ed allora si coglie lo stesso scintillio di eterna giovinezza nei suoi occhi, la stessa spontanea voglia di sfidare se stesso e il suo dio demiurgo rimettendosi in gioco e rilanciando, esplorando fino alle viscere i suoi fantasmi e le sue debolezze ma anche la propria grandezza interiore, il coraggio di far fuoriuscire positività e negatività per confrontarsi, per resistere e per sentirsi vivo.

 

Quando arrivo nei pressi della Locanda Atlantide con il mio solito ritardo cronico vedo solo un piccolissimo gruppetto di fumatori davanti alla porta, quasi mi tremano le gambe. Poi attraversando la strada scorgo il suo inconfondibile cappello da cow boy ed una pinta di birra appoggiata sopra il tettuccio di una Micra modello vecchio, anzi vecchissimo ... Vestito impeccabile in completo grigio sta parlando con il suo amico Kristof  Hahn, che con lui ha vissuto svariate vicissitudini negli Swans prima di dedicarsi ai suoi interessanti progetti solisti e al progetto Les Hommes Sauvages. Saranno mica venuti al concerto con la Micra? Beve e fuma il sigaro ed ha un'aria minacciosa mentre mi guarda per scoraggiarmi dall'avvicinarmi con la macchinetta fotografica. Sono costretta a ripensarci, del resto il suo proverbiale caratterino non è leggenda metropolitana. Mi avvicino per fare il biglietto, devo affrettarmi perchè stanno finendo. Ecco, perfetto, non solo si è rinunciato al bellissimo contesto della Chiesa Evangelica Metodista per problemi mai del tutto chiariti, ora bisogna pure prepararsi ad una sauna nell'angusto grottino, ho subito pensato. Il mio occhio continuava a seguire Michael che buttando uno sguardo all'orologio mi ha subito sorpassata con la sua lunga falcata.

 

gira liveDiamine è proprio diventato un vecchio ho pensato di nuovo, preciso e maniacale come un pensionato americano dei quartieri alti. Scendo nel buio della locanda un pò seccata, non lo nego, una foto poteva pure farsela con me, ma va bene mi rifarò durante il concerto. Come non detto: sotto al palco sono sistemate addirittura delle sedie, certo se non conoscete questo locale vi risulterà difficile capire. Autentiche sedie con lo schienale, panche e sgabelli rimediate alla rinfusa. Cartelli che spiegano la necessità assoluta di non fare riprese nè foto. Per una buona mezz'ora il chitarrista tedesco Hahn ci intrattiene con le sue prodezze sfoderando una serie di cover, l'atmosfera si scalda. Poi arriva lui: Gira. Toglie la giacca rivelando le classiche bretelle nere ed anche una lieve pancetta, sistema meticolosamente i sui oggetti su un tavolinetto e poi si rivolge a noi facendoci segno di avvicinarci. Tutti sotto al palco, quelli che stanno dietro in piedi li fa sedere davanti a noi, le sedie vuole che si tocchino, dobbiamo raccoglierci continua a ripetere. Sono contenta, il mio vicino ha bevuto sei birre, suda come un cavallo e non c'è un filo d'aria!

 

Poi non penso più: punto i miei occhi sulla sua vecchia Guild e sulle sue mani e sento le note di Jim. Inizialmente dolci e soavi poi più nervose mentre fuoriesce il suo classico lamento gutturale da animale ferito. Si sente il suo respiro, i suoi sospiri, le note si dilatano e la sua malinconica e profonda voce baritonale inizia a raccontare storie di alienazione e solitudine, emarginazione e smarrimento. Batte colpi sulla cassa armonica che sono un battito primordiale sospeso tra preghiera e rifiuto. Ci racconta di paradisi mancati, di cupe malinconie, di un Dio crudele e feroce Michael. Libera energia, libera se stesso e tutti insieme diventiamo koinonia e tensione. Blind, Eden Prison, Two woman, la meravigliosa Promise of Water. Il coinvolgimento è senza compromessi. Il suono è cerebrale, di quelli che vanno alle viscere, di quelli partoriti da un autentico sforzo fisico che gli imprime spessore sensoriale profondo e che per essere assorbito necessita di un altrettanto violento sforzo. Sono le gocce del suo sudore che si disperdono tra l'aria satura, sono paesaggi desolati e intensi. Sono ramificazioni di inconscio, grovigli di male esistenziale inaccettabile.

 

michael-giraMy brother's man, Oxygen, She live, My Birth, Song for a Warrior...immense, pantagrueliche, travolgenti, ridondanti, ferine e ferali: aggressioni laceranti e squassanti alle quali non si può rimanere indifferenti. God damn the sun è quasi l'apoteosi perfetta della sfida e della rivalsa, l'orrore e il malessere vengono messi a nudo, la resa diventa sublimazione della precarietà e della lotta impari. Ride Michael, saluta affettuosamente il suo pubblico e scambia battute, sembra soddisfatto come un bambino dopo averla fatta grossa, tira dietro le orecchie il suo ciuffo bagnato. Sfodera lezioni di vita come schiocchi di frusta e poi si sente meglio. Allora capisci veramente che quella chitarra è un'ancora di una zattera in deriva tra i flutti oscuri e schiumosi di un mare in tempesta. Che veramente non gli serve altro. Si salva sempre Michael, si riscatta e si redime e poi torna a delinquere, perchè, dopo tutto, la stasi dell'assoluzione lo annoia e, soprattutto, annoia il suo Dio.

 

Romina Baldoni
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