Motorpsycho 3 Giugno 2014, Ciampino (Roma), Orion
Motorpsycho sono ormai di casa in Italia, dove nonostante i cambi generazionali continuano a mantenere un numero elevato di fan. Sono trascorsi ormai vent’anni da quel memorabile concerto che i Motorpsycho tennero al CSO “Il Faro” a Roma nel 1994, nel quale Bent e Snah facevano intravvedere le direttrici di una psichedelia hardcore, che nel tempo sarebbe mutata di forma, attraversando il progressive, lo space rock, il pop, sino ad approdare ad un hard rock psichedelico d’ispirazione seventies.
Ogni concerto dei Motorpsycho è una storia a sé. Lo conferma la varietà di scalette ogni giorno diverse, che attingono sempre a piene mani agli album capolavoro degli anni ’90. Non c’è il pienone il 3 Giugno all’Orion di Ciampino, probabilmente per il concomitante concerto dei Queens of the Stone Age a pochi chilometri di distanza. Ed è davvero un peccato perché i Motorpsycho stanno attraversando uno straordinario periodo di forma e perché il venticinquesimo anno di attività crea le condizioni per sorprese inaspettate. Come l’inizio del concerto completamente acustico, che con Coventry Boy ("Trust us"), Now It's Time To Skate ("Timothy’s monster"), Feel ("Timothy’s monster") e All Is Loneliness ("Demon Box") mostra ancora una volta il grande eclettismo e la vocazione al pop della band norvegese.
Il tempo di sostituire gli strumenti acustici ed il sound della band si trasforma in un trasbordante jamming. La suite Hell 1-7 e successivamente No Evil, Cloudwalker e On A Plate si susseguono come un ideale album che raccoglie in meglio dell’ hard rock psichedelico degli anni duemila. Ad interrompere le digressioni heavy-prog arriva For Free estratto da quel “Phanerothyme” che, almeno nelle intenzioni degli autori, avrebbe dovuto realizzare la svolta psych-pop della band scandinava. La presenza della seconda chitarra dello svedese Reine Fiske consente ai Motorpsycho di raggiungere un livello di maturità live davvero impressionante, aggiungendo ulteriore tecnica alla potenza metronomica di Kenneth Kapstad e alla forza creativa di Bent e Snah.
Che sia sempre la psichedelia la chiave di lettura del loro sound lo si capisce anche dalla bellissima Psychonaut, intonata nella parte conclusiva del concerto, che costituisce il manifesto definitivo delle navigazioni oscure delle band legate a doppio filo a quei viaggi allucinati del primo “Lobotomizer”. C’è anche il tempo per recuperare la suggestiva Upstairs/Downstairs apparsa in “Let Them Eat Cake” ed inabissarsi nella devastante versione di Nothing To Say ("Demon Box") mescolata al gigantismo di Mountain. Pochi minuti di pausa e Bent & Snah risalgono sul palco per intonare Fools Gold (“Blissard”) in versione psych-prog, con cui chiudono la serata. Nulla da dire. I Motorpsycho continuano ad essere una delle più grandi band in circolazione.
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