Salvia Plath THE BARDO STORY
[Uscita: 9/07/2013]
Abbandonato perché già in possesso di un’altra band il moniker Run Dmt, il musicista, artista e film maker di Baltimora Michael Collins ne ha adottato uno nuovo, Salvia Plath, evidentemente ispirato alla scrittrice e poetessa Sylvia Plath morta suicida nel 1963, ma soprattutto il riferimento è alla salvia divinorum, nota per le sue proprietà psicotrope e alla quale è dedicato il brano House Of Leaves. Del resto Collins ama molto i giochi di parole, un suo album precedente non a caso si intitolava “Bong Voyage”. Perché Collins, i cui genitori hanno un passato hippy, ha un evidente interesse per il mondo delle droghe e l’esperienza psichedelica: «Io sono decisamente interessato alle esperienze psichedeliche di espansione della mente con o senza uso di sostanze…Le persone interessate alla psichedelia sono generalmente interessate anche alla filosofia e alla natura».
Per “The Bardo Story”, come già in passato, Salvia Plath ha suonato molteplici strumenti aiutato da un gruppetto di collaboratori: chitarra acustica, flauto, batteria e percussioni varie, tastiere e qualche chitarra elettrica qui e là costituiscono la strumentazione. L’approccio alla musica è spontaneista, ricorda quello dei vari gruppi che negli anni sessanta nascevano dalle comuni hippies in cui spesso prevaleva la voglia di comunicare, di fare musica sulla preoccupazione squisitamente tecnica. Anche se rispetto agli esordi Collins dimostra di essere migliorato come strumentista e nella scrittura - «voglio dimostrare a me stesso che posso fare musica suonando qualsiasi strumento» - l’aspetto lo-fi rimane centrale.
Il disco è composto da tredici piccoli quadri, solo due brani superano i tre minuti, attraverso cui rappresentare il proprio amore per il pop psichedelico dei sixties e raffigurare i vari momenti del viaggio psichedelico di Collins e compagni. Ballate acustiche oblique e bizzarre che stanno tra i Beatles di Magical Mystery Tour, Beach Boys e band come i Byrds (Salvia Plath, House Of Leaves) si alternano a brevi raga psichedelici fatti di drone di chitarra e suoni orientaleggianti (Interlude, Carly’s Theme col suo canto stonatissimo), al canto ipnotico e ieratico di Bardo States con i suoi drones velvettiani, o a quello hippy con tanto i campanelli e cori da comune bucolica di American Life, o gli estremi languori psicotropi dei drone di Ponderino o la suadente Hidden Track, i Beatles di I’m Only Sleeping ("Revolver") rallentati e strafatti di joint in pieno trip lisergico verso mondi fantastici e lontani. Se avete apprezzato Jonathan Wilson, gli Smoking Trees o i Midlake, questo disco non vi deluderà.
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