Jay-Jay Johanson OPIUM
[Uscita: 16/06/2015]
Svezia #consigliatodadistorsioni
Che classe Jay-Jay Johanson. Lo immaginiamo in un locale buio degli anni ’50, sigaretta in bocca e bicchiere di whiskey mentre, come Chet Baker, fa innamorare uomini e donne della sua malinconia. La sua musica però non è ferma agli anni del cool jazz, anzi, copre innumerevoli stili pur non tradendo l’immaginario del crooner. Nell’iniziale Drowsy/Too young to say god night duetta con un’armonica a bocca, prima che entrino i ritmi tipicamente trip hop di basso e batteria, e il piano ricco di echi, e canta di amori finiti, immaginazione, bicchieri rotti e modern jazz. La successiva Moonshine ha un afflato più rock, con una batteria molto pestata e le tastiere con un suono distorto, quasi chitarristico, ma è un capitolo isolato per Jay Jay, l’uomo è da ballata, specie se triste. Infatti col brano seguente, I love him so, si torna al più tipico stile Johanson, brani lenti, dai ritmi elettronici, con un immaginario sonoro che mescola la lounge music con le ritmiche tipiche degli ultimi anni dello scorso millennio. Ecco, se c’è un rimprovero che possiamo fare al buon Johanson è quello di essersi fermato lì, la musica che fa oggi non è diversa da quella del primo CD “Whiskey” (tutti i suoi dieci dischi, tranne uno, hanno un titolo composto da una sola parola).
Ma poi, ripensando alle carriere di altri musicisti, ricordiamo quanti fanno le stesse cose, ma bene, da trenta o quarant’anni e quanti dal cambiamento hanno avuto effetti disastrosi o solo il mascheramento di un crollo creativo. Questo disco non è un capolavoro, ma è comunque valido, con buone canzoni, e gli si può perdonare persino l’orribile vocoder di NDE, peraltro uno dei brani più riusciti. Belle anche la jazzata I can count on you, e Alone too long, dal ritmo in levare e il basso evidenziato in stile dub, mentre le tastiere si avvolgono in volute da colonna sonora di film noir e Be yourself, la canzone più pop dell’album. Hara-kiri è invece un breve strumentale, gradevole ma non decisivo, stupisce la scelta, per un musicista che ha nella voce e nell’espressività i punti di forza, di inserire nei propri dischi brani dove ne fa a meno, ma la mente dell’artista, si sa, è insondabile. La delicata Celebrate the wonder rimette le cose a posto chiudendo in bellezza, è il caso di dirlo, il disco. Nuovo centro quindi per Jay-Jay Johanson, l’ennesimo musicista che ha perso il treno per il successo, ma sa come colpire l’ascoltatore.
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