Mark Lanegan IMITATIONS
[Uscita: 17/09/2013]
Uno dei commenti più banali ma spontanei ascoltati in giro alla notizia che il nuovo lavoro dell'eternamente ombroso Mark Lanegan sarebbe stato tutto costituito solo da covers, dodici per la precisione, è stato: "Forse la sua vena di songwriter si sta esaurendo!". Non sappiamo se è così, certo "Imitations" è titolo che può parer sarcastico ed autolesionista, ma interpretabile anche come pregno di sincera ammirazione per le songs e gli autori qui ripescati e rivisitati. Non è la prima volta che Lanegan si concede una vacanza dalla composizione di suo pugno: illustre precedente è "I'll Take Care Of You" (1999, Sub Pop), inciso tra "Scraps At Midnight" (1998) e "Field Songs" (2001), un'epopea all'insegna dell' Americana, nella quale apparivano tributi ad outsiders sfortunati e maudit quali Jeffrey Lee Pierce, Tim Hardin, Fred Neil, Tim Rose. Al contrario dei suddetti maldicenti noi propendiamo, al ripetersi di un'operazione di tal tipo da parte dell'ex Screaming Trees, a pensare che ci sia del metodo lucido ed in buona fede da parte sua, piuttosto che un tentativo maldestro di marketing.
"Imitations" arriva in questo 2013 a soli cinque mesi di distanza da un altro ottimo lavoro in studio, "Black Pudding", composto a quattro mani col chitarrista-polistrumentista Duke Garwood, confermando lo spirito stakanovista che anima l'artista di Ellensburg (WA) in questi ultimi tempi, e la sua volontà di esplorare ancora e sino in fondo le sue qualità di crooner dai timbri vocali profondi e e carismatici: su di essi si fonda tutto il fascino del nuovo lavoro. Rispetto al precedente cover-album qui Mark estende l'arco temporale e geografico nel quale attinge, spingendosi oltre il binario preferenziale dell'Americana, scandagliando la tradizione della pop song e della canzone d'autore moderna internazionale. In un paio di episodi 'francesi' (Élégie funèbre, Autumn Leaves) pare quasi volersi allineare al lavoro fatto da Iggy Pop nel suo ultimo, disprezzato dai più, "Apres", un tributo ad una delle tradizioni d'autore europee più classicamente pure ed incontaminate. Purtroppo si calca la mano e si enfatizzano gli arrangiamenti, soprattutto degli archi (She's Gone, Autumn Leaves, Lonely Street, Solitaire, queste tre ultime riprese dal repertorio '50 e '70 del crooner americano Andy Willliams) ed il risultato appare barocco e pretenzioso, nonostante le performances vocali di Lanegan.
Anche l'essenziale trattamento country della mitteleuropea conosciutissima Mack The knife (Kurt Weill/Bertolt Brecht) non convince. Al contrario, quando Mark si accosta a suoi contemporanei come Chelsea Wolfe (Flatlands), Nick Cave (Brompton Oratory), Greg Dulli (Deepest Shade, dal repertorio dei suoi Twilight Singers), gli esiti sono molto più convincenti ed il pathos è a mille, da attribuirsi senza dubbio alla sensibilità introversa ed oscura che ha in comune con questi songwriters. Ottima anche la rendition di I'm Not the Loving Kind, une delle pop songs più romantiche di John Cale: pur se (ancora una volta) barocca avvince ed intriga, una tra le cose migliori di Imitations. Ha dichiarato Mark Lanegan: "Ho sempre sognato reinterpretare un brano di John Cale, uno degli autori che più amo, ma ho avuto sempre paura di farlo. Questa volta mi sono buttato ...". Stupendo infine il trattamento au contraire di due chitarre acustiche riservato all'orchestrale (nella versione originale del 1967, cantata da Nancy Sinatra) You Only Live Twice, del grande John Barry, dalla soundtrack dell'omonimo film dell'agente speciale 007 James Bond. Se l'intento di Lanegan con questo nuovo lavoro era un passo in più nella definizione di un personale classicismo 'crooner' ci è riuscito solo a metà: a nostro parere nelle prossime mosse dovrebbe lavorare di sottrazione, soprattutto, liberandosi delle tentazioni e delle soluzioni più pompose, perchè decisamente non giovano al suo pathos.
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