Bl'ast! BLOOD
[Uscita: 2/09/2013]
Prima di entrare nello specifico di “Blood”, attesissimo ritorno dei Bl'ast!, è doveroso fare una premessa. Nato a Santa Cruz nel 1982 attorno alle figure di Clifford Dinsmore (voce) e Kip DuVall (chitarra, oggi vocalist nei riformati Alice in Chains), il gruppo californiano ha rappresentato quello scrigno inviolabile che ogni appassionato di punk e hardcore tiene per sé. Chiamati in origine M.A.D., il loro primo disco, “The Power of Expression”, esce nel 1985 via Green World Records. Ad adocchiarli c’è subito la SST, il che la dice lunga sul tipo di approccio e sulla caratura della band. La storica etichetta di Long Beach li mette sotto contratto e fa uscire “It’s In My Blood” (1987) e “Take the Manic Ride” (1989), album che un’intera generazione di appassionati (Dave Grohl in testa, per citare il più famoso) ricorderanno bene nel tempo a venire. Sono gli anni dello skate punk, del Santa Cruz Skateboard, in cui la velocità su tavola si sposa al sound ispido, libertario e selvaggio dei vari Black Flag, Scream, Adolescents, Gang Green, Void, D.R.I. I Bl'ast! percorrono con personalità e passione questa strada, che si interrompe quando Dinsmore molla per formare gli Spaceboy. Gli altri continuano fino al 1990, cessando l’attività con il moniker storico per diventare Blackout prima e LAB poi. La stessa vicenda dei LAB diventa un caso, perché i Fu Manchu, nella persona di Brant Bjork, si innamorano del progetto e portano i LAB in tour in giro per la West Coast. Spietato ed inevitabile arriva lo scioglimento, che dura fino al 2001 quando i Bl'ast! originali si riuniscono e si esibiscono sporadicamente dal vivo, fino al 2013 e all’avvento di “Blood”.
Una coltre di oblio sembrava essersi abbattuta sui quattro. Persino Steven Blush, teorico del punk a stelle e strisce, non aveva menzionato i Bl'ast! nella sua opera omnia “American Hardcore”. La “rinascita” avviene oggi grazie all’interessamento di un altro fan, Greg Anderson (Sunn O))), Goatsnake), che con la sua Southern Lord decide di far riemergere dalle tenebre del passato queste dieci tracce, nastri risalenti al periodo di “It’s In My Blood” e mixati per l’occasione dal suddetto Grohl al suo Sound City. «Tutti avevano un adesivo dei Bl'ast! sul fondo del fottuto skate», ha dichiarato l’ex batterista dei Nirvana. E c’è da credergli ascoltando bordate al fulmicotone come Ssshhh e Poison, hardcore americano al massimo della sua forma. Ciò che colpisce è proprio il lavoro di rifinitura svolto dal buon Dave: a vent’anni di distanza, brani quali Only Time Will Tell e Tomorrow acquisiscono una rinnovata cattiveria, che la produzione potente e cristallina rilancia in tutte le sue sfumature. Se Chuck Dukowski era sempre presente ai loro show, ci sarà stato un motivo. Il sound è sì quello partorito dai Black Flag di “Damaged”, tuttavia arricchito in tanti momenti (basta ascoltare Your Eyes e Sequel) da spunti di notevole tecnica, che rendono la composizione labirintica, devastante, dannatamente heavy. Il giro di basso, i riff di chitarra e la linea di voce di It’s in My Blood sono un vulcanico marchio di fabbrica, come le schegge Sometimes e Winding Down che si conficcano brutali nel corpo di chi le assapora. È chiaro quanto “Blood” sia un’operazione da appassionati, per certi versi anacronistica. Tuttavia l’ascolto di questo disco è consigliato non soltanto a chi abbia voglia di filologia musicale. È un punto di passaggio fondamentale per capire dove siano stati piantati i semi che vent’anni dopo hanno generato Converge, Botch, All Pigs Must Die e compagnia.
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