Paul Roland Bates Motel
[Uscita: 12 /03/2013]
Riemerso dalle brume di cui ne è circonfuso il culto, il bardo Paul Roland, classe 1959, lo fa con l’enfasi didascalica di una raccolta di brani che in origine fu proposta a mo’ di piattaforma collaborativa nientemeno che a Nico, Sterling Morrison e Maureen Tucker nel lontano 1985. Neanche a dirlo, la joint venture Roland/Velvet Underground, nonostante l’entusiasmo dei secondi, non andò in porto per impedimenti, a dire dell’autore, di mera natura tecnologica. Dette circostanze, ancorchè credibili, riteniamo possano avere avuto il merito di riconsegnarci la fragranza compositiva di un Roland d’antan, qui colto in pieno entusiasmo ed ispirazione. Egli, solo oggi, rivitalizza e propone quelle tracce contraddistinte da un piglio ed una varietà di temi non sempre riscontrabili nelle recenti produzioni. Sempre visionario e vicino ad un psycho-pop gotico fatto di suggestioni soprannaturali e di estetica vittoriana, Paul Roland (oltre ad un ottima band), scuote da subito con uno spedito r’n’r (I Was A Teenage Zombie), formula che ripeterà in modo convincente in altri, sparsi episodi di variegata sostanza rock (quali How I Escaped From Devil’s Island; Tortured By The Daughter Of Fu Manchu; Promised Land; Crazy), fatto, questo, che imprime all’intera raccolta una sorta di robustezza dinamica, senza tuttavia pregiudicare la riuscita dell’autore che ben conosciamo, raffinato sviluppatore di immagini e delicate atmosfere, come estratte da preziosi dagherrotipi dell’800.
E infatti l’album non disdegna classiche ballate: tra queste alcune si aprono a dimensioni di cupezza narrativa (Kali) , ma anche ad esaltanti cavalcate acustiche (Katmandu), episodi da segnalare, in particolare, per la ricercatezza di voluttuosi arrangiamenti orientaleggianti. La scrittura di Paul Roland è sempre e comunque lineare, mai sporcata da inutili rumorismi e la sua vocalità, appena appoggiata, si rinnova con suadente misura. Come quando nella title-track, Bates Motel, ci racconta di essersi fermato nel famigerato ostello (Psycho), astenendosi evidentemente dal praticare perigliose docce, ma col sussiego di chi illustra un orrore quotidiano, capitabile a chiunque. Mentre evidenti, quanto riuscite, risultano in tale brano certe assonanze con l’immortale Child in Time (Deep Purple, "In Rock", 1970). Musicista, scrittore, giornalista, Paul Roland dopo una prova così riuscita rientra tra le nebbie misteriche di cui è estimatore, convincendoci a raggiungerlo anche per il prossimo capitolo della propria personale saga.
Commenti →