Prime impressioni sui verdetti 71^ Mostra del Cinema di Venezia 2014
Verdetto senza sorprese alla settantunesima Mostra del Cinema di Venezia. La giuria capitanata, fatto inedito, dal compositore di colonne sonore Alexandre Desplat (per chi scrive il migliore dell’attuale generazione) ha premiato quei film che sin dal loro apparire avevano raccolto consensi. Leone d’Oro al film di Roy Andersson dal titolo che tradotto significa “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza”. Svedese, nato nel 1943, attivo dal 1967, autore soprattutto di corti, Andersson è sconosciuto in Italia se non dai frequentatori di festival. Speriamo che questo film, una commedia surreale e ispirata dalla pittura di Hopper, dallo stile di regia molto personale, che chiude una trilogia sul senso della vita, lo riveli a quella parte del pubblico che a un film non chiede solo esplosioni o scandali a buon mercato. Un altro film in pole position fin dai primi giorni era “The look of silence” di Joshua Oppenheimer.
Era improbabile che per due anni di seguito vincesse un documentario, quindi il quarantenne texano prende il Gran Premio della Giuria con la seconda parte della sua ricostruzione dei massacri avvenuti in Indonesia sotto il regime fascista di Suharto, evento storico praticamente dimenticato, raccontati dal punto di vista delle vittime (nel precedente “The act of killing” parlavano i carnefici, che mettevano in scena gli omicidi con stile bollywoodiano). Miglior regia ad Andrej Konchalovskij per “Le notti bianche del postino”. Regista noto soprattutto per “A 30 secondi dalla fine”, action da un soggetto di Kurosawa, il più censurato dal regime sovietico, ancora più del suo amico Tarkovskij, dopo un lungo esilio occidentale torna in patria con un film che dalle immagini viste appare visivamente magnifico, in molti avrebbero scommesso sul primo premio. “Hungry hearts” di Saverio Costanzo - regista che finora non ci ha convinto fino in fondo, ma con questo film ci incuriosisce molto - vede premiati i due interpreti, l’emergente Adam Driver e Alba Rohrwacher, attrice dalle capacità trasformiste degne di un De Niro. Nessun premio per “Il giovane favoloso” e “Anime nere”, che però hanno avuto grande consenso di pubblico e critica, cosa rara per Venezia dove spesso i film italiani sono fischiati a seconda di chi li produce. Premio Mastroianni per il miglior attore debuttante a Romain Paul per il film “Le Dernier Coup de Marteau” di Alix Delaporte, regista di cui invitiamo a riscoprire il primo “Angele e Tony”, passato quasi inosservato.
Premiati anche l’iraniano “Tales” di Rakhsan Bani Etemad per la sceneggiatura e il turco “Sivas”, debutto per Kaan Müjdeci, mentre delude l’altro turco Fatih Akin. Nella sezione Orizzonti, dedicata a opere più sperimentali, premiati il film indiano “Court”, che parla di un caso di malagiustizia, e “Belluscone”, di Franco Maresco, tra i i film più applauditi. Rimane a bocca asciutta uno dei favoriti, “Birdman” di Alejandro Iňàrritu, regista che non amiamo, che aveva colpito per la straordinaria tecnica registica (viene in mente come l’anno scorso aveva colpito per la tecnica innovativa “Gravity”, uno dei film più brutti nella storia). Non convincono il “Pasolini” di Abel Ferrara, vittima di miscasting, buona prova di Willem Dafoe a parte; Andrew Nicol, che ci aveva fatto innamorare coi primi film e poi si è perso, e gli americani in genere; piacciono i film orientali escluso Kim Ki Duk, che fece film meravigliosi e ora è perso in un delirio psicotico. Ignorato dalla giuria Shin’ya Tsukamoto (l’autore dello stracult assoluto “Tetsuo”) che pure è stato apprezzato dalla critica.
Premi alla carriera per Frederick Wiseman, grande documentarista, onestamente non consigliabile ai non addetti ai lavori, e a Thelma Schoonmaker, storica montatrice di Scorsese. La pletora di premi minori fa sì che quasi ogni film esca premiato dal festival: ci piace ricordare il premio Brian, assegnato dall’UAAR (Unione atei agnostici razionalisti) a “Mita tova” (“The farewell party”) di Tal Granit e Sharon Maymon, passato alle Giornate degli Autori. Nessuno scandalo, nemmeno da parte dei cattivi di professione Ulrich Seidl e Lars Von Trier, poca violenza e molta Storia. E adesso non resta che sperare che questi film abbiano distribuzione regolare nelle poche sale rimaste.
I giudizi su Inarritu e Gravity sono davvero discutibili, ma per carità, sono solo opinioni personali.
Quello che mi chiedo è se il signor Sgarlato sia effettivamente stato al festival di Venezia, perchè dal tono dell’articolo si lascia intendere ciò ma dal contenuto sembra invece tutto il contrario.
i giudizi sono personali, ci mancherebbe, e si può non essere d’accordo! non ero personalmente a Venezia, pensavo che dal contenuto dell’articolo fosse chiaro, se non lo è mi scuso.
Quando si legge che un film è deludente, poco convincente o bellissimo si presuppone che chi scrive sappia di cosa parla.
In caso contrario c’è da chiedersi da dove venga tale giudizio, quale sia la fonte di queste informazioni e perchè non sia stata riportata. E’ stata fatta una media su un tot di recensioni lette qua e là o si è chiesto ad un amico presente?
L’idea (errata) che lei fosse presente al festival si lascia intendere già dal titolo dell’articolo: come si fa ad avere un’impressione sul verdetto se non si è visto neanche mezzo film in concorso?
Perchè non riportare in maniera più onesta solo l’elenco dei premi e rimandare opinioni o eventuali recensioni ad un secondo momento, magari dopo aver effettivamente visto le pellicole?
poiché mi sono chieste le fonti le riporto, pensavo fosse un elenco noioso: Hollywood party, rai radio3; speciale venezia di rai3, raimovie, iris; film tv; my movies, cine blog; il fatto quotidiano; ciak; in particolare commenti di Steve della Casa, Alberto Crespi, Tatti Sangiuneti, Piera de Tassis, Enrico Magrelli, Federico Pontiggia, Valerio Caprara. ciò detto terremo conto dei suoi giudizi e la nostra redazione deciderà se fare o meno altri articoli di questo tipo.
p.s. mi piacerebbe sapere cosa le è piaciuto di “Gravity” o “Biutiful”, giusto per il gusto del confronto
Per quanto noioso era secondo me doveroso specificare più chiaramente la sua posizione e riportare l’elenco delle fonti, visto che lei firma un articolo che riporta opinioni non sue.
Per rispondere poi alle sue richieste, trovo che Gravity sia un film mirabile, oltre per la tecnica registica, gli effetti speciali e l’ottima prova recitativa della Bullock, anche per essere un importante punto d’incontro tra cinema d’autore e blockbuster milionario, come il cinema di Spielberg e dei registi della nuova Hollywood a suo tempo fu punto di contatto tra i b-movie alla Corman e i classici Hollywoodiani. E’ senza dubbio un film imperfetto, ma per me molto lontano dall’essere brutto.
Invece Biutiful è l’unico film di Inarritu che non ho visto. Lo recupererò appena possibile ma le consiglio vivamente i primi tre lungometraggi del regista messicano: Amores Perros, 21 grammi e Babel.
Tre film che raccontano diverse storie, ambientate in diversi punti del mondo, apparentemente slegate tra loro, ma che in realtà hanno come punto in comune il caso: la vita è un susseguirsi di casualità e in quanto tale può essere estremamente crudele o generosa, senza il minimo criterio. Inarritu destruttura le storie e le rimonta a suo piacimento, in un intreccio complesso e ben costruito, che gioca a confondere lo spettatore per poi svelarsi improvvisamente colpendolo dritto allo stomaco.
Inarritu ha secondo me una forza nel raccontare il dolore e la disperazione che pochi registi contemporanei hanno. Forse in Biutiful questo ardore si sarà perso, ma resterebbe comunque un passo falso di fronte a tre film enormi.
ho visto 21 grammi e Babel e il mio giudizio è opposto al suo. ho trovato il primo discreto, il secondo noioso, con un meccanismo narrativo pretenzioso e meccanico e tutto sommato ingenuo. ma la vita è così, le opinioni sono opposte. può essere che Biutiful, un film veramente confuso e sconclusionato con personaggi non credibili, le faccia cambiare idea, come che vi trovi una poesia che io nell’opera di Inarritu non trovo. Gravity ammetto l’ho visto in dvd e forse così mi sono perso le meraviglie del 3d. visto senza 3d ho fatto veramente fatica ad arrivare alla fine. se poi aggiungo che Sandra BUllock non mi piace per niente sotto nessun punto di vista il gioco è fatto.
Rispetto assolutamente in suo giudizio, ma sono certa che se avesse visto in sala e in 3d anche solo il piano sequenza iniziale di Gravity la sua opinione non sarebbe la stessa :D