69. Mostra del Cinema di Venezia: Pietà Kim Ki-duk
"Pietà” di Kim Ki-duk è il vincitore del Leone d'Oro per il miglior film alla 69. Mostra del cinema di Venezia che si è conclusa pochi giorni fa. La statuetta non arriva a sorpresa per questa nuova opera di Kim Ki-duk, considerato uno dei maggiori registi contemporanei, ma controverso e spesso censurato per i temi che tratta nelle sue opere. Il suo film era infatti tra i candidati principali nel toto-leone d'oro che ogni anno si apre alla vigilia della premiazione, quando tutti i film sono stati visti dalla critica e dal pubblico. Un pronostico che ovviamente si modifica man mano che i film vengono proiettati e che ha visto escludere (dal pronostico come dai premi) alcuni favoriti del pre-festival come Brian De Palma, in concorso con il film “Passion”, e Terence Malick, con “To the Wonder”. Insieme a “Pietà” gli altri candidati della vigilia erano “The Master” di Paul Thomas Anderson, vincitore in effetti del Leone d'Argento per la migliore regia e della Coppa Volpi assegnata ai suoi protagonisti, e “Après Mai” del francese Olivier Assayas, che si è aggiudicato il premio per la migliore sceneggiatura, con la sua bella ambientazione negli anni ’70 e nelle vicende del post-Sessantotto del giovane protagonista (e con una colonna sonora degna di nota, comprendente brani di Syd Barrett, Soft Machine, Incredible String Band, Booker T. & the MG's, Nick Drake e altri).
Poche soddisfazioni per gli italiani, nonostante almeno un paio di film presentati alla Mostra abbiano avuto un ottimo riscontro di critica e di pubblico, nel caso di “E’ stato il figlio” di Daniele Ciprì e di “Bella addormentata” di Marco Bellocchio, che comunque hanno visto arrivare il premio Mastroianni per il giovane attore emergente, protagonista di entrambi, a Fabrizio Falco, e il film di Ciprì anche il premio per il miglior contributo tecnico. Aveva lasciato perplessi invece la proiezione in sala del pur atteso film di Francesca Comencini, “Un giorno speciale”. In ogni caso, i pronostici lasciano il tempo che trovano e il Leone d’Oro a “Pietà”, per una volta, ha messo d’accordo critica e pubblico. Personalmente non ho visto tutti i film proiettati durante mostra ma solo alcuni, però ho visto “Pietà” e posso senz’altro affermare che il film di Kim Ki-duk la vittoria la meritava tutta. Come accade spesso nei suoi film, in “Pietà” prevale un senso di disagio che accompagna lo spettatore durante tutta la visione, nonostante qualche intermezzo di drammatica ironia, uno spettatore che viene posto di fronte agli aspetti più brutali della natura umana. E Kim Ki-duk, come d’abitudine, non risparmia certo di mostrarne senza veli i risvolti più crudi, che emergono quando l’uomo è privato di un contesto di legami familiari e sociali.
La storia è basata sul personaggio di Kang-do (interpretato da Lee Jung-jin), giovane senza scrupoli dedito a riscuotere crediti per conto di un usuraio. Sulla sua strada incontra una serie di personaggi disagiati, lavoratori che vivono in condizioni di estrema difficoltà e sono costretti a chiedere prestiti per affrontare le cure mediche o anche solo per poter mantenere la famiglia. Non siamo quindi ai margini della società, siamo all’interno della società, nel mondo del lavoro, ed è probabilmente questo che risulta maggiormente scioccante alla visione del film. Una società i cui valori e le cui relazioni sono messi in gioco e sovvertite dal potere del denaro. Il denaro è uno dei temi dominanti del film, insieme a sentimenti forti come la vendetta e, ovviamente, la pietà. D’altronde lo ripetono frequentemente i personaggi del film: “cosa sono la vita, la morte, il denaro?”. Il denaro assume un’importanza sproporzionata, affiancato alla vita e alla morte, e di gran lunga superiore a quella che viene attribuita all’essere umano. Accanto al denaro, l’altro tema dominante è la famiglia, che è stato peraltro uno dei temi molto presenti nei film selezionati alla 69. Mostra del cinema.
Dunque il discorso che fa Kim Ki-duk è un discorso generale che abbraccia tutte le culture e tutte le nazioni. “Pietà” si svolge in Corea del Sud, terra natale del regista, ma potrebbe essere ambientato in qualsiasi altro paese. Lo dimostra l’affinità, per certi versi, tra le situazioni trattate in Pietà e quelle narrate da Daniele Ciprì nel bel film “E’ stato il figlio”. Per Ciprì l’ambientazione è la Sicilia, ma anche in quest’opera le dinamiche familiari, descritte inizialmente con i toni grotteschi tipici del suo stile, variano improvvisamente con la morte accidentale della figlia in un agguato mafioso e con la notizia ricevuta dal capofamiglia (interpretato dal bravissimo Toni Servillo) della possibilità per i familiari dei morti di mafia di avere un indennizzo dallo stato. Si vedrà come il denaro, anche in questo caso, trasforma i legami familiari e il film, proprio come quello di Kim Ki-duk, lascia nello spettatore un senso di disagio e, nel finale, l’amaro in bocca per la drammatica cinicità generata dal bisogno.
Ma tornando a “Pietà”, come si diceva Kang-do semina morte e sofferenza con fredda crudeltà tra i debitori dello strozzino, raccogliendo maledizioni e promesse di vendetta, fino a quando un giorno compare alla sua porta una donna (interpretata dalla brava Min-soo Cho) che dice di essere sua madre e di averlo abbandonato da piccolo, assumendosi per questo tutte le colpe dei comportamenti deviati del figlio. Una volta scoperto questo legame familiare, per lui del tutto nuovo, il comportamento di Kang-do cambia e il giovane si avvia verso la redenzione, inconsapevole della vendetta che sta per raggiungerlo in modo inatteso, senza alcuna violenza fisica, ma con una spietatezza (pur venata da pietà) che riguarda proprio i legami che l’hanno cambiato. E’ una denuncia forte quella di Kim Ki-duk, che ci mostra le estreme conseguenze di una società, la nostra, dominata dal denaro: ma il suo messaggio non è privo di un seme di speranza poiché alla fine i sentimenti sono, ancora, più forti del denaro, la pietà si insinua nel desiderio di vendetta, l’amore materno ridimensiona la rabbia esistenziale che genera dolore.
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