Pussy Galore - Boss Hog - Jon Spencer Blues Explosion & Meat + Bone IN CARNE E OSSA
JON SPENCER: PUSSY GALORE, BOSS HOG, BLUES EXPLOSION … e altre storie
Son dovuti passare ben ben otto anni per poter sentire ancora all’opera Jon Spencer e la sua Blues Explosion: il nuovo lavoro in studio “Meat+Bone” esce per la Bronze Rat Records, esattamente a distanza di vent’anni da quei primi due seminali album della band usciti nel 1992. La release di “Meat+Bone” è stato preceduta da alcune dichiarazioni inequivocabili dell’irrefrenabile, sempre agguerrito Jon Spencer che sottolineano da parte sua, di Russel Simins (drums) e Judah Bauer (guitar) una riscoperta della storia della band e delle loro radici di musicisti: "E' stato come incidere di nuovo un primo album!" ha affermato il front-man. La recensione del nuovo lavoro la trovate alla fine di questo Speciale. Ora ripercorriamo la devastante vicenda artistica di Jon Spencer e dei Blues Explosion, passando obbligatoriamente prima dalla saga-congrega situazionista dei Pussy Galore, prima creazione anarchica di Spencer: per farlo è necessario tuffarsi nella New York della metà anni '80; mentre in Europa, nella fattispecie nel Regno Unito, impazzava il pop elettronico a-chitarristico tutto tastierine e synths, nella grande mela un piccolo 'mucchio selvaggio' di musicisti guidato da Jon Spencer remava in senso assolutamente contrario, recuperando le radici del rock and roll per applicar loro un'inedita estetica chirurgica.
PUSSY GALORE (1985-1990)
Un’incredibile urgenza dissacratoria e furore anarchico sono stati i marchi a fuoco del fare musica di Jon Spencer sin da quando terrorizzava con i Pussy Galore i clubs di New York City negli anni ’80: la band seminale nata nel 1985 in Washington, D.C e considerata oggi una e vera propria leggenda! Se si pensa che vi suonarono personaggi come la chitarrista e compositrice Julia Cafritz (poi negli Action Swingers, Velvet Monkeys, Free Kitten e Guv'ner), il leggendario batterista Bob Bert - aveva militato nei Sonic Youth, negli anni successivi confluirà nei tenebrosi e noisy Chrome Cranks e nelle Knoxville Girls con Jerry Teel - il chitarrista Neil Hagerty (poi nei Royal Trux, Weird War e Howling Hex), Cristina Martinez, compagna di Jon Spencer ed insieme a lui nei ’90 guida dei Boss Hog, allora non si stenterà a credere a quanto di buono e fondamentale Spencer ed i suoi compagni di eccessi abbiano seminato in quei dischi incendari di Pussy Galore incisi nella seconda meta’ degli anni ’80. “Right Now!” (1987, Mute Records), “Sugarshit Sharp”E.P” (1988, Matador R.) “Dial ‘M’ Motherfucker” (1989 Matador R.), sino all’imperdibile “Live: In the Red” registrato nel 1989 al CBGB’s (1998, In The Red R.: una sola cover, la garage song Nothing Can Bring Me Down dei texani The Twilighters) delineano un’estetica rock free-form che non conosce compromessi, costellata di riffs chitarristici fratturati, ossessivi, interpretazioni vocali schizzate e ritmiche rigorosamente dislessiche.
Song ed atmosfere torturate che conoscono l’unica incompromissoria legge di un intricato noise rock decostruttivista: stesse fondamenta alla base della rilettura maniacale in bassa fedeltà, brano per brano, del capolavoro del 1972 dei Rolling Stones “Exile On Main Street” (1986), uscita originariamente su audiocassetta, in 550 copie. Pare che la band avesse messo su fieramente e d’impulso questo progetto dopo aver appreso l’indiscrezione che i Sonic Youth stavano preparando una rivisitazione integrale del “White Album” dei Beatles, voce poi rivelatasi falsa. Una sorta di ossessione quella degli Stones per Jon Spencer, che ritroveremo nel corso di questa trattazione. Solo su cassetta, un’edizione limitata di 200 copie, era uscito nel 1986 anche il primo terroristico documento sonoro della band, “1 Yr. Live”, quasi una trentina di brani tra cui le spietate New Breed, Kill Yourself Die Bitch, HC Rebellion e la cover di Get Off Of My Cloud dei Rolling Stones.
La triade di releases Pussy Galore del 1986 è completata dall’altrettanto offensiva “Groovy Hate Fuck”, recensendo la quale nell’attendibilissimo, essenziale portale AllMusic Kathleen C. Fennessy afferma un po’ a sorpresa che “Pussy Galore erano essenzialmente dei provocatori, non dei punks. Loro intenzione era scandalizzare le platee, ma la loro musica non fu particolarmente pericolosa, aveva soprattutto a che fare con l’arte concettuale!”. La discografia della band termina nel 1990 con l’appunto – a loro modo - concettuale “Historia de la Musica Rock” (Caroline): contiene anche le covers stravolte del classicissimo blues Little Red Rooster di Willie Dixon/Big Mama Thornton e di Dedication (Gary "U.S." Bonds). Delle varie fruttuose diramazioni artistiche prodotte dallo scioglimento dei Pussy Galore avete preso già atto all’inizio di questo articolo: sono le gesta successive di Jon Spencer ad interessarci in questa sede.
BOSS HOG (1989-2001)
Prima di dare il via esattamente allo scoccare del 1990 all'epopea dei Blues Explosion, Jon Spencer, all'interno dell' inquieto, stimolante e fluidissimo contesto creativo della Grande Mela, insieme alla sua compagna Cristina Martinez dà vita ai Boss Hog, combo che riunisce alcuni dei migliori musicisti sotterranei newyorkesi: i chitarristi Jerry Teel (proviene dai seminali Honeymoon Killers) e Kurt Wolf, il bassista Pete Shore, il batterista Charlie Ondras. La prima donna però è lei, Cristina, e Jon Spencer non fa nulla per nasconderlo, anzi: questa line-up dura solo il tempo di registrare la cassetta "Drinkin' Lechin' & Lyin" (1989, Amphetamine Reptile Records). Quando pochissimo tempo dopo nel 1990 uscirà il secondo documento sonoro dei Boss Hog "Cold Hands" (A.R.), prodotto da Steve Albini, Jon Spencer ha già formato i Blues Explosion, e la scena newyorkese noise lo-fi punk è in pieno fermento: Royal Trux, Chrome Cranks, Cop Shoot Cop alcuni degli act più importanti.
Bisognerà però aspettare il 1995 ed il passaggio alla Geffen affinchè Boss Hog risalgano in superficie ed il mainstream li faccia prigionieri. L'omonimo "Boss Hog" è un buon album, ancora molto intrigante a suo modo nel rispetto delle strategie oblique di Jon Spencer, ma già anche molto ruffiano, e non bastano le incursioni vocali e chitarristiche del boss affinchè si possa considerare davvero un prodotto degenere delle fogne della grande mela. La line up intanto si è semplificata con Hollis Queens alla batteria e Jens Jurgensen al basso. Quando cinque anni dopo nel 2000 i Boss Hog fanno uscire "Whiteout" (In The Red Records) hanno nell'organico anche Mark Boyce ai keyboards ed il loro sound appare decisamente più accattivante; nel frattempo i Blues Explosion hanno già inciso i loro sette album più importanti. Tuttavia Whiteout, pur nella sua maggiore linearità ed ortodossia, risulta lavoro davvero 'lussurioso' nelle performances vocali di Cristina, più riuscito, compatto e resistente all'usura del tempo. I Boss Hog completano il loro arco artistico con la pubblicazione nel 2001 di di "Girl Positive Plus" (Toy's Factory Records).
JON SPENCER BLUES EXPLOSION (1992-2012)
La storia di Jon Spencer continua nei ’90 con i fidi Judah Bauer (guitar) e Russell Simins (drums): il micidiale trio assume il nome di Jon Spencer Blues Explosion, anch’essi destinati a divenire esattamente alla fine del secondo millennio un’icona del “wild side” del rock americano. Un’estrema coraggiosissima non ortodossia espressiva continua ad essere la carta vincente di questa reincarnazione artistica di Jon Spencer, che da un'iniziale furioso punk blues destrutturato in stretta bassa fedeltà estenderà il suo raggio d'azione negli anni ad altre stilose espressioni negroidi tipicamente americane, come il funk, il rhythm & blues sino ad imperversare nell'animatissimo territorio dell'hip hop: non a caso il critico pop John Dougan scrive che “Blues Explosion è un nome ironico, postmoderno nell’essenza per una band nel cui sound i clichés degli standard blues sono presenti in misura davvero minima; è solo l’attitudine del blues di cui i tre si appropriano incorporandola e trasfigurandola genialmente in un suono ancora una volta anarchico e noisy.”
J.S.B.E. - CRYPT STYLE - EXTRA WIDTH - ORANGE - NOW I GOT WORRY
Si può tranquillamente affermare che a partire dai primi due album del ’92, l’omonimo “J.S.B.E.” e “Crypt Style”, Jon Spencer approfondisce con sempre crescente lucidità le intuizioni maturate in seno ai Pussy Galore: ma sono le tre opere incise tra il 1993 e 1996 a rappresentare un nerbo incredibilmente solido e creativo della produzione della Blues Explosion, che porterà loro anche grande visibilità e successo nei circuiti alternativi! “Extra Width”(1993/Crypt R.), “Orange” (1994/Crypt R.), “Now I Got worry” (1996/Mute R.) mostrano finalmente come piaghe aperte tutte le ossessioni di Jon Spencer: una Rolling Stones/Mick Jagger dipendenza vocale maniacale, incursioni soul, rhythm&blues, rockabilly, garage, punk, lo-fi spiritate, perennemente affogate in ambientazioni sonore malate e spinte all’esasperazione! Judah Bauer è un implacabile serial-killer della chitarra: macina, serializza e distrugge riff a ripetizione; Russell Simins è percussionista tribale e quadrato nello stesso tempo.
La simbiosi espressiva tra i tre è diabolica, i loro live shows la quintessenza eccitante del rock offensivo e sudato, i loro meccanismi-incastri strumentali così ben oleati che, sempre Dougan, arriva ad affermare che “Spencer è più stile che sostanza. Lo si può amare o detestare, ed è facile che entrambe le cose convivano”. Citazioni e paradossi a parte, splendide realtà rimangono la forza grezza e primitiva di brani come History Of Lies, Soul Typecast, Big Road, Inside ("Extra Width"), le esplosive sfaccettate architetture di Brenda, Blues X Man, Greyhound, Ditch, Flavor dal capolavoro assoluto - a mio parere - ed apice creativo "Orange", sino al ribollente, smanioso, sfacciato, sudaticcio, abnorme funky dell’ugualmente indispensabile "Now I Got Worry": qui si sprofonda nelle cattive sabbie mobili dei furibondi Wail, Identify, Get Over There, Fuck Shit Up, Eyeballin, ma ci si stupisce anche dell’inedita, intrigante affabilità di Rocketship e Firefly Child, con tanto di oboe a disegnare fascinosi arabeschi! Archi e sassofoni erano comunque apparsi a sorpresa anche in Orange.
A ASS POCKET OF WHISKEY
Incredibile parentesi è “A Ass Pocket Of Whiskey” del 1996 (Matador/Fat Possum), atto di fede di Spencer, Simins e Bauer nel delta blues ed un suo vecchio maestro che era tornato in auge grazie a Matthew Jonhnson ed alla sua etichetta Fat Possum, R.L.Burnside I tre si impantanano con il vecchio bluesman in delle sessions di juke-joint blues ribollenti e primitive il 2/6/96 a Lunati Farms-Holly Springs/Mississippi, tagliando e violentando la sua greve voce tenorile ed il suo blues atavico con spiritati non ortodossi interventi di harmonica, theremin, casio sk-1, oltre che con i classici vocalismi schizzati di Jon Spencer e le rasoiate chitarristiche di Bauer! Siamo di fronte al trionfo dell’assioma fradicio e puttanesco del Punk Blues: la fusione è geniale ed affascina senza mezze misure! Oltre a numerosi brani di Burnside, Goin’ Down south, Snake Drive, Shake’em On down gli Explosion cofirmano alcuni episodi tra i quali un affresco di punk-lo fi- blues informale assolutamente improvvisato ed inquietante, Have You ever Been Lonely?, manifesto di caos espressivo e bellezza selvaggia. Naturalmente i puristi del blues non approvarono accusando Spencer di ridicolizzare il blues, ma la storia della musica, del rock, del jazz è generosa di episodi del genere!
ACME
Nel 1998 Jon Spencer è già stella consolidata dell’ “altro rock” e la stampa specializzata si sbraccia all’uscita di “Acme”, preceduto nel 1997 dalla pubblicazione di “Controversial Negro/Live in Tucson” di cui trovate trattazione specifica in calce a questo articolo, tra gli articoli correlati. In Acme Jon Spencer continua efficacemente, con episodi come Give Me A Chance, l’intricata Blue Green Olga, la morbosa Torture a scavare nei recessi più malsani del suo rock abnorme e spigoloso. Ma in ACME la sua follia sonora appare molto piu’ lucida ed organizzata ritmicamente rispetto l’efferato precedente Now I Got Worry: gli innamoramenti soul e funky, lì annegati in un magma infernale di noise, qui salgono nitidamente in superficie, soprattutto grazie al lavoro al mixer di una serie di illustri personaggi dell’ambiente hip-hop americano, Dan The Automator, Calvin Johnson, Alec Empire. Ma le sorprese non finiscono: produttore esecutivo viene accreditato il caro vecchio soul-man sporcaccione Andrè Williams, che nell’ambiente del punk lo-fi americano ci sguazza. Ma i risultati a volte sono troppo ortodossi per uno come Spencer, per l’estetica furiosa che ce lo avevano fatto amare incondizionatamente, e lasciano freddi! Episodi come Do You Wanna Get Heavy?, Calvin, Lovin’ Machine, Talk About The Blues non convincono del tutto. Molto meglio dove é la produzione di Steve albini a prevalere, come nell’intimista Magical Colors (nuove inedite ammiccanti direzioni sonore sono qui delineate), Desperate, dove si respira una sorda sofferenza, e soprattutto la conclusiva Attack, incredibile lavoro al mixer di Empire ed Automator, urticante assalto sonoro e ritmico con i tre dissennati Spencer-Bauer-Simins a terrorizzare sonicamente come nelle migliori occasioni.
PLASTIC FANG (2002)
Dopo quattro anni, ai primi di Aprile del 2002 esce “Plastic Fang”: il nostro è tornato all’ovile Miglior ritorno discografico non poteva esserci per uno dei piu' grandi ex-dissacratori della musica americana degli ultimi quindici anni! Graditissimo pentimento per uno dei più grandi ex-dissacratori della musica americana degli ultimi 15 anni. Jon Spencer ci aveva lasciati nel ’98 con la stucchevole sbornia funky/hip hop di Acme che non lasciava presagire nulla di buono ai rockisti di fede provata! Plastic Fang pur essendo distante anni luce sia dalle dissolutezze noise anni '80 dei tremendi Pussy Galore per fortuna segna un’adesione totale dei suoi Blues Explosion ad un’estetica rock&roll ortodossa ma decisamente salutare e fisiologica, a cominciare dall'immaginario grafico della confezione, dei titoli e dei testi: un campionario horror b-movie in puro Cramps-style con lupi mannari, giovani fanciulle minacciate da bestie orribili e l'isolamento esistenziale del mostro. Tutte cose già viste un'eternita' di volte nel rock&roll, eppure brani come Killer wolf, Tore Up & Broke, Down In The Beast, lenti e lascivi, funzionano a meraviglia portatori di un suono chitarristico denso ed impastato!
Ma dove Spencer e c. si rivelano senza pudore sono brani come Sweet &Sour, Shakin R&R, Money R&R, rockabilly e mid-tempo dei più classici, i RollingStoniani spudorati She Said ed Hold On, una viziosa quasi jam-session negroide di studio corroborata dall'organo di Bernie Worrel e dalla chitarra di Dr.John. Jon Spencer canta più ‘plasticamente’ di una volta in questi solchi e "jaggerizza" perfidamente, ossessionato dalle sue movenze diaboliche degli anni ’60. Judah Bauer inanella ritmiche e riff Keith Richards-style, sfoggia slide/steel ed altri classicismi chitarristici rock-blues. A volte sembra quasi di riascoltare gli Stones country maledetti di “Let It Bleed” e Midnight Rambler quando a dettar legge era il creativo e luciferino binomio chitarristico Keith Richards-Mick Taylor! Ma non basta: in alcuni passaggi strumentali di Plastic Fang, se non si sapesse trattasi dei tre ex-maledetti newyorkesi possono essere tranquillamente scambiati per act come Black Crowes, stesso sapido suono street-rock sudista imbrattato di blues, country ed altre saporite spezie aromatiche! Plastic Fang, dicevamo, è lontanissimo dai Pussy Galore ed anche dagli sperimentalismi di album come Orange o Extra Width, ma ci restituisce dei rockers a tutto tondo, una full-immersion rock&roll affascinante.
Altre buone uscite da segnalare: nel 2007 per la benemerita In The Red Records “Jukebox Explosion (Rockin Mid’s 90 Punkers!)” che allinea diciotto notevoli episodi reperibili prima solo su vinili 7” e nella Blues Explosion Jukebox Series della In The Red Records; l’artwork, dallo stile inconfondibile, è siglata Mort Todd, quello della seminale serie sixties garage “Back From The Grave”. Nel 2010 esce una buona raccolta, “Dirty Shirt Rock 'n' Roll: The First Ten Years” (Major Domo/Shout! Factory) che pesca nei sette grandi album incisi dai Blues Explosion tra il 1992 ed il 2002. Sempre nel 2010 sono ristampati accoppiati i primi lavori e relativi appendici in deluxe edition - alcuni in due CD - ricchissimi di bonus tracks, live and alternate version: “Year One”, “Extra Width”, “Orange/Experimental Remixes”, “Now I Got Worry”, “Acme-Xtra Acme”, "Controversial Negro/Live in Tucson", un patrimonio sterminato di materiale qualitativamente vario ma di indubbio valore documentativo.
Pasquale Wally Boffoli
DAMAGE (2004)
Il nuovo lavoro in studio, due anni dopo, conferma la buona forma di Plastic Fang, anzi lo surclassa. “Damage” esce del 2004, ospiti Martina Topley-Bird & Chuck D, prodotto coralmente da Steve Jordan, Jay Braun, Dan the Automator, David Holmes & DJ Shadow: ritroviamo quindi alcuni protagonisti dell’hip hop a stelle e strisce. La chiassosa Burn it off è il pezzo più esplosivo dell’album, Spoiled dal sottofondo tribale ti schiaffa dritto negli anni ‘50 di Elvis Presley e Gene Vincent. Crunchy è funk rock ed il riff del bridge prende in prestito – paradossalmente - quello dell’indimenticabile More than feeling dei Boston. In Hot Gossip, ospite il rapper Carlton Douglas Ridenhour (Chuck D), si continua con il classico funk rock marchio di fabbrica dei Blues Explosion. Mars, Arizona è attaccata dal theremin di Jon Spencer da tutte la parti. Purtroppo dopo questo pezzo il disco prende una piega meno accattivante, ma non per questo meno ricca di spunti come ad esempio il bari sax di Scot Zelitto in Rivals. Rattling ripropone un’eco anni ‘50 alla Be Bop A Lula ed ancora una volta un ritmo tribale, ovvero le due ottime soluzioni adottate anche nella precedente Spoiled.
Adalberto Correale e P.W.B
MEAT + BONE (2012) # Consigliato da DISTORSIONI
Sono passati 8 anni da “Damage”. Grandioso è l’aggettivo che meglio descrive il sound di questa nuova uscita della band, di quelli che possono sfondare le casse delle stereo. L’album parte alla grande con la cattiva Black Mold (la migliore tra queste 12 canzoni): a volte sembra quasi di sentire urlare Johnny Rotten, a volte il grande James Brown, ma si tratta sempre e solo di mr. Jon Spencer. Chitarre, batteria e cori devastanti, tutto fa sperare che l’intero album sia di questa fatta, avvolto da una nuova freschezza e che le casse continuino ad urlare questa orgia di fomento, ma purtroppo non è proprio così. Bag Of Bones continua ad alimentare le speranze impartendo un’ottima lezione di punk blues targato 2012. Si apre con un riff stonesiano e l’ armonica blues corretti da piccoli inserti di elettronica.
Il caratteristico funk rock della band si ritrova a pieno in Get Your Pants Off ed il riff di Strange Baby ammicca a quello della celebre Stand By Me di Ben E. King. Danger è veloce e violenta. L’album pur avendo innegabilmente un suono potente e attuale non è particolarmente originale, né tantomeno un capolavoro: appare piuttosto ripetitivo dei precedenti lavori della band; l’impressione è che tutto quello che Jon Spencer Blues Explosion potessero costruire e produrre di inedito l’abbiano già dato e bene negli anni 90, che custodiscono dischi-pietre miliari della storia punk blues come “Orange”. Ora la carne è stata in gran parte consumata ed appaiono sempre più visibili e sporgenti le ossa. Tuttavia “Meat + Bone “ supera (e non ci vuole molto!) i mediocri standard attuali della musica “mainstream alternative”, dove il trio se la gioca facile con gruppetti per lo più imbarazzanti. Ma dagli abissi profondi dell’underground c’è ancora qualcuno che grida vendetta e prima o poi la otterrà.
Adalberto Correale
Correlati →