Luciano Lamanna IN VITRO
Italia
Proveniente dalle regioni più aggressive della techno (Tekno Mobil Squad) e del black-industrial più feroce (Ivs Primae Noctis), Luciano Lamanna ha progressivamente modificato il suo suono trasportandolo nei territori della sperimentazione e della ricerca. Vanno inquadrati in questi ambiti gli ultimi progetti che propongono un industrial-techno analogico (Assalti Industriali e Balance) e un darkwave di vecchia scuola (Der Noir). Lo studio dei macchinari analogici lo ha portato negli ultimi anni ad approfondire le forme granulari del suono e non è un caso se, dopo vent’anni di produzioni e collaborazioni, assistiamo all’uscita di un album a suo nome e a contenuti più introspettivi e autobiografici. “In Vitro” si propone come un’esplorazione della struttura granulosa e invisibile della materia, dei suoi confini confusi e dei suoi riverberi molecolari.
L’album inizia con Autoscatto, che vede la collaborazione di Eugenio Carìa (Saffronkeira), in quella che è una comune predilezione per l’introspezione delle regioni più remote del proprio inconscio. La successiva Ramallah, che vede la partecipazione di Manuel Mazzenga (Der Noir), sviluppa un techno-groove minimale dalle forme arabeggianti. I passaggi più ruvidi ed abrasivi li ritroviamo in Everything Shall Die In The End e I Wish I Could See The Apocalypse, che si impongono come rappresentazioni efficaci della materialità più oscura e vorticosa. Il sax di Luca T. Mai (Zu), presente in 1977, rievoca le colonne sonore dei film poliziotteschi degli anni settanta, in una sorta di allucinazione ipnagogica. A chiudere l’album c’è In Vitro, ricerca conclusiva delle leggi nascoste della materia organica e della sua granularità.
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