Thomas FIN
Thomas si sono formati, per caso, in sala di registrazione e con questo lavoro sembrano soffrire della casualità della loro costituzione. Sono buoni musicisti, hanno idee interessanti, ma queste undici tracce presentano una disomogeneità di fondo tale da far percepire la loro musica come in condizione onirica, come fosse una serie di multi livelli, senza però riuscire a piegare i vari generi allo stile, alla personalità del gruppo. Probabilmente si tratta di un peccato veniale di gioventù e, sicuramente, quando il gruppo avrà capito quale direzione intraprendere, quando sarà chiaro la meta da raggiungere, riuscirà a conseguire risultati sorprendenti. Si ha spesso la senzazione di difetto di urgenza comunicativa, come la ricerca di un comodo riparo nella tecnica esecutiva che, inevitabilmente, non sollecita e neppure concretizza l'emotività dell'ascoltatore.
Analizzando alcuni brani, Universe Is Me parte con voci pre regitrate tipo Eno/Byrne per procedere con ritmo incalzante Kraut, diciamo territorio Neu!, fino ad evolvere in venature space rock, con leggeri richiami Madchester per giungere ad una tessitura tastieristica memore di Flavio Premoli. Lowland Boletus parte con un ritmo funky alla Prince per evolvere in una traccia che potrebbe saltare fuori dal disco di esordio di Bo Saris. L'interpretazione vocale è degna di nota e quando il ritmo si irrobustisce, entrando in zona Talking Heads/"Remain In Lights" si conclude forsennatamente con batteria a rincorrere il basso. Masturbation ha una intro che echeggia molto vagamente Frank Zappa, ma è solo un momento, perché una serie di armonie à la Yes ci riconduce a più consone atmosfere funky. Il passaggio è spericolato e di maniera
Thether è una ballata romantica che evoca i King Crimson. Le tastiere in sottofondo sono puro I Talk To The Wind. Il brano prosegue con il crescendo della band teso a mischiare le acque, ma i sintetizzatori finali tradiscono l'intento riportandoci al Re Cremisi. Miracolo Italiano è l'episodio terzomondista del disco con tamburi tribali e canti esotici ad introdurre una flebile dimensione jazz di sottofondo. Le tastiere sono liquide e si rincorrono a formare la base su cui si inserisce una chitarra che sembra trattata con i Fripptronics. A New Ending è un'altra ballatona romantica AOR con la voce che consapevolmente o no rimanda allo stile vocale di Mario Biondi. Il gruppo ha però tante frecce nella propria faretra e merita di affrancarsi da tale tirannia.
Gli arpeggi di chitarra in sottofondo sono pure stile West Coast anni settanta. U Turn Me Up ha una intro smaccatamente jazz con un incedere che ci ha ricordato War Crimes degli Specials A.K.A. Poi vive di vita sua evolvendo in un rarefatto gioco di percussioni. Nine O'Clock ricorre a soluzioni New Wave anni ottanta macchiate con interessanti arpeggi di chitarra, ma il basso alla Pino Palladino tradisce l'ispirazione. April Fool sembra una out take dei Genesis, quelli con Phil Collins al canto. Insomma, il disco è vario e godibile, ma é opportuno precisare la differenza tra eclettismo ed eccentricità e la mera esecuzione di diversi generi musicali, per non correre il rischio di trasformarsi in una sorta di “Orchestra di San Remo” con professori che eseguono le varie partiture con disincanto ed indolenza. Onde evitare di oltrepassare il labile confine tra arte e piano bar, sarà necessaria una scrittura personale, alla larga da interpretazioni calligrafiche o di maniera. Una vera e propria re-invenzione, mantenendo quella uniformità di fondo che permetta di percepire il lavoro come blocco logico, garantendone il riconoscimento della cifra stilistica.
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