John Mayall 27 febbraio 2014, Torino, Hiroshima Mon Amour
"John, cos’è per te il blues?” : “Lo vedrai sul palco...” in sintesi questa è la risposta con cui John Mayall ci ha congedati all’ultima domanda dell’intervista che gli abbiamo fatto face to face e che potrete leggere nella nostra apposita sezione. Nulla di più vero, il vecchio leone del blues inglese, alla veneranda età di 80 anni, è ancora brillante sul palco come ne avesse venti in meno. Che questa magia sia frutto di un patto col diavolo - si sa, con i bluesman ha sempre qualcosa a che fare - lo dubitiamo, è più facile che quell’energia sia frutto dell’amore indefesso che Mayall ha per la musica. Una passione incondizionata per il suo lavoro è quella che si legge nei brillanti occhi azzurri, specchio delle mille avventure vissute sui palchi di tutto il mondo. All’Hiroshima Mon Amour di Torino, nonostante i 30 euro del ticket, la sala era gremita e calorosa, persone di tutte le età raccolte per trascorrere una serata diversa, ascoltando del buon blues.
Questa affettuosa accoglienza è stata fortemente sentita da John, tanto da regalare al pubblico subalpino quasi due ore di concerto con una scaletta da brividi. La setlist ha ripercorso tutta la carriera del musicista britannico, dai primi lavori con i Bluesbreakers all’ultimo album da solista “A Special Life” - in uscita a maggio - suonati con encomiabile energia. Tra i brani più gloriosi e stagionati eseguiti Ridin’ on the L & N, Somebody's acting like a child e Walking on sunset (dall’album “Blues from a Laurel Canyon”, 1968), Parchman Farm (in origine era su “John Mayall Bluesbreakers with Eric Clapton”, 1966), da sempre tour de force all’armonica di Mayall, a Torino eseguita in un arrangiamento più complesso, del tutto diverso dall’originale. E come bis la celeberrima Room To Move, dall’album della svolta senza batteria e percussioni “TheTurning Point” (1969). A dirla tutta il live è stato caratterizzato anche da qualche pecca: John, pur sforzandosi, non è più quello di una volta e, nel suonare la chitarra, ogni tanto perde qualche colpo, ma tutto assolutamente perdonabile perchè ciò che non gli riesce appieno pizzicando le sei corde gli esce egregiamente con l’armonica a bocca e con le tastiere.
Il neo del concerto che non si può nascondere è stato il mixing: la voce era equalizzata talmente male che il pubblico non perdeva occasione per fare cenni al fonico di alzare il canale audio. Per il resto è stato tutto perfetto, l’organizzazione dello show ottima e i musicisti presenti sul palco impeccabili anche perché la line up era di tutto rispetto, la stessa con cui Mayall ha registrato la sua ultima fatica in studio. Il bassista era niente meno che Greg Rzab, nome noto nel mondo del blues per aver collaborato con Otis Rush e Buddy Guy; a ricoprire il ruolo della chitarra solista il texano Rocky Athas, stretto amico del compianto Steve Ray Vaughan e infine dietro le pelli sedeva Jay Davenport, classe 1960, ed ex componente della band di Melvin Taylor. L’avvenimento cult della serata è marginale al concerto, però degno di nota. Come in molte esibizioni dal vivo era presente il banco per la vendita del merchandising, ma, colpo di scena, ad allestire e a vendere i vari CD c’era lo stesso Mayall - e la band - che all’occorrenza autografava non solo gli album acquistati, ma anche i vari vinili d’epoca e le armoniche dei fan. Un grande gesto di disponibilità e di umiltà da parte di un artista immenso, da cui molti personaggi dello rock business dovrebbero prendere esempio.
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