Marlene Kuntz Un ventennio con i Marlene Kuntz
Giugno 1990. Il giorno dopo la loro apparizione sul palco del “Cremona Rock” festival, incontrai i Marlene Kuntz per un’intervista. Musicalmente i Marlene Kuntz erano figli di Sonic Youth, Dinosaur Jr, Gun Club e avevano, a quei tempi, un sound ossessivo, scarno, tagliente ma allo stesso tempo romantico e sensuale. Eccovi l’intervista, con i pensieri di musicisti ventenni alle prime armi con il rock italiano.
Myriam Bardino (DISTORSIONI) - Vorrei sapere come sono nati i Marlene Kuntz
Cristiano Godano (C) - Siamo nati in 5, ora siamo in 4. All’inizio avevamo un cantante Alex, che poi ha deciso di non continuare con noi. Io suonavo in un altro gruppo, i Jack on Fire. Abbiamo suonato ad Arezzo (si riferisce all’Arezzo Festival del 1988, N.d.R). Siamo stati assieme due anni, poi ci siamo sciolti per incompatibilità musicale, io volevo fare cose sempre più dure, loro volevano fare delle cose sempre più morbide. Ho trovato i Marlene, o loro hanno trovato me e ci piace molto quello che facciamo. E’ molto bello poter avere un’unione completa, nel senso che tutti siamo rivolti nella stessa direzione. E ci piace anche il fatto di poter cantare in italiano. Abbiamo fatto molti concerti, forse quello più importante è stato a Cremona Rock di spalla agli Under Neath What. Abbiamo suonato a El Paso di Torino, che e’ un centro autogestito mitico, abbiamo fatto anche dei concerti fondamentalmente inutili con pochissima gente
Degli Under Neath What che ne avete pensato?
Musicalmente non mi hanno molto entusiasmato. Un suono molto compatto, bravi. Quello che facevano mi sembrava abbastanza ripetitivo. Cioè, dopo due pezzi si capiva che tutto il concerto era impostato in quel modo
Ieri avete fatto una cover dei Sonic Youth, quindi penso che è una band che vi ha ispirato, quali sono le altre?
Personalmente ho quattro fonti ispiratrici: Sonic Youth, Nick Cave, Tom Waits e i Gun Club, anche se i Gun Club hanno un suono che funzionava cinque o sei anni fa. Ad ogni modo sono innamoratissimo dei Gun Club come lo sono dei Sonic Youth. Poi in passato ho ascoltato tantissimo gli Husker Dü anche se adesso sono lontano da quelle sonorità.
Luca (L) – Per ora sto ascoltando molto i Fugazi
Franco (F) – Io i Soundgarden
Riccardo (R) – Io parto dall’heavy metal: Metallica e comunque in questo periodo sto ascoltando molto i Pixies
Della scena musicale di Cuneo che ne pensate?
C – Mah, non c’e’ molto da dire, anche se c’era un gruppo qualche anno fa, gli Out Of Time, che aveva fatto parlare di sè a livello nazionale.
Allargandoci alla scena italiana?
L – A parte i CCCP non vedo gruppi di grande interesse. Poi non capiamo i gruppi italiani che cantano in inglese se non sono madrelingua. Anche se è una strada difficilissima, è meglio cantare in italiano.
C – Quello che non mi piace da parte dei critici è impostare la musica a seconda delle mode. Adesso c’è la moda dell’hard rock e dell’heavy metal rivisto in questa chiave (di li a poco sarà etichettata come “grunge”, N.d.R.). Mi stanno benissimo i gruppi come i Soundgarden, che mi piacciono tantissimo, però il fatto che un giornalista ti indichi qual'è la nuova via del rock e citi subito un codazzo di gruppi da seguire, dà abbastanza fastidio. Infatti, in Italia, mi erano piaciuti molto i CCCP all’inizio, perché erano riusciti a uscire completamente fuori dai canoni che venivano un po’ imposti e anche il cantare in italiano era abbastanza rivoluzionario e innovativo
E i Litfiba?
C – I Litfiba li apprezzo moltissimo (era lo stesso anno della pubblicazione di “El Diablo”, N.d.R) anche se non rientrano completamente nei miei gusti. Comunque loro sono su un altro pianeta, sono molto più professionali.
L – Quello che i Litfiba hanno portato alla musica italiana è stato il raggiungere un vasto pubblico, al quale fanno ascoltare un certo tipo di musica rock, anche se non è il genere che mi appassiona di più.
Peccato anche che ci siano stati degli screzi all’interno del gruppo
L – Ma sai, è il problema della maggior parte dei gruppi. Appena si inizia a parlare di soldi seri iniziano i primi problemi
Avete fatto qualche demo?
L – Sì, stiamo registrando un nuovo demo al Puzzle Studio di Torino. Poi con la partecipazione a Pavia Rock abbiamo avuto l’occasione di registrare il nostro primo demo in uno studio di Tortona. Oggi ci troviamo un po’ spiazzati, con la dipartita del vecchio cantante dobbiamo remixare tutto e dobbiamo usare la voce di Cristiano al posto della sua.
C – Comunque fare i pezzi su demo costa troppo, nel senso che è difficile farli fruttare. Li mandi così in giro, non sai che fine fanno. Secondo me, i demo, non sono cosi significativi. Bisogna farli perché è il processo delle cose, ma servissero un po’ di più, sarebbe meglio.
Su vinile avete intenzione di fare qualcosa? (non si pubblicava ancora su cd, N.d.R)
C – Beh ovviamente come gruppo vorremo arrivare lì.
L – L’unica cosa che ci darebbe fastidio sarebbe fare un disco autoprodotto tanto per darlo agli affezionati.
Cosa avete in cantiere nei prossimi mesi?
L – Ci sarebbe forse un tour all’estero. E dovremo continuare a mandare cassette ai concorsi più importanti.
Quanto è difficile per un gruppo italiano farsi notare dal pubblico e dai media?
R – Rispetto alla media possiamo ritenerci soddisfatti perché molti altri gruppi dalle nostre parti fanno sempre le solite cose
Non pensate che in Italia i gruppi rock italiani siano poco aiutati?
C – Purtroppo in Italia non c’é predisposizione per ascoltare questo genere di cose, non c’e’ una mentalità, se possiamo chiamarla così, “rockettara”. L’underground è molto ristretto, c’è poca gente. Penso che una scena come quella inglese sia molto più positiva, aperta. I gruppi che qui in Italia faticano tantissimo, dopo aver fatto un disco, a girare e a farsi conoscere, se si trovassero in un paese come l’Inghilterra avrebbero moltissime più opportunità e lo stesso disco potrebbe addirittura entrare nelle classifiche indipendenti, cose che qui in Italia magari esistono solo a livello di classifica dei giornali: come Rockerilla, che ha quella dei “Migliori Dischi Italiani”, ma poi sotto sotto, se vai a vedere, le vendite sono minime.
E per quello che riguarda la stampa, pensate ci sia spazio per i gruppi italiani?
C – Penso che le cose in questi ultimi tempi siano leggermente migliorate, anche se si rimane sempre con la mentalità che il gruppo straniero è fondamentalmente migliore anche per esperienza e pratica. Ed effettivamente sotto certi punti di vista è vero. Un gruppo straniero comunque, secondo me, ha un approccio migliore di quello di un gruppo italiano. Non è una questione di incapacità degli italiani a fare le cose, è che manca proprio la possibilità di suonare con continuità. Si suona di meno, in percentuale, rispetto agli altri posti: un gruppo all’estero ha molte più possibilità di esibirsi dal vivo e le ossa ovviamente te le fai suonando.
C’è proprio questa questione dell’impatto visivo: ti sembra che il gruppo sia migliore, poi magari, tecnicamente, il confronto è alla pari. Un gruppo americano, o inglese, ha alle spalle centinaia di date, mentre uno italiano fa quello che può. Poi, per gli italiani è molto difficile andare a suonare all’estero, a parte se sei in certi circuiti come può essere per l’hardcore. Vedi il caso dei Negazione, si sono fatti le ossa all’estero, però sono andati a suonare in questi centri autogestiti, dove si chiamano a vicenda e si creano questi interscambi. Il problema è che se non fai questo genere è molto più difficile suonare fuori. Da noi fai quello che puoi: la classica tournèe in Italia è veramente difficile, se non hai un nome.
Se una major vi proponesse un contratto, quali compromessi accettereste?
C – Beh ci darebbe un po’ fastidio dover rinunciare a cose che abbiamo sempre fatto. Penso che alcuni aspetti della nostra musica siano abbastanza duri, le nostre canzoni non hanno la tipica struttura che parte con le due strofe, il ritornello, poi l’eventuale assolo, tutto molto lineare. Non so se sia un pregio o un difetto, direi piuttosto un gusto. Ci rendiamo conto che facendo così siamo meno facili da ascoltare, ma questa è una cosa che ci riguarda personalmente. Anche i nostri ascolti e le nostre influenze sono basati su queste cose. Questa domanda mi sembra abbastanza avveniristica, a parte che una major non avrebbe nessun interesse a occuparsi di noi.
Però personalmente è un discorso che non mi sento di affrontare. A livello teorico e di orgoglio personale, è una cosa che aborro totalmente il dover rinunciare a cose che ho sempre fatto. Dovrei trovarmi nella situazione. Se mi offrissero dei gran soldoni, sempre a livello utopistico, non so fino a che punto starei sulla mia roccaforte. Ora come ora, a livello teorico, posso dirti assolutamente di no. Voglio fare le mie cose e continuo a farle. Sarei comunque curioso di vedere la mia reazione, dovesse succedere una cosa del genere. E succede a molti gruppi. L’esempio ultimo è quello dei Sonic Youth che sono stati costretti a remixare il loro ultimo disco (“Goo”. N.d.R) dopo aver firmato per una grossa casa discografica (Geffen, N.d.R): dopo aver sentito i nastri, gli hanno imposto il remixaggio dei pezzi, perché secondo loro erano troppo grezzi. E questi sono i Sonic Youth, che sono sempre stati abbastanza arroccati sulle loro posizioni.
Fondamentalmente non penso che ci sia un gruppo originale che se ne fotte di tutto e tutti e fa unicamente delle cose che gli interessano: perché quando un gruppo si accorpa a un trend, facendo un genere di musica, ricalcando una certa moda, non realizza, facendo così, l’espressione di una personalità, come invece viene sbandierato. Cioè, il fatto di fare canzoni con arrangiamenti che comunque ricordano questo o quell’altro genere musicale, ti fa avere una certa base di compromessi da cui partire. Tutti i gruppi sono condizionati dalle loro scelte musicali e mi sembra abbastanza normale il compromesso, in questo senso. Poi bisogna vedere cosa s’intenda per compromesso. Non è che tutto nasce dal cuore. Gli stessi Soundgarden fanno cose egregie, secondo me, adoro le loro due chitarre, però anche loro seguono questo filone hard rock e non penso che potrebbero ritornare a suonare come nel primo disco.
Passando a un altro argomento, cosa avete pensato di Pavia Rock?
C – Troppe mamme, troppi bambini e troppi papà. Il palco bellissimo con un suono magnifico con una buona organizzazione. Sono stati abbagliati dalla nostra coreografia quando il vecchio cantante usava una vecchia caldaia che chiamavamo “il bonghetto”
Non lo usate più?
C – Mah, siamo in quattro e io sono passato alla chitarra.
Magari potete trovare un ballerino/a che faccia anche improvvisazione
C – Abbiamo provato con un ballerino e l’esperienza è stata catastrofica. Si è buttato in mezzo alla gente a pesce ed e' stato preso di punta da almeno sei o sette personaggi che lo volevano picchiare con forza. E’ stato interessante trovare qualcuno che facesse queste cose anche dal punto di vista fisico, un coinvolgimento sul palco ma anche tra la gente. Però, questo ragazzo ci aveva preso un po’ troppo in parola ed è stato un po’ troppo impulsivo, facendo poi delle cose un po’ troppo incontrollabili. Da noi (a Cuneo, N.d.R), è proprio difficile trovare persone che siano disposte a fare certe cose.
Durante i concerti preferite vedere il vostro pubblico ballare o attento?
C- Quello che non abbiamo ancora capito è se la nostra musica possa far ballare o meno. Perché abbiamo dei momenti in cui la ritmica è molto presente e penso che inviti a ballare. Per esempio a El Paso siamo riusciti a sbloccare una situazione che si stava abbastanza appiattendo per dei gruppi che avevano suonato prima, anche perché forse non era musica adatta a un pubblico come quello che frequenta quel centro sociale. Abbiamo visto gente che ballava, mi sono ritrovato una ragazza scaraventata a un metro da me sotto il palco e mi sono abbastanza stupito della cosa.
Però effettivamente mi rendo conto che non è che abbiamo pezzi molto ballabili, sono molto violenti ma non così ballabili per via dei nostri stacchi strani. Quindi non riusciamo a capire se ci faccia più piacere vedere la gente che balli o la gente che stia attenta. Se la gente sta attenta e balla siamo al top della situazione. Comunque è bello avere una reazione dalla gente. Ci è successo anche di essere stati cacciati dal palco dall’organizzazione di un posto per via di una polemica. Addirittura era stata fatta una maglia (!?) ingiuriosa nei nostri confronti: comunque ci ha fatto divertire parecchio e dalle nostre parti abbiamo delle frange di persone che ci amano e delle altre che ci odiano, mai indifferenti.
Volete aggiungere qualcosa?
C - ... ma oramai abbiamo detto un po’ tutto ... speriamo solo che il prossimo disco dei Sonic Youth sia bello.
Beh speriamo anche il vostro primo. Grazie e buona fortuna.
L’ultima volta che rividi i Marlene Kuntz dal vivo fu a Londra il 31 marzo 2009, più di vent’anni dopo questa prima intervista. Queste sono alcune impressioni che buttai giù dopo quel concerto londinese.
Sono passati quasi 20 anni dalla prima volta che vidi i Marlene Kuntz. Nonostante l’incisività delle loro composizioni e la loro incredibile presenza scenica c'era, allora, la difficoltà di sfondare in un panorama italiano ancora chiuso alla musica cosiddetta “indipendente”. Ma con il 1991 tutto cambiò. Il 1991 fu l’anno di “Smells like teen spirit”, l’anno in cui anche le major fiutarono i generosi profitti del mondo musicale “indipendente”. In Italia i Marlene Kuntz si presentavano come i migliori rappresentanti di questo mondo, con la loro naturale intellettualità e grintosa sofisticatezza. Dopo qualche anno, una scritta fatta con una bomboletta sul muro di una scuola “Lieve – Marlene Kuntz”. Sorrisi. Finalmente il gruppo in erba era arrivato alla notorietà meritata. Ho ritrovato i Marlene Kuntz in superba forma al Dingwalls di Londra l’altra sera.
Per la loro “one-night stand” londinese, un pubblico prettamente italiano e una manciata di fan venuti direttamente dall’Italia per questa unica occasione. Più o meno 300 persone, la dimensione ideale. Fan entusiasti per questa intima comunione con i Marlene Kuntz che, d’altra parte, si sono dati anima e corpo perché anche questa notte londinese non si scordasse facilmente. La scaletta ha fluttuato con impressionante virtuosismo tra la loro vasta discografia, da “Catartica” a “Uno”. Ma é al momento della cover di "Impressioni di Settembre" della PFM, che mi ritrovo magicamente catapultata nel 1991, quando rientrando a casa tra la nebbia, alle prime luci del mattino, questo pezzo andava in loop sul mio mangianastri. Per un attimo mi sembra che il tempo si sia fermato e sorrido con lieve nostalgia.