Terry Lee Hale THE LONG DRAW
[Uscita: 14/10/2013]
# Consigliato da Distorsioni
Terry Lee Hale è uno che non ti concede nulla. Un po’ come ti aspetti che sia l’uomo raffigurato nella foto di copertina: asciutto, rigoroso, severo. Uno che intimidisce e al quale è meglio non pestare i piedi, ma di cui ti puoi fidare. Chi lo segue dagli esordi ormai lontani – si parla di Sub Pop e primissimi anni 90, tardo mesozoico insomma – sa che le sue canzoni possono tagliare in profondità e fare anche molto male. Non c’è spazio per melodie consolanti, men che meno per liriche solari e ottimiste. Hale è uno che lavora per sottrazione, puntando all’essenziale. Canzoni di pioggia e treni, di solitudini e rimpianti, di ricordi (un bar scalcinato a Seattle nell’87, una stanza d’albergo a Los Angeles nell’81, un amico morto suicida nella Foresta Nera) e di speranze (poche). Tutto ciò espresso in un linguaggio talmente sobrio da sfiorare il minimalismo: economia di parole ma soprattutto di suoni, incastonati nella più classica tradizione folk/cantautorale americana. Il cantato rasenta lo spoken word, e intorno ad esso ci sono poche pennellate di acustica, pedal steel, dobro, contrabbasso e saltuariamente delle tastiere.
Vengono in mente Guy Clark e Terry Allen, Mark Lanegan e l’amico di una vita Chris Eckman, ma in brani come What She Wrote è la figura dell’ultimo Dylan a stagliarsi netta sullo sfondo, così come nell’r&b con tastiere quasi alla Al Kooper di L.A.9th & Grand. The Sad Ballad of Muley Graves ha sapori d’Irlanda, mentre The Central, con il suo andamento stranamente vivace, presenta vaghe assonanze con The Weight della Band. L’ultimo brano, la lenta ed elegiaca Gold Mine, racconta la conversazione con un’amica a un tavolino di un caffè di Parigi, città dove vive da tempo il cantautore. Un altro tratto che lo accomuna ad Eckman, americano espatriato in Europa come lui, oltre naturalmente alla presenza del tastierista dei Walkabouts Glenn Slater. Gli altri collaboratori sono il batterista basco Frantxoa Erreçaret e il bassista Nicholas Chelly, ma in un pezzo spunta pure una vecchia conoscenza come Jack Endino al basso. Disco difficile, introverso e con il sapore acre della terra e delle occasioni perdute. Se si decide di farsi avvolgere da queste atmosfere sospese e da questi suoni spartani, la ricompensa emotiva sarà comunque preziosa.
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