Acid Mothers Temple and the Melting Paraiso SON OF A BITCHES BREW
[Uscita: 3/03/2012]
Gli Acid Mothers Temple & Melting Paraiso UFO, “soul collective” nipponico guidato dal chitarrista-cantante Makoto Kawabata, non sono nuovi al “pastiche sonoro” influenzato dagli artisti che più hanno contribuito alla formazione del suono e all’idea stessa di musica della band (un misto di progressive, psichedelia freak, hard rock, krautrock e avanguardia, il tutto vissuto e suonato in maniera molto “aperta”). Negli anni passati, infatti, c’erano stati l’hendrixiano Are We Experimental?, il mix crimsoniano-sabbathiano Starless and the bible black sabbath, o il pinkfloydiano Dark side of the black moon, solo per citare alcuni titoli della loro sterminata discografia. Questa volta è il turno di Miles Davis. "Son of a Bitches Brew" è, infatti, un disco-tributo concepito ricalcando le sonorità del capolavoro del trombettista americano del 1969 (l’album che più di tutti ha rivoluzionato il jazz), soffermandosi soprattutto sui momenti più sperimentali che avevano caratterizzato la svolta elettrica del jazzista.
Già scorrendo i titoli delle canzoni ci si accorge che il gioco (di parole e sonoro) riguarda in realtà tutta l’avventura elettrica di Miles Davis, e che le influenze non arrivano dal solo Bitches Brew: Son of a Bitches Brew, Helen Buddah Miss Condom X, Fellatioh’s Dance Also Bitch’s Blow, Water Babies Kill Kill, Theme From Violence Jack Johnson, Tabata Mitsuru, Sweat Peanut VS Macedonian Baby, non fanno altro che richiamare (spesso in forma parodica) i vari Pharaoh’s Dance, Water Babies, Theme form Jack Johnson, e così via, insomma le pietre miliari del periodo elettrico di Miles Davis. Scelta non facile quella di avvicinarsi al suono del Miles Davis elettrico, il rischio manierismo non è da sottovalutare: sono troppi, infatti, gli elementi che caratterizzavano quei dischi (da "Bitches Brew", al capolavoro "On The Corner", fino all’ardito "Get Up With It"), non facilmente sintetizzabili, o semplicemente riproducibili.
Eppure l’ensemble di Kawabata si avvicina a quelle atmosfere, a quegli incastri sonori dilatati in cui da un magma apparentemente informe spuntano suoni e sonorità inedite e spesso inconsuete, in cui l’improvvisazione si fonde con l’avanguardia più radicale, e il jazz flirta col rock psichedelico. Ma, come si diceva, il manierismo è dietro l’angolo: "Son of a Bitches Brew" riesce sì a riprodurre delle atmosfere, ma non riesce mai a penetrare l’intimo di un suono (ci verrebbe da dire di un’idea stessa di suono) che – per sua stessa natura – è impenetrabile, e dunque irriproducibile. L’amore per la musica di Miles Davis è palpabile in ogni nota suonata da Makoto Kawabata e soci ma la sperimentazione della band non restituisce a pieno la radicalità estrema, il gesto rivoluzionario del disco a cui si ispira. Son of a Bitches Brew è un disco di (prog-) rock sperimentale, concepito con mestiere e suonato con vigore, ma Bitches Brew era ben altro, e certi capolavori andrebbero lasciati dove sono, perché ogni approccio “citazionistico” ad essi rischia di diventare solamente un esercizio di “bella maniera” e nulla più.